venerdì 31 gennaio 2014

Sgarbi e la cultura delle capre

La questione di Sgarbi al Pecci sì o no non mi emoziona più di tanto.
Egli è l'espressione della cultura del potere per eccellenza, e infatti nessuna dichiarazione scomoda vera da parte sua, come per esempio, mai una parola su Gonfienti etrusca.
La sua presenza al Pecci, che sarebbe stata prestigiosa in quanto mediatica, si inserisce nel quadro della cultura marketing, la cultura a effetto, quella delle presenze e dei numeri e via di seguito, a cui ormai siamo soggetti da anni.

Altro tipo di cultura non è contemplato, per cui essa è coltivata in quanto deve diventare vetrina e salotto della città, e solo è buona quando muove consenso e popolarità.

A questo sarebbe servito Sgarbi, e chissà che non sia detta l'ultima parola.

Tuttavia mi piace sottolineare che quello che il critico, con i suoi soliti modi, ha affermato, arrabbiato per la bocciatura, è vero: spesso chi giudica è inferiore al giudicato e che la mediocrità è ovunque.

Potrei dire del teatro, di quanta gente incompetente e seduta sugli scranni delle direzioni per meriti di ruffianeria, piaggeria, adesione partitica ci sia.
E sono lì, seduti, a baluardo e a controllo del livello del potere e della mediocrità, che entrambi devono rimanere alti.
Fermo restando certo sempre il nome che di volta in volta deve illuminare la vetrina e render bello il salotto, il popolo di certi enti artistici e culturali di varia natura è contraddistinto frequentemente dalle caratteristiche che ho indicato.
Un popolo di capre, per utilizzare il colorito e molto imitato linguaggio sgarbiano, che bruca, bruca bruca...
Un disastro assoluto, a cui non si sa come riparare.

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