Ricevo la segnalazione che per la prima volta la Soprintendenza, nel suo sito archeologico, parla di Gonfienti antica, forse memore di una recente promessa di acquisizione.
Si parla di vari complessi abitativi posti ai lati di grandi strade (grandi sì, di dieci metri e quindi della città di 120 mila metri quadrati!) e della domus, la cui grandezza però è ridimensionata: passa da 1400 a 1270.
Si parla del tetto, di cui mi risulta però che non sia stato fatto calco a terra, e sarebbe stato opportuno visto che si trattava di un ritrovamento unico nella storia etrusca.
Non è detto cosa sia venuto fuori dagli ultimi scavi, quelli compresi nella data 26/08/2013- 8/01/2014 (si sapeva già che la domus era di dimensioni minori già nel 2006 oppure? la domus è stata messa in regime di sicurezza idraulica?) Insomma, nella descrizione ad usum populi di Interretem non c'è un elenco cronologico delle scoperte, eccetera.
Prato, località Gonfienti
"Negli ultimi anni, la realizzazione di grandi opere pubbliche ha messo in evidenza le notevoli potenzialità archeologiche di quella parte della pianura pratese compresa fra il fiume Bisenzio, il torrente Marinella ed il piede del rilievo della Calvana, geologicamente collocabile al margine del bacino fluvio-lacustre Firenze-Prato-Pistoia.
In particolare, la costruzione dell'Interporto della Toscana Centrale, concepito come il più grande scalo-merci regionale, ha consentito alla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana l'individuazione di una vasta area occupata da una serie di strutture di periodo etrusco arcaico (VI - V secolo a.C.), coerenti per orientamento, tipologia costruttiva e cronologia, riferibili ad un insediamento urbano ad oggi presumibile su almeno dodici ettari.
Il nuovo centro etrusco di Prato è ubicato in un punto strategico per i collegamenti commerciali: allargando lo sguardo sul territorio circostante, appare fondamentale la presenza di Fiesole – con l’area sestese-fiorentina – e di Artimino, dei quali è nota la funzione di snodo svolta durante l’età del Ferro e per tutta l’epoca etrusca, rispetto alla direttrice volterrana ed ai collegamenti con i maggiori centri etruschi del versante tirrenico, lungo la valle dell’Arno.
In particolare, Prato appare fortemente proiettata verso la direttrice transappenninica e trova il suo naturale confronto urbanistico e architettonico con la città di Marzabotto, posta di là dall'Appennino, sulla strada interna che univa l'Etruria Settentrionale con Bologna e con il Nord.
Le indagini ad oggi svolte hanno consentito l’identificazione di alcuni vasti complessi abitativi posti ai lati di grandi strade, sistemati razionalmente secondo un coerente piano urbanistico. Gli edifici, dei quali si conservano le strutture di fondazione in pietrame commesso a secco, sono separati da profondi canali ben costruiti, necessari per la regimazione idraulica dell’area.
In particolare, è stato in buona parte scavato un complesso edilizio di notevoli dimensioni (Lotto 14), costituito da una serie di ambienti che si affacciano su un cortile centrale quadrangolare. L’edificio, che richiama nell’organizzazione interna le note esemplificazioni di Marzabotto e di Roma arcaica, misura almeno 1270 metri quadrati ed appare internamente organizzato.
Se nella parte centrale del lato prospiciente la strada può essere identificato l'ingresso, con ai lati due vani di forma allungata, che sembrano articolati in complessi autonomi e funzionali alla proiezione verso la strada stessa, gli ambienti abitativi gravitano sul cortile interno, pavimentato in terra battuta frammista a pietrisco, a profilo leggermente convesso nella parte centrale, in modo da garantire il deflusso laterale delle acque, e delimitato su tutti i lati da un portico.
Al fine di formulare una ipotesi sull'ubicazione del presunto colonnato del portico, appare determinante, nella tessitura del muro perimetrale al portico stesso, la presenza ricorrente di blocchi litici di dimensioni maggiori, veri e propri plinti su cui potevano essere collocate le colonne, che scandiscono regolarmente lo spazio secondo l'unità di misura prescelta, che - come per Marzabotto - risulta essere il piede attico (cm 29,6).
Il cortile è fornito di un pozzo a bocca circolare, ubicato in prossimità della parte coperta presso l'angolo Nord-Ovest e rivestito mediante ciottoli di media pezzatura disposti in anelli concentrici, con bordo sopraelevato rispetto al piano del cortile, per impedire l'inquinamento dell'acqua di falda.
Particolare attenzione viene dedicata al sistema di deflusso delle acque, che vengono allontanate dal cortile tramite un canale (F) aperto in corrispondenza del lato meridionale, posto a separare l'area d'ingresso dall'ambiente laterale B e destinato a confluire nella grande canalizzazione perimetrale (G), che delimita l'edificio, garantendone la salubrità mediante un piano di scorrimento notevolmente più basso rispetto ai livelli pavimentali ad ogni evidenziati all'interno degli ambienti.
L’edificio era coperto in buona parte dallo strato di crollo del tetto, con tegole e coppi, che sono stati scavati sistematicamente per quadrati, per non precludere future possibilità di restauro.
Nel crollo del tetto, oltre a tegole converse trapezoidali e a coppi di colmo, sono emerse antefisse a testa femminile di pregevole fatture, incorniciate entro un grande nimbo a conchiglia con baccellature radiali. Le antefisse, decisamente rare in questa parte dell’Etruria in periodo tardo-arcaico, confermano l’alto livello economico e sociale degli abitanti, come d’altra parte si evince anche dai reperti recuperati nelle diverse aree di scavo. Infatti, accanto alla ceramica d'impasto e depurata, attestata dalle forme tipiche dei contesti domestici, utilizzate per la dispensa, per la mensa e per la cucina, sono presenti oggetti di notevole pregio, quali le importazioni di ceramica attica, talvolta di altissimo livello".
Mi sembra opportuno evidenziare il commento a questo articolo e, in particolare al contenuto del sito della SBAT:
"Leggo con stupore e rabbia che la città degli Etruschi sul Bisenzio è ormai declassata ad aggregato di case, con una serie di seriali strutture murarie, senza identità alcuna, che, pur di rilievo storico, non rendono certamente più l'idea di quello che doveva essere l'antico sito tardoarcaico della metropoli bisentina. Che fine hanno fatto il cardo di oltre 10 metri di larghezza e quel lunghissimo decumano acciottolato che, in direzione sud est, verso le grandi tombe a cupola dell'area sestese? La sola domus di 1270 mq, rappresenta oggi un'eccellenza isolata con i suoi straordinari reperti, devitalizzata e marginale nel contesto che in realtà, come era stato accertato dalle introspezioni geofisiche del 2003, rappresentava la centesima parte di un ben più grande insediamento. Questo enorme spazio "proto urbano", reso impresentabile, è stato, forse per vergogna, deciso di obliterarlo, anche dalla memoria, essendo ormai coperto per due terzi dal cemento che, quale unica certezza per il futuro, continua a crescere tutt'intorno. Al brutto destino di questi ultimi dieci anni, fa dunque seguito un restauro che si preannuncia bruttissimo, almeno a giudicare da quel che oggi vediamo, dalla ricomposizione scolastica del tetto, che pare piuttosto un "falso", giacché nelle foto che la stessa Soprintendenza mostrò con orgoglio in una proiezione fatta al Castello dell'Imperatore solo qualche anno fa, osservavamo una realtà ben diversa, con le tegole scomposte a terra in un disegno denso ed eloquente per capire le ragioni dell'antico crollo, situazione che di certo meritava, come ben osservato, di essere oggetto di un calco esteso prima di passare alla sua rimozione. Un'immagine ed una composizione perduta, nulla più ci resta. Una situazione che si mostra oggi ancor più inquietante dalla deoggettivazione compiuta di quella meravigliosa struttura a coppi e tegole dipinte del V sec. a.C., ora arbitrariamente assortita e "tristemente musealizzata" ai margini di un'area completamente decontestualizzata. Così, dopo avere subito l'incuria del luogo e lo spreco di pubblico denaro, ci si appresta ad uccidere anche il sogno della riscoperta della grande Gonfienti Etrusca, primario crocevia dell'Etruria Settentrionale. E' proprio vero: mala tempora currunt per l'archeologia nostrana, non sono quindi bastati i crolli di Pompei".