venerdì 27 ottobre 2017

Un commento su "Nel nome di Dio e del quattrino"

Ricevo da uno spettatore:


"Un Datini archetipo di sentimenti, di passioni e debolezze, di vizi e virtù. L’ho scoperto rivedendo per una seconda volta lo spettacolo a La Baracca, cosa che consiglio vivamente di fare a tutti quelli che già vi hanno assistito, magari posizionandovi in sala in un’ottica scenica diversa in modo da non tradire l’introspezione completa della commedia in una chiave diversa che rende multidimensionale il confine tra spazio reale e finzione. Mi ha colpito la solitudine dell’uomo Datini, che trascorre la propria esistenza attaccato al mito del quattrino quasi fosse la chiave di un’immortalità immaginata; accumulare denari quasi istintivamente, rende il protagonista un caso esemplare, forse lo fa per non pensare o piuttosto per non tradire l’innata avarizia. Il personaggio, messo in scena con una forza drammaturgica sopraffina, dopo l’auto celebrazione persino rivela verso se stesso una intolleranza imprevista. Una idiosincrasia per ogni genere di rapporto umano, a cominciare dall’amore sistematicamente negato alla caritatevole moglie Margherita, che per questo si dispera fino ad agognare di vivere anche un solo momento felice col marito.  Questo Datini è un uomo che oggi diremo di quelli col “pelo sullo stomaco”, sennonché  non si mostrasse esso stesso così fragile e tentennante. Di fatto, il Datini personificato da Gianfelice nelle vesti di un catatonico quanto paranoico mercante dei suoi tempi consuma la sua esistenza dietro miti inarrivabili, feticci di metallo sonante proprio come molti uomini e molte donne fanno oggi. Questa storia per questo fa molto riflettere, fino a turbare per lo sbigottimento che indirettamente riesce a procurare la parabola prima fortunata poi rovinosa del ricco mercante, costringendo tutti a immedesimarsi prima nella fortunata ascesa poi nel fallimento finale quasi che, seguendo quelli stessi idoli che Datini pose al centro del suo mondo, si trovasse ora gloria, ora  successo, infine perdizione. Margherita silente e disperata fa da contraltare all’arida scorza di Francesco di Marco, mettendo in realtà in mostra il coraggio del vivere, la bellezza spuria di un’umanità ferita, annichilita dal potere che tuttavia, nonostante il compromesso, l’accondiscendenza e tanto altro ancora, continua a credere nei valori dei sentimenti".



1 commento:

Gianfelice D' Accolti gianfelicedaccolti@gmail.com ha detto...

Parafrasando Leskov, abbiamo avuto la fortuna di incontrare lo "spettatore incantato": un sapiente che usa i suoi sensi in armonia col suo spirito e intelletto e ne fa lo spettatore ideale. Capace di penetrare un testo senza averlo letto ma con la sola partecipazione - attiva - alla azione scenica. Merito nostro, certo, ma merito soprattutto del suo acume vigile e della sua curiosita' sostenuta dall'amore e dalla frequentazione del Bello e delle Arti. Lo spettatore Ideale.
(quanto di piu' lontano da un Ministro dei Beni Culturali, manco a dirlo!)
Sono questi i gesti che ci ripagano di tanta ignoranza e tanta superficiale e studiata noncuranza delle " autorita' " preposte.

Grazie, veramente.

Orto-Pereto del Teatro La Baracca in fiore

"Amo il teatro perché si arriva alla verità smascherando il falso; mentre nella realtà si arriva alla falsità smascherando la verità&qu...