Per un teatro autonomo è difficile resistere. Anzi, è impossibile. Se penso a quando tornai a Prato da Roma, all'inizio degli anni '90, alle piccole e grandi compagnie di teatro che c'erano in zona, ai luoghi di cultura, allora le circoscrizioni organizzavano anche attività culturali, ecco, il paragone mostra una caporetto culturale presente e assoluta.
D'altronde anche La Baracca ha subìto dei colpi, uno forte è stato quello di vedersi togliere la qualifica di "Piccolo Teatro della Toscana", che ci era stato attribuito quando era viva un'altra politica culturale, quella di Sipario Aperto e della cultura dal basso, alla cui definizione in parte aveva contribuito anche Fulvio Silvestrini (a proposito: ma non dovevano intitolargli l'emeroteca della biblioteca comunale?), e che dopo pochi anni hanno tolto quando è venuta di modo la comoda idea della cultura-azienda, oggi anch'essa fallita, delle Residenze Teatrali.
"Danno per poi levare del tutto", diceva Cesarina Foresti, la cara amica sindaco di Arzergrande, in quel di Padova.
Così molte piccole autonome realtà culturali sono scomparse, sono svanite nel nulla e definitivamente a partire dall'inizio del nuovo secolo: in parte a causa dell'evoluzione tecnologica, che sviluppando lo spettacolo diffuso, ha reso ancor più superfluo andare a teatro e a cinema; in parte a causa della decadenza dei grandi partiti storici del '900 italiano, a cui certe realtà erano legate in vario modo.
I movimenti che poi sono nati, come il M5S, anche quello ormai al capolinea, e che dovevano aprire i parlamenti come scatolette di tonno, non si sono occupati se non marginalmente degli aspetti culturali del nostro paese.
La Baracca, periferica e povera e scomoda, sopravvive solo con il nostro lavoro, perché gli incassi servono in gran parte a sostenere lo spazio stesso: non posso più pagare le compagnie come potevo fare fino al 2007/2008 in maniera dignitosa, ma si cerca di fare il possibile per far vivere questo teatro-laboratorio, e non solo per il mio lavoro di ricerca e sperimentazione.
Due parole su Cuori di donna, che vive dal 2003: la formula dello spettacolo, semplicissimo, è stata copiata da alcuni teatranti. Vecchia storia, e misera. Anche per queste bassezze, povertà morali e artistiche, il teatro, come ancora diceva Cesarina a cui dedico questa recita, è andato a ramengo.