domenica 26 giugno 2022

Non ci capiamo, e la questione dell'aborto


Mercoledì prossimo, 29 giugno 22 (Piazzetta Buonamici di Prato, ingresso libero) replichiamo Non ci capiamo, Dialogo impossibile fra Carla Lonzi e Pier Paolo Pasolini.

Dati i tempi - annullamento del diritto costituzionale all'aborto negli Stati Uniti - ci sembra che la nostra rappresentazione sia più che mai significativa e opportuna.

L'incontro, mancato nella realtà, fra Carla Lonzi e Pasolini, e che sta alla base del dramma, parte proprio dalla discussione della legge sull'aborto in Italia, la 194, nel 1975 e dalle polemiche scaturite dall'articolo di Pasolini "Il coito, l'aborto, la falsa tolleranza del potere, il conformismo dei progressisti". L'articolo pasoliniano, pubblicato sul "Corriere della Sera" il 19 gennaio 1975, fu all'origine di una vasta aspra discussione e critica che coinvolse molti intellettuali e che è conosciuta, e che spesso è stata strumentalizzata.

Pasolini rifiutava l'aborto non dal punto di vista legale, ma perché lo considerava una aborrita conseguenza del consumismo sul sesso. (1).


La posizione della Lonzi è meno conosciuta, e voglio qui riportare due passi da due opere che non sono reperibili su Internet, ma che ritengo utili per la comprensione della situazione attuale, il diritto d'aborto sempre messo in discussione ovunque e quando possibile -  nonché ovviamente della mia opera:

"Le donne abortiscono perché restano incinte. Ma perché restano incinte? È perché risponde a una loro specifica necessità sessuale che effettuano i rapporti col partner in modo tale da sfidare il concepimento? La cultura patriarcale non si pone questa domanda poiché non ammette dubbi sulle leggi "naturali". Evita solo di chiedersi se in questo ambito ciò che è "naturale" per l'uomo lo è altrettanto per la donna: lo dà per scontato e difende con ogni mezzo la sessualità dell'uomo patriarcale come sessualità "naturale" per entrambi, uomo e donna.
(...)
L'uomo ha lasciato la donna sola di fronte a una legge che le impedisce di abortire: sola, denigrata, indegna della collettività. Domani finirà per lasciarla sola di fronte a una legge che non le impedirà di abortire: sola, gratificata, degna della collettività. Ma la donna si chiede: "Per il piacere di chi sono rimasta incinta? Per il piacere di chi sto abortendo? Questo interrogativo contiene i germi della nostra liberazione: formulandolo, le donne abbandonano l'identificazione con l'uomo e trovano la forza di rompere un'omertà che è il coronamento della colonizzazione.

La donna adesso riflette: se è stato nel modello sessuale imposto dall'altro, dall'uomo, che essa ha sfidato il concepimento, allora è stato l'uomo a sfidare il concepimento sul corpo di lei. Il concepimento dunque è frutto di una violenza della cultura sessuale maschile sulla donna, che viene poi responsabilizzata di una situazione che invece ha subìto.
Negandole la libertà di aborto l'uomo trasforma il suo sopruso in una colpa della donna."
(Sessualità femminile e aborto in Sputiamo su Hegel, pp.68-70, Rivolta Femminile, Milano, 1974).

E ancora, in particolare commenta la posizione di Pasolini, su Taci, anzi parla:

"Non posso leggere qualcosa di Pasolini senza che mi ri riapra una specie di ferita. Avrei dovuto esporgli il mio punto di vista, argomentarlo - adesso capisco che ha parlato da poeta, come si dice, cioè abbastanza sprovveduto sul problema dell'aborto in sé, mentre io davo per scontato che ne fosse molto addentro, in questo riconosco un mio tipico errore...L'equivoco di base è che non ho preso sul serio la sua dichiarazione contro la liberazione dell'aborto, il suo verdetto di omicidio. L'ho considerato implicitamente un pregiudizio, un falso problema. Qualcosa da non controbattere nemmeno, da lasciare smaltire per via indiretta. La via diretta era l'offerta di una fiducia che facesse barcollare la sua sfiducia nella donna. E' da questo sentimento verso la donna che nasce in lui l'orrore di un aborto lasciato al suo arbitrio. Ancora, Pasolini si sente l'unico martire, e non può abbandonare il suo punto di vista egocentrico. Anc'io ho avuto la stessa forma di autoinvestitura. Certo i miei drammi sono stati più privati (il fatto che non mi abbiano permesso che fossero pubblici non è l'affronto peggiore?), mentre in lui hanno avuto un aspetto di persecuzione aperta che deve essere stato tremendamente umiliante visto che non riesce a liberarsene, oppure lo sta facendo, ma c'è ancora dentro; d'altra parte è anche un uomo affermato come poeta, regista, scrittore, quindi ha avuto la controparte positiva, è stato riconosciuto dalla cultura. Mentre io no, e ammettiamo pure che c'è un abisso tra noi, siamo sulla stessa strada, e io sono più avanti. Dunque non ha capito quello che io gli ho scritto per questo semplice motivo. Avrei potuto dirgli qualsiasi altra cosa, non sarebbe servita a niente. L'unica non dico speranza, ma possibilità, è che la lettera abbia trovato eco nel suo inconscio.
Il mio problema è i non rinati, non i non-nati.
Nessuno può impormi la maternità se non la voglio.
Questo è il dogma".
(Taci, anzi parla. Diario di una femminista. Edizioni Rivolta Femminile, Milano, 1978, pp. 940-941).


Approfondimento sul dramma:

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