mercoledì 13 giugno 2018

Versi sottili contro il dominio

Travolti dalle aggressioni mediatiche, letteralmente devastati dalla cronaca di questi giorni, le strumentalizzazioni,  la propaganda, la miseria morale e politica e il dominio assoluto su corpo e pensiero che ci costringe e trasporta a suo piacimento, per cui l'individuo in quanto tale non conta più nulla se non come numero, e quindi massa, strumento di consenso e sfruttamento a vari livelli, prendo una boccata di ossigeno con una poesia di Pasolini, una delle ultime che scrisse, dal titolo emblematico di Versi sottili, pubblicata sulla rivista Sul porto nel 1974. 

Sottile è un aggettivo 'ricco', che comprende molte sfumature, anche metaforiche, ma quasi tutte positive, anche quando si riferisce all'astuzia. Non esiste un unico contrario che lo calzi in pieno nella sua molteplicità semantica. Però è sorprendente osservare che tutti i possibili contrari di sottile definiscono appieno i tempi in cui viviamo: spesso, grosso, pesante, grande, (e, in senso figurato) stupido, ottuso, superficiale, sbrigativo, spiccio.

Dunque sottile non è certo l'aggettivo del nostro vivere presente, in cui forse soltanto la poesia e poco altro un po' tale rimane.


VERSI SOTTILI COME RIGHE DI PIOGGIA

Bisogna condannare

severamente chi

creda nei buoni sentimenti

e nell’innocenza.


Bisogna condannare

altrettanto severamente chi

ami il sottoproletariato

privo di coscienza di classe.


Bisogna condannare

con la massima severità

chi ascolti in sé ed esprima

i sentimenti oscuri e scandalosi.


Queste parole di condanna

hanno cominciato a risuonare

nel cuore degli Anni Cinquanta

e hanno continuato sino ad oggi.


Frattanto l’innocenza,

che effettivamente c’era

ha cominciato a perdersi

tra corruzioni, abiure e nevrosi.


Frattanto il proletariato,

che effettivamente esisteva,

ha finito col diventare

una riserva della piccola borghesia.


Frattanto i sentimenti

ch’erano per loro natura oscuri

sono stati investiti

nel rimpianto delle occasioni perdute.


Naturalmente, chi condannava

non si è accorto di tutto ciò:

egli continua a ridere dell’innocenza,

a disinteressarsi del sottoproletariato

e a dichiarare i sentimenti reazionari.


Continua ad andare da casa

all’ufficio, dall’ufficio a casa

oppure a insegnare letteratura:


è felice del progressismo

che gli fa sembrare sacrosanto

il dover insegnare ai domestici

l’alfabeto delle scuole borghesi.


È felice del laicismo

per cui è più che naturale

che i poveri abbiano casa

macchina e tutto il resto.


È felice della razionalità

che gli fa predicare un antifascismo

gratificante ed eletto,

e soprattutto molto popolare.


Che tutto questo sia banale

non gli passa neanche per la testa:

infatti, che sia così o che non sia così,

a lui non viene in tasca niente.


Parla, qui, un misero e impotente Socrate

che sa pensare e non filosofare,

il quale ha tuttavia l’orgoglio

non solo d’essere intenditore

(il più esposto e negletto)

dei cambiamenti storici, ma anche

di essere direttamente

e drammaticamente interessato.



Pier Paolo Pasolini, Chia 1974


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