giovedì 7 febbraio 2013

Vademecum per non votare (2)

A casa la mamma ti ha detto: - Fai il bravo, la brava, vai a votare - . E allora tu, sentendoti in colpa, prendi la macchina, la bici e vai. Magari anche a piedi.
E in quello spazio che ti separa dalla casa hai modo anche di pensare. Sì, perché quando si va a votare non si parla, anche se si è in compagnia.
E' un momento sospeso, in cui ogni parola è di troppo.

E allora puoi pensare a te. A cosa il tuo voto, finora, ha potuto cambiare.
Al valore che ti hanno riconosciuto, al rispetto che hanno avuto coloro che hanno comandato, hanno gestito i soldi, quelli che te li prendono ogni giorno, dignità e soldi.

E pensi al tuo lavoro, che non hai; o che hai, però...

Alle parole di tutti i compagni, alle parole di tutti i padroni. Al loro sfilare in televisione, sui social network, nei giornali.

Tu sei fuori dal giro, sei fuori da tutto.

Pensi al fatto che ci sono sempre i figli di mammà e papà davanti a te, che non c'è giustizia. Che il tuo lavoro, che pure cerchi e cerchi, alla fine non ti piace. Che se ti piace, non te lo fanno fare.

Puoi votare chi vuoi, ma se vogliono, con le loro potenti armi, ti distruggono subito. E basta anche molto meno, per distruggerti, metterti da parte, deriderti, eliminarti. O anche metterti in galera in attesa di giudizio. E magari non hai commesso alcun reato.

E' un gioco in cui tu perdi sempre, eppure è l'unico gioco che c'è.

Ma allora che possibilità ho di essere una persona?

Nel frattempo sei arrivato al seggio. C'è il militare che staziona davanti, ci sono i rappresentanti di lista, qualcuno che si fa vedere, che ti 'ricorda', anche senza dire nulla, per chi devi votare.

Entri dentro. Aspetti il tuo turno, consegni il documento, qualcuno seduto davanti a te cerca il tuo nome in una lista.

Ti trovi in un'aula scolastica, e ti ricordi di quando eri bambino, e quando nutrivi tutte le speranze, o magari anche solo una ma certa, quella che suonasse la campanella per uscire all'aria aperta.

Questi che puoi votare, che speranza ti danno? Che non pagherai più l'IMU, che avrai la democrazia diretta indiretta, che ci saranno meno tasse, che avrai più diritti (tanti tanti, ma quali, davvero?), che l'economia sarà rilanciata eccetera.

Però ti ricordi, quando ti danno la scheda in mano e il lapis, un lapis che non scrive mai bene!, che tutto questo te l'avevano promesso, che era già stato detto tutto, a livello nazionale, a livello locale, l'hai proprio letto nel volantino delle ultime elezioni che avevi messo da parte come promemoria e che hai riletto prima di arrivare...
Era già stato tutto promesso.

Entri dentro il seggio nel seggio, quel baldacchino in cui tu ti trovi separato dal resto del mondo,  chiuso da quelle tendine orrende di plastica color grigio o marrone, o che ne so, qualcosa di impossibile e stendi la scheda sul ripiano e guardi il mare di simboli e stai lì, e vorresti scomparire, chi sono questi cosa vogliono...? Vogliono andare al Parlamento. Il Parlamento. Ma che luogo è? Sai che è un luogo dove tu non andrai mai, è il tuo non-luogo. E' il luogo dove si decide, ma tu non ci andrai. Tu devi mettere un segno, affinché qualcuno ci vada per te....
Ehi! Non puoi stare tanto lì dentro, ti devi sbrigare!, non hai le idee già chiare? Forza, lascia il posto a un altro cittadino.
Ripieghi la scheda. Esci dal baldacchino del voto.

Tutti ti guardano, vogliono 'leggerti' e tu ti senti in colpa, comunque sei colpevole. E non sai esattamente di cosa.
Infili la scheda nell'urna di cartone.
Hai votato?



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