Prima di tutto è per me. Poi certamente per i bambini, e anche per i grandi.
Oggi raccontare vecchie fiabe o crearne di nuove è un piccolo atto politico sovversivo, piccola bomba del mondo immaginale messa in quello reale stagnante.
Per questo vanno assolutamente raccontate, anche ai grandi, anzi forse soprattutto a loro.
Fino ai tempi di mia nonna, prima della II Guerra Mondiale, erano soprattutto le donne che le inventavano, anonime, e che le raccontavano. I maschietti se ne appropriavano e ci mettevano la firma, come nel caso dei Fratelloni Grimm, che ci fecero soldi e diventarono famosi.
Lo stesso Gerardo Nerucci non fece altro che rielaborare le novelle che gli raccontavano per puro piacere le donne del Montale Pistoiese. E fu ancora un altro uomo, Italo Calvino, a propinarcele tutte quante ben scritte lasciandole per sempre nella letteratura italiana.
Ma, e lo dicono i redattori stessi, soprattutto le donne sono autrici di fiabe.
E ora, con l'avvento delle inutili panchine rosse e della tristissima schwa, le donne, che continuano a essere sfruttate nella cura domestica generale, e fuori nei lavori e nella politica degli altri con la benedizione dall'alto, ma sempre picchiate e tolte di mezzo se ribelli e in cerca di libertà, hanno abbandonato questa usanza, che invece è una grande occasione di riscatto.
Oltre a qualche vecchia fiaba toscana, che ormai son diventate italiane, ne presenterò di "nuove", mai raccontate.
Narrare è un'arte gustosa ma difficile; e lo sforzo si fa volentieri anche per contrasto al destino di morte che qualcuno sogna o vorrebbe segnare per la nostra bellissima lingua.
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