Perché lo spettacolo di sabato prossimo alla Baracca, Gli Etruschi non parlano gli Etruschi non esistono (Viaggio nella letteratura etrusca) costituisce uno scandalo?
Di quale scandalo si tratta?
Pasolini rivendicava il diritto di scandalizzare, e nel suo tempo era in buona compagnia. O abbastanza, anche se nessuno raggiungeva il suo livello di scandalo culturale.
Ora invece, tutto al contrario, in tempo di super-restaurazione la cultura si guarda bene dal creare scandalo o imbarazzo se non in una cornice istituzionalizzata, accettata, voluta, e solo per fingere un modo di essere o estetico emancipato o aperto eccetera, che non corrisponde a nulla.
E invece noi ogni tanto, senza denudarci, anzi ben vestiti, ci pregiamo di ossequiare la vecchia tradizione di épater les bourgeois, che poi qui di borghesi non so se si può ancora parlare.
Ma sia: già di per sé parlare di Etruschi a teatro è scandaloso:
e rispetto al teatro (argomento quantomeno anomalo, non avendo appunto alcun testo teatrale etrusco), e dall'altra parte, per tutto il mondo culturale legato ai beni ambientali e culturali amen, che non si capacitano di come a teatro si possa portare uno spettacolo sugli Etruschi. (Non si capacitarono con il dramma Laris Pulenas, forse si sentirono offesi, figuriamoci adesso!)
Non potendoci definire dilettanti, in certi ambienti se non hai il tesserino di laurea giusta sei con disprezzo definito un dilettante, tutti tacciono, perché non sanno come collocare lo spettacolo.
In aggiunta è scandaloso perché parla di quello che non c'è, tratta di ciò di cui non è pertinente lecito o no so parlare, se non nel suo proprio contesto, e per giunta, nel titolo provocatorio (Viaggio nella letteratura etrusca? ma questa è pazza!) postula una presenza dove c'è comprovata assenza, e così senza volerlo diventa anche simbolo della politica attuale: mancante. Eppure se ne parla e quanta pessima letteratura produce!
Infatti inevitabilmente, trattando di Etruschi, non si può non transitare direttamente nel politico o nell'impegnato, o nel poetico, come vedrà e sentirò chi verrà a vederci.
A Prato come sapete non c'è il Museo Etrusco, anche se gli Etruschi li hanno trovati, ma questa volta non parlerò di questo, perché appunto il discorso si pone su un livello diverso e che si estende e va e gira a tal punto da essere di per sé stesso uno scandalo.
Ma potrebbe essere semplicemente teatro documentario, di quelli che ancora alla Baracca si possono apprezzare, o non apprezzare. Ma che ci sono. Altro scandalo. No?
E infine, i ringraziamenti: ma senza malinconie o troppe riverenze, per carità!
Come altri, anche questo spettacolo deve molto a Pasolini Malaparte Lorca, Dalì, Lawrence, Yourcenar, Morante, Macrì, Vassalli, Agamben, Aurelio Roncaglia, Tullio Gregory, Massimo Scheggi, Carla Lonzi, e a tutti i miei insegnanti di "ORALITURA", mio padre e mia madre, le nonne in particolare, Osmina e Ada, la zia Piera e altri zii biszii, conoscenti antichi come la pollaiola Tacca del Montanino di Reggello, la pratese Pea di via Bolognese, e non dimentico il caro amico e confidente Fulvio Silvestrini. (E invece voi lo avete dimenticato, nonostante le traghette che mettete, ma perché non è una cosa che è partita da voi, è partita da qui, proprio qui!).
Un ringraziamento particolare infine lo dedico a Giovanni Feo. Lo conobbi tanti anni fa, avevo una casa a Pitigliano vicino al ghetto. Lo incontrai due o tre volte.
Prima che morisse, al telefono con amici, disse di ricordarsi di me. Allora, a Pitigliano, ero una giovane sposa ribelle, lui mi scoprì gironzolante e curiosa fra le tombe e le tagliate. E ricordo bene che una sera, insieme ad altri viaggiatori del mondo ctonio, in una trattoria ai piedi della Fortezza Orsini, mangiammo un'acquacotta. Lo chiamavano Apache, ed era della razza umana ormai scomparsa degli Uccelli.
Laris Pulenas a Poggio Castiglioni, Prato nel 2008