giovedì 23 luglio 2009

L'assessore etrusco


Esprimo preoccupazione per quanto affermato dall'assessore Nesi, della Cultura, riguardo agli etruschi. Afferma che 'cultura e impresa' sono simbolo della pratesità. Cosa significa? Che Interporto e Parco Archeologico possono convivere in qualche progetto markettaro uscito dal cappello di qualche manager bravissimo di multinazionale farmaceutica?

L'assessore afferma di essersi recato a Gonfienti? Ha visto che l'area archeologica è stata recintata o s'è svegliato or ora folgorato dal soffitto affrescato di Palazzo Buonamici? Si è reso conto in che condizioni sono gli scavi mentre l'ecomostro si staglia sul profilo azzurro-verde di Poggio Castiglioni? E i reperti dove sono, dove li mettono? E la kylix, gliel'hanno fatta vedere, all'assessore, la kylix?
Chieda alla signora Poggesi della Soprintendenza, forse lei sa dov'è.
Perché, invece di fare roboanti, retoriche dichiarazioni e fare operazioni-lancio di libri, non cominciate a ripulire il sito archeologico?
Assessore, forse lei è nuovo a queste cose, ma noi siamo stanchi di essere presi in giro.


Maila Ermini



DA IL TIRRENO, GIOVEDÌ, 23 LUGLIO 2009

«Voglio cominciare dagli etruschi»

Nesi anticipa le sue idee: archeologia e interporto insieme, simbolo della città


Coinvolgerò gli amici più cari Veronesi, Baricco e Colzi un manager bravissimo E su ogni progetto parleranno i cittadini

PRATO. «Ho capito che mi piace. E non era affatto scontato. Mi piace lavorare per una città e non solo per me stesso o per la mia famiglia, come è accaduto fino a ora. E’ una sensazione che mi prende piano piano. E’ l’orgoglio di chi lavora per gli altri». Edoardo Nesi, scrittore-assessore, è nel suo nuovo studio nel palazzo Buonamici, sede della Provincia. E’ lui il “colpo d’ala” della giunta Gestri ed è entrato subito in attività. Computer acceso, tavolo di cristallo già pieno di carte, grafici aperti, la segretaria che entra ed esce. Guarda il soffitto altissimo affrescato, la finestra antica che affaccia su via Ricasoli. «E’ bello» dice. Assessore come è stato il primo approccio a questa nuova attività? «Ho sentito una chiamata supplementare. Lavoro in una città che adoro e che ho capito essere in una situazione difficilissima solo entrando qui dentro. Ho parlato con tante persone e mi si è aperto un universo sconfinato. Il problema economico è già terribile, ma è aggravato dal fatto che quello di buono che hanno fatto i padri, non è di aiuto ai figli che si trovano in un mondo completamente diverso. E’ un problema di identità, di riconoscersi. E c’è un’altra questione: la velocità con la quale il cambiamento è venuto. Solo dieci anni fa i sogni di Prato erano potentissimi. Si lavorava senza porsi limiti, la crescita era pazzesca e c’era la convinzione che mai si sarebbe arrestata. Era un movimento di popolo, dove le fasi di lavorazione dei filati avvenivano ciascuna in un’azienda diversa e tutti guadagnavano: l’orditore, come il filatore, i rifinitori come quelli che trasportavano le materie prime. Funzionava tutto alla perfezione». Cosa si è rotto? «La grande Prato era tutta vera. Ma c’era anche una parte di retorica: che noi fossimo i migliori del mondo era una convinzione. Abbiamo vissuto una condizione di privilegio. Il mondo libero con il quale noi facevamo affari, protetti dai dazi, era dentro un grande cerchio che conteneva America da una parte e il Giappone dall’altra, nulla ovviamente oltre cortina, il blocco contrapposto. Poi i confini si sono dilatati, con la globalizzazione e l’orizzonte è diventato il mondo. E i nostri privilegi sono scomparsi». Di globalizzazione si parla anche nel suo ultimo libro “La storia della mia gente” in uscita tra settembre e ottobre. «Il libro è un saggio autobioagrafico, una cosa particolare, dove parlo anche del percorso imprenditoriale della mia famiglia. Mi chiedo perchè, in Italia, il concetto di globalizzazione non sia mai stato messo in discussione, né dalla destra né dalla sinistra. E’ stato indiscutibilmente un processo negativo ma il dubbio non ha mai sfiorato chi i trattati li firmava». Prato tutte le contraddizioni della globalizzazione le ha fuori porta Pistoiese. «Non bisogna confondere le cose. La produzione cinese non ha mai fatto danni a quella pratese. Sono state cose diverse, è come se i cinesi avessero prodotto computer. Però i conti con quel mondo Prato li deve fare. Certo i cinesi vivono in dodici in uno stanzone, hanno ritmi di lavoro impensabili per noi. Ma vengno da un mondo per noi sconosciuto, che è molto peggiore del nostro, qui stanno bene. Credo non si possa continuare a non avere rapporti con i loro rappresentanti. Bisogna venire a patti e non usarli come argomento elettorale». Che giudizio dà sulla Chinatown di Prato? Le piace? «Non mi piace. Dico però che se in tanti sono venuti da noi, qualcosa, questa città, deve pur aver dato alla comunità cinese. Ecco, è arrivato il momento di aprirsi e restituire altrettanto a Prato in termini di contatti e di integrazione, altrimenti non si va avanti. Potrebbero cominciare acquistando qualche pezza di tessuto che produciamo noi. E’ più cara, certo, ma anche i cinesi di Prato dovranno fare il salto nel prodotto di qualità: la concorrenza con la madre patria la sentono anche loro». Dopo l’analisi, i progetti: ha individuato una via d’uscita? «Sono qui alla ricerca di una via di sviluppo che vedo anche nella cultura, che significa fare economia. E’ un equivoco pensare alla cultura come una cosa per la quale si paga, pensare che la cultura è un costo. E’ vero solo se si fa diventare vero. Abbiamo esempi di città, anche a pochissimi chilometri di distanza, nelle quali la cultura è diventata un volano dell’economia. Non mi riferisco solo a Firenze, penso a Umbria Jazz, per esempio o ad altre manifestazioni in Italia e all’estero, attraverso le quali la cultura diventa uno straordinario accesso allo sviluppo economico». Ha già in mente qualcosa? «Gli etruschi, voglio portare gli etruschi a Prato. Come, è un progetto che ho in testa, ma bisogna che mi confronti con un altro paio di persone. Il concetto però è che bisogna valorizzare ciò che c’è. In questo caso la civiltà etrusca è la nostra storia vera, e sta solo sotto terra. Ho visitato l’area di Gonfienti all’Interporto. L’ho trovata straordinaria. E la vicinanza con la piattoforma logistica la rende un simbolo della pratesità: cultura e impresa. Coinvolgerò gli amici più cari, persone straordinarie: Sandro Veronesi, Alessandro Baricco, Alberto Colzi che è un manager bravissimo di una multinazionale farmacentica che ha fatto il Cicognini con me. Perchè c’è bisogno di idee, soprattutto quando i soldi sono pochi». Ha qualcosa da dire alla città? «Che avrò bisogno del contributo di tutti. E che nulla verrà dato per scontato: i progetti che proporrò dovranno essere sottoposti al vaglio dei cittadini. Mi metto a disposizione per qualsiasi giudizio».Cristina Orsini

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Brava Maila.



Stato Libero

Simone ha detto...

Nesi ha lavorato, se così si puo' dire, forse mezz'ora la settimana come Assessore alla Cultura della Provincia...e sono generoso.
Sono passati 3 anni , lo si può dire senza tema di smentita.
E lo stipendio che prende dovrebbe essere decurtato delle restante centinaia di ore che mancano all'appello di un vero Assessore.

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