giovedì 26 ottobre 2017

La modernità di Francesco di Marco Datini


Stanotte ho sognato, come fa Francesco di Marco in scena: ma non che arrivassero i pirati e lo derubassero, bensì l'ho visto nella sua modernità, cosa che mi sembra non sia stato fatto se non al chiuso di qualche convegno.

Il Datini è moderno perché, lasciandosi alle spalle il Medioevo, il suo fare prelude o è già Rinascimento, e tale come lo intendeva Burckhardt nel suo La civiltà del Rinascimento in Italia: è già senso di libertà e di autonomia, allontanamento dal mondo chiuso e protetto da Dio della città medievale.

L'uomo del Rinascimento smania di compiersi nella sua individualità. I suoi rapporti umani finiscono per essere avvelenati dalla lotta per la conservazione del potere e della ricchezza, e gli altri sono considerati oggetti da usare e manipolare per quel fine.

Il nuovo sentimento di libertà però conduce allo smarrimento, il che non accadeva all'uomo 'statico' del Medioevo, per cui i beni materiali, ricordava Sant'Agostino, esistono per l'uomo. 

Il nuovo individuo ricco e potente, e in questo caso protocapitalista che vive per i suoi beni, si trova solo, non è più protetto, e ha bisogno di riconoscimento.

La vita diventa incerta, la via è smarrita, la notte piena di angosce e preoccupazioni per i propri affari: e allora la fama, gli onori possono costituire una sicurezza e un modo per mettere a riposo le incertezze.

Insomma Datini mostra già tutta modernità dell'uomo che si fa da sé, l'egocentrismo angosciato  incerto  feroce, bramoso di fama per non perdersi.

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