venerdì 24 marzo 2017

Il medico a scuola di umanità

Alcuni giorni fa vado da un cardiologo per un controllo.
Mi sento affaticata, e vado. Lui è molto simpatico, amabile direi, e per fortuna, dopo una visita attenta, anche attraverso macchinari all'avanguardia - mediante cui conosco per la prima volta quell'animale che ho in petto chiamato cuore - mi rassicura che va tutto bene.
Durante la visita, parliamo, parliamo un po'. Lui mi fa domande sul mio lavoro, ha detto di me sul giornale; e io gli chiedo del suo. Finiamo per parlare dell'università, siamo coetanei, e mi racconta come funzionava la vita universitaria a Medicina: aule grandissime, tanti allievi; il professore entrava (e sa che ancora è così e forse molto peggio) per la lezione, e poi se ne va. Non poteva conoscere tutti gli allievi del corso, e forse nemmeno era interessato a farlo, per cui quando qualcuno si presentava per l'esame, nonostante avesse appunto frequentato, per il professore era uno dei tanti sconosciuti.
Pochi amici durante i cinque anni di università; alcuni buoni conoscenti, con cui sono stati condivisi gli studi finalizzati a un esame. Ognuno pensava a sé.

L'esatto opposto a quello che ho vissuto io: pochi allievi, si viveva con i professori in istituto, dalla mattina alla sera.
Io così ho fatto per la prima laurea, a Firenze con Macrì, e anche per le altre, per quanto abbia potuto conciliando lo studio con il lavoro. Molta vita di facoltà anche per Lettere (laureata in Filologia con Roncaglia a Roma) e Filosofia, dove ho conosciuto professori straordinari, come Tullio Gregory, che è stato uno dei miei professori. A Roma in certi giorni, ricordo bene, si incontravano alla Treccani  e si discuteva, che ne so, di Giordano Bruno (e della mia pazza idea, mai realizzata di mettere in scena Il Candelaio!). Io insomma, devo molto all'università, sia a Firenze che a Roma, all'incontro con uomini illustri, allo studio matto e disperatissimo di quegli anni, tutto rubato.
Insomma, all'università l'aspetto umano per me è stato fondamentale. Invece nel racconto del bravo, simpatico cardiologo nulla esisteva di tutto questo. L'università a Medicina è un luogo freddo, 'operatorio', dove si diventa medici, ma senza che nessuno tocchi o sfiori l'argomento uomo da un punto di vista emotivo.

E la vocazione?

Lui, il cardiologo, a questa domanda mi ha sorriso e ha risposto: "Quasi nessuno, pochissimi, i 'chiamati' ".

Certo, anche se l'indole umana si cambia, tuttavia un esame di filosofia morale a Medicina, anche alla luce di ortopedici che 'rompono femori alle anziane per allenarsi', non ci starebbe male. Insomma, in qualche modo, bisognerebbe sottoporre i futuri medici anche a esami di umanità.

Questo è il giuramento di Ippocrate, in versione moderna, che i medici-chirurghi e odontoiatri prestano prima di iniziare la professione:

« Consapevole dell'importanza e della solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo, giuro:
·   di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento;
·     di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell'uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;
·        di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica e promuovendo l'eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo sanitario;
·       di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona;
·       di astenermi da ogni accanimento diagnostico e terapeutico;
·       di promuovere l'alleanza terapeutica con il paziente fondata sulla fiducia e sulla reciproca informazione, nel rispetto e condivisione dei principi a cui si ispira l'arte medica;
·       di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze;
·       di mettere le mie conoscenze a disposizione del progresso della medicina;
·       di affidare la mia reputazione professionale esclusivamente alla mia competenza e alle mie doti morali;
·       di evitare, anche al di fuori dell'esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il decoro e la dignità della professione;
·       di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;
·       di rispettare e facilitare il diritto alla libera scelta del medico;
·       di prestare assistenza d'urgenza a chi ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell'autorità competente;
·       di osservare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell'esercizio della mia professione o in ragione del mio stato;
·       di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l'esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione. »

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