domenica 15 ottobre 2017

Debutto di "Nel nome di Dio e del quattrino"



Debutto di Nel nome di Dio e del quattrino, faticoso e felice.

Ecco una prima, e devo dire molto lusinghiera, recensione del Prof. Giuseppe Centauro.


Nel nome di Dio e del quattrino
Il mercante di Prato, commedia impossibile con Francesco di Marco Datini, scritto interpretato diretto da Maila Ermini con Gianfelice d’Accolti nei panni di Francesco di Marco, è una meraviglia. Alla chiusura del sipario della prima, questo è stato il pensiero da tutti condiviso in sala. Sarà l’atmosfera intimissima che avvolge il Teatro La Baracca, sarà la suggestione della messa in scena, dove il pubblico è come ospitato nelle stanze di studio e residenza del protagonista, ma quello che passa dalla mente ai assiste è uno spettacolo autentico, dove il tempo lascia il posto allo spazio e lo spazio è tangibile come un proscenio reale. Due atti e cinque diverse “scene” (tante ne ho contate) che trasportano la vicenda del mercante pratese, primo vero imprenditore dell’età moderna (una sorta di “protocapitalista”, come ha dichiarato l’autrice a fine spettacolo) pur storicamente collocato tra la fine del ‘300 e l’inizio del ‘400. La scena di esordio rappresenta l’immaginario ed evocativo incontro tra l’autrice e il personaggio; la seconda vive in una confessione fra sacro e profano dove l’affabulatrice personifica l’angelo che avrebbe dovuto purificare i peccati dell’impenitente, mosso da improbabili pie virtù; la terza si consuma nel sonno riparatore con le incombenti visioni del mercante, un pulcinella nel sonnabulismo che restituisce mirabilmente le paure e gli incubi più terribili nei movimenti scomposti del burattino; la quarta irrompe con la figura del terribile mongolo Tamerlano, restituito in scena con sagacia e sarcastica invenzione dalle mutate sembianze dell’affabulatrice; la quinta nell’incontro del mercante con la morte con la quale non si può trattare, neppure con la lettera di cambio per ottenere inediti ei straordinari maneggi post mortem (un quadro scenico geniale, “fuori del comune” e certamente risolutivo per comprendere la vera e indissolubile personalità del mercante pratese  (un self made man ante litteram).
Come altre volte, la piece teatrale di Maila che apre la scena su personaggi pratesi, documentandone in modo filologico le vicende rendendone pienamente credibili gli aspetti esistenziali più reconditi assume i connotati dell’universalità per i temi trattati e della contemporaneità per i possibili risvolti con il vissuto contemporaneo. Storie di uomini e di donne che incarnano altrettante tipologie che molto assomigliano alle persone e alle situazioni che misuriamo nel quotidiano. Come Plauto prima e Molière dopo dipingono la figura dell’avaro come un archetipo, Francesco di Marco, come Arpagone, esce dalla storia per raccontarci le umane debolezze e le fobie, vizi e virtù che attanagliano, oggi forse più di ieri, l’uomo.  La superba interpretazione di Gianfelice restituisce con ironia e incommensurabile espressività il quadro che scolpisce in modo memorabile il personaggio creato da Maila, affabulatrice dell’impossibile incontro, ma anche delicata narratrice nelle vesti di Margherita, moglie “coatta” di un carismatico Datini. (Giuseppe Centauro).

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