L'ultimo aruspice, in ricordo di Giovanni Feo
di Giuseppe Centauro
Giusto un anno fa ci lasciava Giovanni Feo, insieme scienziato e poeta, gran cantore di quella "scienza non scienza" che fu propria della cultura del mondo etrusco. Scopritore del cerchio di megaliti di Poggio Rota e di molto altro ancora, Giovanni è stato anche, a mio modo di vedere, l'ultimo aruspice dottrinale di una memoria storica pressoché perduta, proprio come lui ci 'comunicava' nei racconti delle antiche storie e, attraverso di esse, spiegava le sue straordinarie intuizioni, dalle più semplici alle più complesse lezioni, firmandosi con ironia: "Tagetis Disciplina Docet" (TDD).
A proposito dell'ormai prossimo solstizio d'estate lo voglio qui ricordare con un inedito scritto dettato ai giovani apprendisti della Disciplina ai quali ben volentieri si rivolgeva :
"Per gli antichi il Sole era una divinità, un essere divino e superiore quotidianamente venerato e interpellato tramite riti e celebrazioni. Nelle necropoli e nei templi orientati verso importanti direzioni spaziali il più diffuso orientamento era verso l'alba o il tramonto del Sole nei giorni dei solstizi, il 22 giugno e il 22 dicembre. La diffusione di monumenti orientati in tal modo è rinvenibile presso le più varie civiltà antiche, anche se non mancano orientamenti diversi, soprattutto per segnare le fasi lunari e le date equinoziali. Ancor oggi, nel giorno del solstizio estivo, giungono al tempio megalitico di Stonehenge turisti, curiosi e folle d’ogni tipo per assistere al corteo dei Druidi, i sacerdoti celtici dalle bianche vesti convenuti a celebrare il giorno di massimo splendore del Sole; così come già facevano 5 mila anni fa i loro antenati pre-celtici. In modi non troppo dissimili, all'alba del solstizio invernale, si officiavano ritualità e celebrazioni in particolari luoghi sacri dell'antica Etruria rupestre. Sulla piattaforma scolpita nel tufo sotto al ‘tempio’ della tomba Ildebranda salivano sacerdoti e sacerdotesse poco prima dell'alba. I sovanesi e altri etruschi provenienti da tutta la valle del Fiora (Armine in etrusco) assistevano dal basso, sotto la grande rupe dove era stato scolpito il tempi a dodici colonne, dodici come i mesi dell'anno solare. Il momento in cui il Sole toccava con i primi raggi la facciata del tempio, penetrando tra le colonne e nel corridoio funerario, era forse il momento più importante. Il tempio “si accendeva”, sia dal punto di vista visivo, poiché poteva risplendere la smagliante policromia con cui era stato dipinto, sia dal punto di vista sacro. In quei momenti, infatti, dovevano svolgersi diverse operazioni, tra cui il rito di offerta al Dio solare (Tinia o altra figura omologa) per propiziare la buona riuscita delle attività e delle opere umane. Contemporaneamente venivano controllate e ricalibrate tutte le “misure” utili all'osservazione astronomica, in modo da poter seguire il dio-sole nel percorso annuale tracciato sulla volta celeste. Una tradizione analoga, ma in diverso contesto storico, la si ritrova nel duomo romanico di Sovana, orientato verso l’alba del solstizio estivo, giorno dedicato a San Giovanni Battista. Il duomo, però, è oggi dedicato a San Pietro. La contraddizione deriva forse dall’esistenza di un antico Battistero di San Giovanni, precedente all'attuale edificio romanico; comunque sia, all'alba del solstizio estivo una lama di luce solare penetra nella stretta finestra sopra l'altare maggiore, attraversando in lunghezza tutta la chiesa. Nella cripta si verifica un fenomeno analogo: il raggio di sole entra da una stretta finestrella e va a illuminare l'altare, situato sulla parete di fondo del sotterraneo" (Giovanni Feo)
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