Quando mi inoltro nell'entroterra milanese, di solito con uno spettacolo, ho la sensazione viva della 'marzianità'. Entro in un territorio devastato, dove il passato è stato cancellato per dar spazio a un futuro che non si intravede. Macchine, edifici, torri, autostrade: tutto ha cancellato quello e come era prima. E' una delle tante epifanie, e forse nemmeno la peggiore, della modernità brutale.
Ieri ho portato il mio spettacolo sui proverbi in una vecchia corte trasformata fortunosamente in biblioteca. Il pomeriggio, festivo milanese assolato, non prometteva che il deserto. Ma poi, alla spicciolata, come uscita da chissà dove, la gente: silenziosa, mite, riservata, insomma meneghina, si è accomodata nelle sedie del giardino.
Attendeva. Che novità avrebbe portato la toscana?
L'impegno era gravoso, perché qui la domenica pomeriggio e specialmente in estate, si fanno sempre le prove per la morte. Prassi è la diffidenza, che è una delle varie forme della rassegnazione.
E il mio raccontare un passato non troppo lontano, i modi di dire, la creatività spontanea e ormai defunta in un mondo ormai incellofanato dato mercificato e invigliacchito, ecco, è stato come dare la stura a una piccola sorgente; piano piano, come polle d'acqua, dal pubblico emergevano sorrisi borbottanti nei più giovani, piacevoli ricordi nei più vecchi.
La vita!
E alla fine del mio racconto e delle canzoni sono stata circondata dalla misurata ma convinta riconoscenza lombarda; i lombardi!, che sono così difficili da trattare, così composti e coriacei a teatro, così formali, li ho visti accesi, svegliati, divertiti.
Se questi piccoli semi potessero far germogliare qualcosa. Ma no, è troppo tardi.
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