A proposito di Interporto, leggendo nella cronaca de “Il Tirreno” di oggi (15/06/2009) l’ennesimo proclama di sviluppo della piattaforma intermodale, viene da chiedersi come mai queste enfatiche precisazioni avvengano sempre il giorno dopo che da parte di una crescente moltitudine di cittadini – così com’è avvenuto venerdì sera nel corso della manifestazione “Gonfienti in festa” - si reclamano i diritti primari dell’ambiente, ovvero la tutela del paesaggio e dei beni archeologici - qui riconosciuti di particolare importanza e pregio - , diritti continuamente calpestati proprio a causa dell’interporto che ormai da anni sembra muoversi per la loro totale dissoluzione.
La prevaricazione e l’arroganza autoreferenziale della Società Interporto, ribadita nell’assolutistico ed unilaterale annuncio odierno, si sottrae così agli adempimenti costituzionali nei confronti dei diritti all’ambiente e persino, ai dispositivi normativi stabiliti dagli strumenti urbanistici vigenti.
Sul piano normativo, infatti, la salvezza delle testimonianze archeologiche di Gonfienti passa anche attraverso il rispetto di quanto fu deliberato nel 2003 dall’Amministrazione Comunale di Prato che, predisponendo una Variante allo Strumento urbanistico allora vigente, mise nero su bianco, in vista della costituzione di un futuro parco archeologico, sul rispetto paesaggistico assoluto da garantirsi in quei luoghi su di una superficie di quasi 17 ha, confinando l’invasività territoriale dell’interporto entro ben precisi limiti. Oggi questi limiti sono stati arbitrariamente superati, alterando non solo il profilo paesaggistico dell’intorno e del territorio che si sarebbe dovuto salvaguardare, ma anche invadendo direttamente terreni posti, fin dal 2006, in regime di tutela per avviso di Decreto emanato dal Direttore Regionale dei Beni Culturali, ai sensi del D. Lgs. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio).
La popolazione di Gonfienti e non solo quella, non urlando, ma di certo sostenendo a viva voce questi diritti, ha inteso sottolineare l’esigenza primaria di garantire, anche in mancanza di controllori in grado di farlo adeguatamente, dignità di sopravvivenza per quel territorio, per la tutela della qualità di quell’ambiente e per tutte le straordinarie testimonianze archeologiche di Gonfienti. Nel corso di un pubblico dibattito, ripreso nella cronaca del quotidiano “Il Tirreno” di ieri , i residenti hanno sottolineato l’irrinunciabilità al rispetto e alla salvaguardia di questi beni culturali ed ambientali che appartengono a tutta la comunità e non già all’Interporto. Per tutta risposta oggi si ribadisce che Interporto continuerà la sua legittima azione in vista dell’allaccio intermodale, senza però dire che l’apertura dello scalo merci, non ha niente a che vedere con la mutilazione che quella stessa società sta procurando alle zone di pregio paesaggistico ed archeologico. L’aberrante mistificazione in atto rende davvero acre il sapore di una convivenza che si dice di volere solo a parole ma che, nella realtà dei fatti, si nega sempre più, ogni giorno che passa. Anche per queste ragioni, Interporto non può, in nessun modo, appropriarsi di terreni non inclusi nel Piano di Utilizzo, varato nel dicembre 2006, costruendovi sopra torri metalliche, sbranando i suoli con scassi per creare nuove servitù e cablaggi di controllo ad uso proprio, recintando in modo del tutto avulso dal contesto paesaggistico, su di un confine che dal 2003 è stato cancellato dalla sua giurisdizione, semmai sovrapponendo plinti e pali cementati sopra suoli delicatissimi, già inseriti in aree archeologiche conclamate e vincolate dalla legge. Dove sono i progetti di tutto questo? Quale iter burocratico hanno seguito questi interventi? Con quale diritto si è agito per realizzare queste opere?
Un principio deve essere chiaro al cittadino: la legge è uguale per tutti ed il diritto dei beni culturali ed ambientali non può essere piegato arbitrariamente ad azioni utilitaristiche di parte, stabilite cioè fuori dalle procedure e dai protocolli, così come avvenuto per quelle sopra descritte, dannose ed irresponsabili. Se poi, guardiamo lo stato di degrado e di abbandono nel quale giacciono da due anni a questa parte le strutture archeologiche da tutelare e mettere in valore per la fruibilità futura dei cittadini, al danno procurato si aggiunge la beffa di veder assottigliare l’area del futuro parco, e non già per metterlo in sicurezza gli scavi (considerate le miserevoli condizioni in cui è stato lasciato il sito), bensì per sottrarlo alla vista, forse a possibili contestazioni e alla denuncia di inadempienze che scaturiscono da un sacrosanto diritto del cittadino e dalla gestione democratica del territorio.
Prof. Giuseppe Alberto Centauro
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