domenica 22 ottobre 2017

Cos'è un teatro libero?

Cos'è un teatro libero?
Ed è possibile oggi, per un teatro, essere libero; ossia che i propri artisti riflettano problemi,  paure e sogni, i temi contemporanei della società senza essere limitati o strumentalizzati?
No.
Nel sistema democratico si potrebbe pensare che non ci siano restrizioni, ma in realtà vediamo che non è così.
In nessun luogo.
Un teatro libero non dovrebbe aver padroni politici. Il che non accade.
Generalmente i teatri appartengono a enti pubblici, e in teoria a tutti noi, ma non ci appartengono affatto.
Ci sono poi varie altre sfumature di gestione dei teatri, come quelli, specialmente al nord, che sono proprietà delle diocesi, o di privati molto ricchi o società. Ma anche questi pur privati, hanno caratteristiche simili a quelli pubblici, con la differenza di una maggiore censura verso i temi trattati, per i teatri di proprietà delle diocesi e, per quelli privati, per una quasi esclusiva attenzione al botteghino e agli incassi.

I politici li usano per sé, per la loro propaganda. E a dirigerli sono nominati quei direttori artistici che, pur con un curriculum compatibile, sono pronti a stare al 'gioco delle parti'.

Per questo, se chi li dirige e li adopera non corrisponde a certi crismi, viene allontanato.

E poi c'è da un po' un altro padrone: l'economia. Il teatro deve far cassetta, e se non lo fa, guai. Quindi le compagnie e gli artisti che vengono ospitati nei teatri - solo quelli famosi ormai, anche se l'eccezione può sempre capitare - devono essere come arlecchini servitori di due padroni: dell'economico - e anche il numero di borderò conta - e del politico.

Quello che il pubblico può vedere nei circuiti teatrali non è tutto il teatro, anzi è solo una parte; ma questa parte è destinata, nel prossimo futuro, a rimanere sola, perché le produzioni dal basso sono scoraggiate e dileggiate.

Il premio che hanno dato a Peter Stein - grande artista -, il Gigliato D'Oro a Prato in pompa magna e tutti gli annessi e connessi, sa solo purtroppo di triste propaganda.

Il Teatro Metastasio, come quasi tutti i teatri cittadini con pochissime esclusioni in Italia, vive in realtà un grande momento di smarrimento, scollegato com'è dalla città e dai suoi problemi. Un teatro muto, sordo e cieco. Ed è per questo che il Comune deve far risuonare la grancassa mediatica. E il teatro invita, con i nostri soldi, i cosiddetti rappresentanti comunali, assessori e consiglieri, per la sua riapertura a riempire il vuoto, non tanto delle sedie, ma dei contenuti e della vera partecipazione. 

La coincidenza fra premio e riapertura della stagione è stata organizzata apposta; non era accaduto negli anni passati, se la memoria non mi falla. Ma ora è necessario, perché i cittadini vanno sempre meno a teatro e bisogna ricostruire un po' di pubblico e di senso politico (ché l'opposizione, pur debole e indifferente, può sempre andare alla carica, e perché poi bisogna che i conti tornino per far rientrare il teatro nei finanziamenti eccetera...).

E siamo ben lontani dal teatro libero, critico, civile. Un teatro siffatto non serve agli organizzatori, ai direttori artistici, al sistema, a coloro che devono far quadrare i conti e tener ferme le loro poltrone. Ma non al teatro. E se il teatro non parla, non dice, non muove, pur che il pubblico sia addomesticato e mosso dove vuole la musica della grancassa, pure è destinato a morire. E non basteranno i burattini politici che incensano dai palchi e i loro cantori.

***
Un piccolo teatro come La Baracca può rappresentare il paradosso di un teatro privato che ha una funzione pubblica, collettiva, civile, liberatoria, in contrasto con il teatro pubblico che ne ha solo ormai una privata e repressiva.

E' libero ma automaticamente fuori dal sistema e da ogni altra definizione o interesse dei gruppi politici ed economici.

Infatti ieri che ricordavamo i 24 anni del teatro, non si è presentato nessun rappresentante politico locale. Come avrebbe potuto?

Erano tutti alla prima del Metastasio, con tanto di biglietto d'onore in mano.

Il teatro non riceve soldi pubblici; è piccolo; è autogestito; si trova in periferia. Affronta temi cosiddetti scomodi o non consueti. Non è frequentato nemmeno dalle opposizioni comunali, che la sua libertà non è funzionale a nessuno.

Io sono ben stata consapevole di questo, e non ho avuto mai dubbi su dove mi avrebbero condotto le mie scelte. Infatti nel passato alcuni attori si sono allontanati da me e dal teatro a gambe levate, ché hanno capito che non vi si trovava che fatica, lavoro, e spesso umiliazione.

Ma credo che solo spazi come il mio oggi possano avere un senso, e che possano dare un senso al teatro; e non lo dico per me che, come ho detto ieri sera al caro amico Fulvio che sempre ci segue, rispetto al luccichio dell'oggi abbiamo già perso e siamo i perdenti, ma possono avere significato per l'intera comunità. Non si lavora per l'oggi, ma per il domani.

Ci consola e rende fieri, nella fatica e durezza che patiamo tutti i giorni, il pensiero di lasciare, nei nostri pochi ma tenaci spettatori e amici, il seme di qualcosa d'altro, diverso, libero, indipendente,  fuor d'ogni canone presente, che possa d'esser d'esempio e strada per qualche altro futuro imbastitore di sogni.

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