martedì 21 settembre 2021

Un teatro popipò


Ricordo che per gli spettacoli alla Baracca la prenotazione è obbligatoria, imprescindibile.

Gli spettatori ammessi saranno pochissimi: non solo per le regole anticovid obbligatorie, che sono in realtà terroristiche e antidemocratiche, e probabilmente inutili visto che il vaccino non immunizza dal virus e non è stato messa ancora in moto una terapia domiciliare per curare questa polmonite interstiziale- perché di questo si tratta - o altre misure ; non solo perché a teatro ci vanno in pochi, se non in quelli pompati e strumentali, ma anche perché il teatro la Baracca non è inserito in un sistema di finanziamento pubblico e quindi non ha bisogno di far numeri né di considerare gli spettatori come numeri.  

Né vuole far cassa. Gli basta recuperare qualcosa per il suo mantenimento. Esso è diventato ormai del tutto un luogo di ricerca, alternativo, dove il teatro vi si studia e pratica.

Strano, vero?, è privato! Ma questo è il paradosso, che i luoghi pubblici per l'esercizio dell'arte sono stati catturati, in sostanza, proibiti alla collettività, e messi a profitto, politico ed economico, per l'uso e la strumentalizzazione di chi comanda.  Osservate bene, hanno il bavaglio!

Gli spettacoli che vedrete alla Baracca sono sperimentali nel senso etimologico della parola. Ancor più di prima.

Cosa ci può importare dei finanziamenti al teatro, quelli che Stati e Regioni distribuiscono in modo complicato farraginoso aberrante, se non operano altro che distruzione del teatro stesso, ma soprattutto, annientano il lavoro creativo, così fondamentale essenziale vitale,oggi? Così necessario!

Questo dovrebbe essere imprescindibile, non il passi o la prenotazione obbligatoria.

Proprio per la nostra ricerca e diversità da anni viviamo in una sorta di clandestinità e subiamo il disprezzo non solo dei teatri paludati, ma anche della maggioranza politica locale. 

In particolare siamo "fuori" da quando la Regione Toscana ha rifiutato la Baracca come teatro di residenza proprio perché non ne aveva i numeri.

In realtà perché non era sottomesso a certa volontà politica e non muoveva soldi!; e una volta eliminati i Piccoli Teatri della Toscana (una idea di un funzionario illuminato di un tempo, Binni, https://www.lanfrancobinni.it/ ,quando ancora si biascicava la frase "cultura dal basso", che voleva dire non solo popolare, ma anche svincolata in parte dal sistema dei partiti e dalle lobbies a essi collegati), con l'introduzione del sistema di teatro aziendale delle residenze, ecco che il potete partitico ha catturato tutti i medi e piccoli teatri regionali (come anche hanno fatto altrove in Italia) attraverso una fondazione e un circuito annesso, mettendo una pietra tombale su tutto quello che era piccolo diverso e alternativo. Solo è accettata conformità e cassetta. O finta alternativa. O associazioni presta-partito. Insomma da un punto di vista culturale esiste il monopolio (sono inascoltata da anni!), gestione non trasparente dei soldi pubblici, e anche conflitto di interesse in qualche caso, perché si hanno stessi direttori e presidenti che si rimestano nelle varie minestre.   Ma ne ho parlato tante volte, chi mi segue lo sa.

Insomma, non temiamo né ci vergognamo a essere un teatro..."popipò", poveri, piccoli, pochi, o, come ha affermato un funzionario di polizia che ci è venuto a studiare, "un teatro di nicchia": mi vergogno e temo piuttosto le misure imposte per questa 'epidemia! Ci vergognamo per la fine della democrazia e per la mancanza di autonomia di pensiero, di coraggio. 

Voglio finire con questa citazione di Pasolini sul teatro, anno 1974, che può sembrare fuori luogo.  D'altronde io sono una studiosa delle sue opere e sono vicina, anche se non sempre mi trovano concorde, alle sue contraddizioni, perché a volte servono, come fa il passato che oggi si vuole cancellare, a capire il presente:

L'Italia è un paese che diventa sempre più stupido e ignorante. Vi si coltivano retoriche sempre più insopportabili. Non c'è del resto conformismo peggiore di quello di sinistra: soprattutto naturalmente quando viene fatto proprio anche dalla destra. Il teatro italiano, in questo contesto (in cui l'ufficialità è la protesta), si trova certo culturalmente al limite più basso. Il vecchio teatro tradizionale è sempre più ributtante. Il teatro nuovo - che in altro non consiste che nel lungo marcire del modello del « Living Theatre » (escludendo Carmelo Bene, autonomo e originale) - è riuscito a divenire altrettanto ributtante che il teatro tradizionale. È la feccia della neoavanguardia e del '68. Sì, siamo ancora lì: con in più il rigurgito della restaurazione strisciante. Il conformismo di sinistra.

Quanto all'ex repubblichino Dario Fo, non si può immaginare niente di più brutto dei suoi testi scritti. Della sua audiovisività e dei suoi mille spettatori (sia pure in carne e ossa) non può evidentemente importarmene nulla. Tutto il resto, Strehler, Ronconi, Visconti, è pura gestualità, materia da rotocalco. È naturale che in un simile quadro il mio teatro non venga neanche percepito. Cosa che (lo confesso) mi riempie di una impotente indignazione, visto che i Pilati (i critici letterari) mi rimandano agli Erodi (i critici teatrali) in una Gerusalemme di cui mi auguro che non rimanga presto pietra su pietra.  (Introduzione a Bestia da stile, in Tutto il teatro, Milano 2001, p.761-762).


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