Voglio dire due parole su questo nuovo percorso chiamiamolo didattico, ma forse dovrei dire di studio sulla narrazione, Raccontare storie, che partirà da martedì 15 ottobre alla Baracca.
Innanzi tutto si tratta della necessità della mia bambina, quella che porto dentro. Ha bisogno di ascoltare storie e nessuno più gliele racconta.
Morti tutti coloro che mi narravano, la comunità narrativa di cui facevo parte, nonne nonni e babbo, scomparsa la loro fisicità, ho necessità di continuare a prendere quel nutrimento.
Se mai è ancora possibile.
Vorrei che non si facesse confusione: si tratta di un fatto ben diverso dallo "storytelling" (raccontare storie per vendere storie su Internet), o dai milioni di video che vediamo e facciamo, che sono sì importanti come documento o quello che volete, ma niente a che vedere con la narrazione vera, in presenza, carnale: solo quella costituisce un vero nutrimento e un insegnamento efficace. Di fantasia e memoria.
Contrariamente a quello che si pensa, la narrazione è fisicità, e quindi nei nostri incontri sarà necessario anche curare il corpo.
Qualcuno obbietta: ma quando si racconta, si racconta e basta, non servono tecniche.
E' possibile, ma non per tutti; e comunque è certo più nessuno racconta o capisce ormai cosa questo possa costituire. Non ci sono più occasioni. Comunità.
Quante volte ne ho parlato con il mio amico Fulvio Silvestrini!
In realtà non si racconta anche perché non siamo più capaci di ascoltare. Anche se vediamo centinaia di video.
Raccontare presuppone il restare in ascolto, attenzione senza immagini.
Il racconto in presenza senza immagini è quello che più stimola la fantasia. In questo è come la musica; e d'altronde nel parlare la musica è imprescindibile, la musica delle parole, come i silenzi, le pause...
Ma non abbiamo più la pazienza necessaria per ascoltare, e dunque è venuta meno quella di immaginare liberamente, e quindi la capacità di raccontare.
P.S. Scrivo per chi ha conosciuto Fulvio: lui era un grande narratore, oltreché lettore, e sapeva ascoltare come pochi.
Per questo tutti lo scansavano, perché era un grande narratore. Certo, non aveva il senso della misura, che invece è importante; ma alla fine l'aveva imparata, quell'arte della misura e del tempo e noi avevamo stabilito un accordo, quando interveniva alla Baracca, che a un certo punto lo dovevo fermare.
Altrettanto importante è stato quello che ho imparato da lui nelle mattinate che abbiamo passato insieme a raccontarci. O al telefono. Lui è stato uno degli ultimi a telefonarmi per raccontare qualcosa.
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