Recensione di Serena Rosati per la rivista culturale Gufetto.
VIAGGIO ALL’ISOLA ECOLOGICA @ Teatro La Baracca: racconto ecosostenibile a luci spente.
VIAGGIO ALL’ISOLA ECOLOGICA @ Teatro La Baracca: racconto ecosostenibile a luci spente.
"Gufetto la prima volta al Teatro la Baracca di Prato per VIAGGIO ALL'ISOLA ECOLOGICA, ultimo lavoro che conferma la determinazione e l'impegno civile di Maila Ermini, fondatrice del teatro nonché autrice e attrice della "lettura" improntata all'ecosostenibilità e all'armonia con la natura troppo spesso violentata. In attesa della nuova replica prevista per sabato 25 maggio, ecco cosa ne scrive la neoredattrice Serena Rosati:
"Una scenografia essenziale, fatta di spazi immaginati e disseminata di piccole barchette di carta riciclata (che convergono al centro del palco verso un’isola fatta di stracci), ci porta subito a comprendere che protagonista dei diversi piani del racconto è la parola. Maila Ermini interpreta un testo pregno di significato e dall'impatto emozionale molto forte, sostenuto da una recitazione intima e diretta, dove la gestualità non è fondamentale, in quanto la storia non decorre sul palco ma nel proprio mondo interiore.""
"Una scenografia essenziale, fatta di spazi immaginati e disseminata di piccole barchette di carta riciclata (che convergono al centro del palco verso un’isola fatta di stracci), ci porta subito a comprendere che protagonista dei diversi piani del racconto è la parola. Maila Ermini interpreta un testo pregno di significato e dall'impatto emozionale molto forte, sostenuto da una recitazione intima e diretta, dove la gestualità non è fondamentale, in quanto la storia non decorre sul palco ma nel proprio mondo interiore.""
Sabato 11 maggio (con replica prevista per sabato 25 maggio) ha debuttato al Teatro La Baracca di Prato lo spettacolo Viaggio all'Isola Ecologica- racconto a luci spente, scritto e interpretato da Maila Ermini, drammaturga e attrice, vincitrice del XIV Premio Fondi La Pastora. La protagonista narra in prima persona la cronistoria della sua vacanza, che la porta in veste di turista a visitare un’isola detta “ecologica” e, sfogliando le pagine di un quaderno, grazie ad un racconto altamente empatico, accompagna lo spettatore all’interno di un mondo di eventi, testimoniando tasselli di quotidianità cosi familiari da sembrare vissuti.
“Seconda stella a destra questo è il cammino e poi dritto fino al mattino”: erano queste le indicazioni per raggiungere l’isola di Edoardo Bennato. Contrariamente ai visitatori della fantomatica “Isola che non c’è”, iniziamo il nostro viaggio verso la nostra meta entrando in un luogo fisico, il Teatro La Baracca a Casale di Prato (il luogo stesso anticipa il tema), un porto reale dal quale partire per il nostro viaggio metaforico. Un ex magazzino per gli attrezzi, una baracca, appunto, salvata dalla demolizione e trasformata da uno spazio fatiscente ad uno concreto, baluardo del riciclo e del riuso.
Prima ancora che si apra il sipario sulla rappresentazione, il percorso di riflessione inizia entrando nel piccolo foyer, dove l’atmosfera intima e accogliente è data dalla luce di una candela che lascerà spazio successivamente alla fioca luce delle lampade solari. Un’alternativa ecosostenibile alla luce elettrica, che dichiara fin da subito quale sarà il filo conduttore della serata e che dà avvio ad un esperimento teatrale teso ad una partecipazione più introspettiva del pubblico. L’ambiente raccolto e informale e le panche spartane che emanano una certa sacralità, fungono da incubatore per preparare gli spettatori ad accogliere questo racconto inedito che ha come scopo una rinnovata sensibilizzazione verso i temi ecologici correlati alla più stretta attualità. Un viaggio che inizia nel presente, per condurci verso la visione di un futuro distopico, dove quello che è si unisce inscindibilmente a ciò che potrebbe essere. Una scenografia essenziale, fatta di spazi immaginati e disseminata di piccole barchette di carta riciclata (che convergono al centro del palco verso un’isola fatta di stracci), ci porta subito a comprendere che protagonista dei diversi piani del racconto è la parola. Maila Ermini interpreta un testo pregno di significato e dall'impatto emozionale molto forte, sostenuto da una recitazione intima e diretta, dove la gestualità non è fondamentale, in quanto la storia non decorre sul palco ma nel proprio mondo interiore.
Il racconto serve a rendere plasmabile qualcosa che diversamente rimarrebbe categorizzato nella rappresentazione, serve a liberare idee ed emozioni che altrimenti potrebbero assumere un significato inevitabilmente indotto. Nel momento in cui ascoltiamo una storia, attuiamo inconsciamente una rielaborazione che permette un'arbitraria presa di coscienza dell’evento che stiamo trattando. La narrazione permette quindi di comporre scenari e intravedere strade alternative svincolando lo spettatore dalle descrizioni standardizzate del problema, incoraggiando punti di vista diversi, favorendo così un nuovo approccio al problema stesso. Le pareti sottili e non insonorizzate consentono un’esperienza partecipativa con l’esterno, dove finzione e realtà si compenetrano e permettono ai rumori naturali di integrarsi con l’esperienza scenica. La pregnanza delle parole è enfatizzata dallo scoppio del temporale, dal frastuono dei tuoni e dal rumore della pioggia battente sul tetto di legno. La luce fredda delle lampade solari è caratterizzata da un’intrinsecacaducità, che limita la durata dell’illuminazione nel tempo e contestualizza l’urgenza che il tema affronta.
Alcune sfumature orwelliane presenti nella descrizione della vita sull’isola, possono essere ricondotte alla società attuale: il racconto spinge verso una critica dei sistemi totalitari e degli organismi di controllo delle masse, fino ad un’analisi critica della dottrina di assoggettamento della natura, da sempre concepita in chiave di utilità e beneficio alla specie umana. La nostra avventrice, messa di fronte all’evidenza di una situazione che era sempre stata sotto i suoi occhi, occulta ma allo stesso tempo palese, viene portata alla consapevolezza che nasce dal dolore della verità e che la pone di fronte ad un bivio: restare indifferente o agire. Superare i limiti della propria realtà ci porta su un terreno sconosciuto, proseguire il cammino comporta una scelta, che spesso implica l’abbandono delle proprie certezze. Le persone tendono a restare fedeli alle proprie finzioni, rendendo più facile continuare a vivere lasciando compiere ad altri le azioni che spettano a noi. Cosi la libertà anelata subisce un processo di idealizzazione adattata dai processi difensivi che inconsciamente temiamo, intrappolandoci in schemi preconfezionati dove la tranquillità di vivere si sposa con la certezza che domani sarà uguale a oggi e travalica la forza di scegliere una nuova direzione che risulterebbe un’incognita.
Lo psicologo Paul Watzlawick affermava che “comunque ci si sforzi, non si può non comunicare. L'attività o l'inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio”. Anche decidere di non scegliere è purtroppo una scelta, in grado di ridurci alla condizione di quegli ignavi peccatori che Dante pone nell’Antinferno, che lasciando gli eventi al caso e non manifestando mai alcuna volontà propria, arrecarono danno a loro stessi e alla società.
La lettura spinge ad un’analisi critica più approfondita di questa civiltà basata sull’economia dei numeri e del sistema socio-economico che ruota attorno al consumo di oggetti e servizi. Oppressi da un senso di ineluttabilità dettato dalla convenienza e dalla paura di perdere il benessere dato dai consumi, tendiamo ad anteporre la nostra individualità ai bisogni della comunità.Si rende necessario ripensare i valori antropocentrici sui quali è fondata la nostra vita, sviluppando il pensiero integrativo, al fine di rendere ogni nostra decisione il più possibile consapevole. Dal racconto traspare un’esortazione a prendere posizione, a porre l’attenzione con maggiore sollecitudine verso le problematiche ambientali-ecologiche, che con il loro progressivo e inesorabile aggravarsi, renderanno sempre più difficile la possibilità di tornare ad uno stato d’equilibrio. La cultura del presente quindi, dovrebbe interrogarsi sempre più circa i rischi ed i danni prodotti sull’ambiente. Lo stimolo al cambiamento dovrebbe iniziare con il riconsiderare il significato del nostro ruolo nella società e prendendo coscienza che, valutando consapevolmente ciò che si acquista, si consuma, si indossa o si mangia, è possibile davvero incarnare il cambiamento che si vorrebbe vedere nel futuro.
Breve storia del teatro
Il nome del teatro ha una duplice valenza: oltre a riprendere il nome della rimessa che i contadini locali indicavano appunto come la Baracca, fa un rimando concettuale al teatro viaggiante di García Lorca “La Barraca”, una compagnia che operava lontano dai circuiti teatrali convenzionali e che aveva l’intento di avvicinare il pubblico rurale dei paesini spagnoli ai classici del teatro. La fondatrice Maila Ermini, in nome dell’amore per la drammaturgia, ha lasciato le sicurezze di una vita “borghese”, affrontando l’instabilità che la vita da artista può portare. Nel 1993 decide di usare come base della sua compagnia una baracca sgangherata, per portare avanti la sua idea di teatro, lontana dall’idea commerciale, a favore dell’impegno civile, conscia che l'arte non debba assolutamente essere conformista. Dal 1996 ad oggi l’attività è stata costellata ininterrottamente da laboratori e spettacoli di vario genere, spesso affrontando temi impegnati e talvolta scomodi.
Il racconto serve a rendere plasmabile qualcosa che diversamente rimarrebbe categorizzato nella rappresentazione, serve a liberare idee ed emozioni che altrimenti potrebbero assumere un significato inevitabilmente indotto. Nel momento in cui ascoltiamo una storia, attuiamo inconsciamente una rielaborazione che permette un'arbitraria presa di coscienza dell’evento che stiamo trattando. La narrazione permette quindi di comporre scenari e intravedere strade alternative svincolando lo spettatore dalle descrizioni standardizzate del problema, incoraggiando punti di vista diversi, favorendo così un nuovo approccio al problema stesso. Le pareti sottili e non insonorizzate consentono un’esperienza partecipativa con l’esterno, dove finzione e realtà si compenetrano e permettono ai rumori naturali di integrarsi con l’esperienza scenica. La pregnanza delle parole è enfatizzata dallo scoppio del temporale, dal frastuono dei tuoni e dal rumore della pioggia battente sul tetto di legno. La luce fredda delle lampade solari è caratterizzata da un’intrinsecacaducità, che limita la durata dell’illuminazione nel tempo e contestualizza l’urgenza che il tema affronta.
Lo psicologo Paul Watzlawick affermava che “comunque ci si sforzi, non si può non comunicare. L'attività o l'inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio”. Anche decidere di non scegliere è purtroppo una scelta, in grado di ridurci alla condizione di quegli ignavi peccatori che Dante pone nell’Antinferno, che lasciando gli eventi al caso e non manifestando mai alcuna volontà propria, arrecarono danno a loro stessi e alla società.
Il nome del teatro ha una duplice valenza: oltre a riprendere il nome della rimessa che i contadini locali indicavano appunto come la Baracca, fa un rimando concettuale al teatro viaggiante di García Lorca “La Barraca”, una compagnia che operava lontano dai circuiti teatrali convenzionali e che aveva l’intento di avvicinare il pubblico rurale dei paesini spagnoli ai classici del teatro. La fondatrice Maila Ermini, in nome dell’amore per la drammaturgia, ha lasciato le sicurezze di una vita “borghese”, affrontando l’instabilità che la vita da artista può portare. Nel 1993 decide di usare come base della sua compagnia una baracca sgangherata, per portare avanti la sua idea di teatro, lontana dall’idea commerciale, a favore dell’impegno civile, conscia che l'arte non debba assolutamente essere conformista. Dal 1996 ad oggi l’attività è stata costellata ininterrottamente da laboratori e spettacoli di vario genere, spesso affrontando temi impegnati e talvolta scomodi.
1 commento:
E' così difficile oggi, per un teatro come La Baracca, ricevere una recensione! E non solo perché positiva, ma tanto più gradita perché inaspettata. Un grazie alla rivista "Gufetto" che sostiene il teatro italiano, anche quello indipendente.
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