Ci
siamo già dimenticati dei 43 morti sul Ponte Morandi a Genova. Non bastano le
'vele' del nuovo ponte immaginato da Renzo Piano a ricordarle.
Qualcuno
fa poi circolare favole macabre di 'attentato al ponte', a cui io non credo.
Si
vogliono così diminuire le responsabilità dell'incuria che avrebbe portato alla
morte di tutte queste persone, che si sono viste precipitare nel nulla da un
momento all'altro? Nel recente passato altri esseri umani sono state
schiacciati dal crollo di ponti sulle autostrade italiane e non.
Non
se ne parla più. I familiari saranno mai risarciti almeno economicamente?
Io
non voglio dimenticare la morte. Anche se ogni giorno di parla di
massacri, di violenze, in realtà si fa di tutto per dimenticarla. Per
renderla tabu. La morte ormai è un non pensato, un non detto.
Non
deve essere così, a maggior ragione quando si tratta di una morte improvvisa,
prematura. DI UNA TRAGEDIA.
A
questa tragedia non sono seguite riflessioni degne del dolore, dell'orrore che
ha causato. Parlo non di riflessioni tecniche, necessarie e imprescindibili (e
che spesso si rivelano purtroppo strumentalizzate), ma anche umane, sociali,
politiche, antropologiche sulla morte, sul nostro stile di vita.
Genova, la città con le zone 'rosse', che puntualmente ritornano…
Sulle strutture complesse come il ponte Morandi pubblico un articolo tecnico, ma comprensibilissimo anche ai non addetti ai lavori, del Prof. Centauro, docente presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Firenze.
Strutture “ad orologeria” difficilmente disinnescabili
di
Giuseppe Alberto Centauro
Assai
arduo è il compito periziale postumo di ricostruire l’anamnesi costruttiva in
strutture complesse in conglomerato cementizio armato aventi più di 50 anni di
vita al fine di stabilire le cause di un improvviso collasso, ovvero a crollo
avvenuto come nel caso del ponte sul Polcevera a Genova. Risulta una missione
quasi impossibile senza il conforto di studi sui cinematismi del sistema
portante condotti sulla base di una esauriente diagnostica preventiva. Per la
complessa natura tecnologica delle strutture in c.a. con quelli stralli incamiciati sarebbe stato comunque non
agevole, ancor prima del drammatico evento, l’accertamento delle reali condizioni
di esercizio e dell’usura dei materiali in opera. Una mirata azione di
monitoraggio avrebbe semmai potuto avvertire per tempo circa la progressione e
l’entità “oggettiva” del rischio, specialmente in relazione alle molteplici concause ambientali determinate
al contorno negli anni recenti sia per l’aumento quasi esponenziale dei carichi
sopportati dalle strutture rispetto all’epoca di costruzione e ai primi anni di
esercizio, sia, per gli ammaloramenti nascosti che si celano nel c.a. e nelle
tirantature metalliche precompresse, situazioni non determinabili a vista senza
il supporto di un capillare screening di monitoraggio di controllo delle
superfici. Come sappiamo, il ponte Morandi, realizzato da Condotte, è un’opera
ingegneristica imponente, di 1.102 mt di lunghezza, con ben 11 campate e piloni
di 90 mt di altezza, eseguita in un arco temporale lungo 4/5 anni (1963/1967). Il
ponte realizza un sistema portante composito, progettato per rimanere in campo
elastico, nel quale la sollecitazione procurata dal traffico motorizzato
pesante supera di x volte la resistenza di progetto e laddove i macroelementi architettonici
interagiscono tra loro in modo differenziale.
Le singole porzioni, infatti, pur integrate in un unico sistema non sono riferibili
ad un'unica composizione esecutiva. Basti pensare al confezionamento del
calcestruzzo e alla conduzione in cantiere delle gettate con le variabili
attribuibili alla fluidità della
malta cementizia e quindi alla tempistica della presa in tempi
e temperature non costanti, condizioni aggravate da un contesto ambientale
sensibile ai fattori climatici ed atmosferici a causa dell’aerosol marino e degli
inquinanti derivati. Considerate tali
premesse, stabilire a posteriori
la durabilità del
calcestruzzo armato allora utilizzato diviene un esercizio teorico,
aleatorio e astratto. Per il restauro strutturale, come per quello architettonico, l’ausilio
dell’analisi autoptica preliminare risulta altresì indispensabile per stabilire
i provvedimenti più opportuni da adottare in chiave di prevenzione (per
scongiurare potenziali défaillance dovute agli stress funzionali sopportati e alle
pregresse carenze di manutenzione), ma anche rispetto alle stesse misure di
protezione passiva eventualmente da mettere in campo. Di natura largamente empirica risulterebbe poi la sarcitura delle
superfici, il rammendo di fessurazioni e il ripristino dei copriferro, pur
trattandosi di operazioni in ogni caso necessarie ma per certo non risolutive rispetto alle cause intrinseche che
caratterizzano l’opera (dai fenomeni di ritiro alla viscosità del calcestruzzo,
dalle deformazioni geometriche degli elementi portanti all’affaticamento occulto
dei ferri, ecc.). Per provvedere al rafforzamento strutturale al fine sopperire
alle esigenze di sicurezza, sarebbero state ben altre le azioni da condurre in
relazione al “tempo vita” del c.a. da valutare anche in funzione dell’incremento
prestazionale richiesto all’intero sistema portante. Per tutte queste ragioni studiare
le cause del collasso partendo dal riscontro sulle macerie e sulle parti cadute
a terra non potrà a maggior ragione portare ad accertamenti univoci, come del
resto non risolutiva potrebbe risultare una valutazione comparativa su quel che
poco (o tanto) che è rimasto in piedi (che già si pensa di dover necessariamente
demolire). Più in generale possiamo osservare che nessuna struttura in
calcestruzzo armato, a maggiore ragione nel c.a. precompresso, può essere
realmente valutata in termini pur relativi di durabilità temporale. Oggi con le
esperienze acquisite possiamo tuttavia migliorare la diagnostica preventiva a
cominciare da un’attenta perlustrazione delle superfici, da ripetersi nel tempo
al fine di evidenziare l’incipit di ogni manifestazione di decadimento del c.a.,
in particolare di corrosione ed espulsione dei materiali cooperanti nel sistema di travature, piloni,
stralli, impalcati e così via dicendo. In particolare l’esame visivo del quadro
fessurativo e delle texture può farci capire le cause dovute alla qualità delle
gettate, alla distribuzione degli inerti nel calcestruzzo risultanti dalle
impronte lasciate dalle casseforme dopo il disarmo, ecc. Dalla diagnostica per
immagini (termografica, radiografica, ecc.) e dalle poco costose indagini sclerometriche,
utili in un primo livello di valutazione per la resistenza sismica, potremo inoltre
ottenere i dati orientativi essenziali per condurre campionature (carotaggi) e
esami più accurati (ultrasonici, magnetometrici, ecc.) nelle porzioni risultate
“difettose” o non del tutto conformi,
ricordando che difficilmente si potranno eseguire scansioni tomografiche
estese. Tutte le informazioni raccolte, tracciabili in un sistema
georeferenziato sono trattabili in
via informatica, per far parte di un “database” predisposto ad hoc e confluire, ai fini della
manutenzione programmata o di interventi più impegnativi di recupero, in un efficace
sistema di gestione dei contenuti, come quello che in informatica è conosciuto
con l’acronimo CMS (Content Management System), pur nella consapevolezza che non
tutto potrà essere conservato nelle forme originali, se non come “reperto” di archeologia
industriale, ancorché si tratti di un bene patrimoniale di valore storico
architettonico, di un’icona dell’ingegneria moderna, e necessiti piuttosto di un esteso rifacimento se non di una
più radicale e duplice azione, di
demolizione e ricostruzione.
Enormi gru
spostano le casseforme che serviranno a contenere le gettate di cemento e la
struttura comincia prendere forma, assumendo le sembianze che lo faranno
ricordare dai genovesi come “Ponte di Brooklyn”, perché simile nelle fattezze
al celebre ponte sull’ East River di New York.
(didascalia
tratta dal video di Aldo Licandro, parente di un dirigente di una delle ditte
che lavoravano alla realizzazione del ponte progettato dall’ingegnere Riccardo
Morandi e costruito dalla Società Italiana per Condotte d’Acqua (Fonte: ANSA.it).
Fasi di
costruzione del ponte sul Polcevera (1963/ 1967) (Fonte: Società italiana per
le Condotte dell’Acqua)
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