giovedì 30 agosto 2018

Riflessioni dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova


 Ci siamo già dimenticati dei 43 morti sul Ponte Morandi a Genova. Non bastano le 'vele' del nuovo ponte immaginato da Renzo Piano a ricordarle.

Qualcuno fa poi circolare favole macabre di 'attentato al ponte', a cui io non credo.
Si vogliono così diminuire le responsabilità dell'incuria che avrebbe portato alla morte di tutte queste persone, che si sono viste precipitare nel nulla da un momento all'altro? Nel recente passato altri esseri umani sono state schiacciati dal crollo di ponti sulle autostrade italiane e non. 

Non se ne parla più. I familiari saranno mai risarciti almeno economicamente?

Io non voglio dimenticare la morte. Anche se ogni giorno di parla di massacri, di violenze, in realtà si fa di tutto per dimenticarla. Per renderla tabu. La morte ormai è un non pensato, un non detto.
Non deve essere così, a maggior ragione quando si tratta di una morte improvvisa, prematura. DI UNA TRAGEDIA. 

A questa tragedia non sono seguite riflessioni degne del dolore, dell'orrore che ha causato. Parlo non di riflessioni tecniche, necessarie e imprescindibili (e che spesso si rivelano purtroppo strumentalizzate), ma anche umane, sociali, politiche, antropologiche sulla morte, sul nostro stile di vita. 

Per esempio quel vivere di tanta gente sotto il ponte, incastrata nelle autostrade, come se fosse la cosa più normale del mondo. Ma così è Genova, e a tutti sembra normale!

Genova, la città con le zone 'rosse', che puntualmente ritornano…

Sulle strutture complesse come il ponte Morandi pubblico
un articolo tecnico, ma comprensibilissimo anche ai non addetti ai lavori, del Prof. Centauro, docente presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Firenze.

Strutture “ad orologeria” difficilmente disinnescabili
di Giuseppe Alberto Centauro

Assai arduo è il compito periziale postumo di ricostruire l’anamnesi costruttiva in strutture complesse in conglomerato cementizio armato aventi più di 50 anni di vita al fine di stabilire le cause di un improvviso collasso, ovvero a crollo avvenuto come nel caso del ponte sul Polcevera a Genova. Risulta una missione quasi impossibile senza il conforto di studi sui cinematismi del sistema portante condotti sulla base di una esauriente diagnostica preventiva. Per la complessa natura tecnologica delle strutture in c.a. con quelli stralli  incamiciati sarebbe stato comunque non agevole, ancor prima del drammatico evento, l’accertamento delle reali condizioni di esercizio e dell’usura dei materiali in opera. Una mirata azione di monitoraggio avrebbe semmai potuto avvertire per tempo circa la progressione e l’entità “oggettiva” del rischio, specialmente  in relazione alle molteplici concause ambientali determinate al contorno negli anni recenti sia per l’aumento quasi esponenziale dei carichi sopportati dalle strutture rispetto all’epoca di costruzione e ai primi anni di esercizio, sia, per gli ammaloramenti nascosti che si celano nel c.a. e nelle tirantature metalliche precompresse, situazioni non determinabili a vista senza il supporto di un capillare screening di monitoraggio di controllo delle superfici. Come sappiamo, il ponte Morandi, realizzato da Condotte, è un’opera ingegneristica imponente, di 1.102 mt di lunghezza, con ben 11 campate e piloni di 90 mt di altezza, eseguita in un arco temporale lungo 4/5 anni (1963/1967). Il ponte realizza un sistema portante composito, progettato per rimanere in campo elastico, nel quale la sollecitazione procurata dal traffico motorizzato pesante supera di x volte la resistenza di progetto e laddove i macroelementi architettonici interagiscono  tra loro in modo differenziale. Le singole porzioni, infatti, pur integrate in un unico sistema non sono riferibili ad un'unica composizione esecutiva. Basti pensare al confezionamento del calcestruzzo e alla conduzione in cantiere delle gettate con le variabili attribuibili alla fluidità  della malta cementizia e quindi alla tempistica  della presa in tempi  e temperature non costanti, condizioni aggravate da un contesto ambientale sensibile ai fattori climatici ed atmosferici a causa dell’aerosol marino e degli inquinanti derivati. Considerate tali premesse, stabilire a posteriori  la durabilità del  calcestruzzo armato allora utilizzato diviene un esercizio teorico, aleatorio e astratto. Per il restauro strutturale, come per  quello architettonico, l’ausilio dell’analisi autoptica preliminare risulta altresì indispensabile per stabilire i provvedimenti più opportuni da adottare in chiave di prevenzione (per scongiurare potenziali défaillance dovute agli stress funzionali sopportati e alle pregresse carenze di manutenzione), ma anche rispetto alle stesse misure di protezione passiva eventualmente da mettere in campo. Di natura largamente empirica  risulterebbe poi la sarcitura delle superfici, il rammendo di fessurazioni e il ripristino dei copriferro, pur trattandosi di operazioni in ogni caso necessarie ma  per certo non risolutive rispetto alle cause intrinseche che caratterizzano l’opera (dai fenomeni di ritiro alla viscosità del calcestruzzo, dalle deformazioni geometriche degli elementi portanti all’affaticamento occulto dei ferri, ecc.). Per provvedere al rafforzamento strutturale al fine sopperire alle esigenze di sicurezza, sarebbero state ben altre le azioni da condurre in relazione al “tempo vita” del c.a. da valutare anche in funzione dell’incremento prestazionale richiesto all’intero sistema portante. Per tutte queste ragioni studiare le cause del collasso partendo dal riscontro sulle macerie e sulle parti cadute a terra non potrà a maggior ragione portare ad accertamenti univoci, come del resto non risolutiva potrebbe risultare una valutazione comparativa su quel che poco (o tanto) che è rimasto in piedi (che già si pensa di dover necessariamente demolire). Più in generale possiamo osservare che nessuna struttura in calcestruzzo armato, a maggiore ragione nel c.a. precompresso, può essere realmente valutata in termini pur relativi di durabilità temporale. Oggi con le esperienze acquisite possiamo tuttavia migliorare la diagnostica preventiva a cominciare da un’attenta perlustrazione delle superfici, da ripetersi nel tempo al fine di evidenziare l’incipit di ogni manifestazione di decadimento del c.a., in particolare di corrosione ed espulsione dei materiali cooperanti  nel sistema di travature, piloni, stralli, impalcati e così via dicendo. In particolare l’esame visivo del quadro fessurativo e delle texture può farci capire le cause dovute alla qualità delle gettate, alla distribuzione degli inerti nel calcestruzzo risultanti dalle impronte lasciate dalle casseforme dopo il disarmo, ecc. Dalla diagnostica per immagini (termografica, radiografica, ecc.) e dalle poco costose indagini sclerometriche, utili in un primo livello di valutazione per la resistenza sismica, potremo inoltre ottenere i dati orientativi essenziali per condurre campionature (carotaggi) e esami più accurati (ultrasonici, magnetometrici, ecc.) nelle porzioni risultate “difettose” o non del tutto conformi,  ricordando che difficilmente si potranno eseguire scansioni tomografiche estese. Tutte le informazioni raccolte, tracciabili in un sistema georeferenziato sono trattabili in  via informatica, per far parte di un  “database” predisposto ad hoc e confluire, ai fini della manutenzione programmata o di interventi più impegnativi di recupero, in un efficace sistema di gestione dei contenuti, come quello che in informatica è conosciuto con l’acronimo CMS (Content Management System), pur nella consapevolezza che non tutto potrà essere conservato nelle forme originali, se non come “reperto” di archeologia industriale, ancorché si tratti di un bene patrimoniale di valore storico architettonico, di un’icona dell’ingegneria moderna,  e necessiti piuttosto di un esteso rifacimento se non di una più radicale e  duplice azione, di demolizione e ricostruzione.

Enormi gru spostano le casseforme che serviranno a contenere le gettate di cemento e la struttura comincia prendere forma, assumendo le sembianze che lo faranno ricordare dai genovesi come “Ponte di Brooklyn”, perché simile nelle fattezze al celebre ponte sull’ East River di New York.
(didascalia tratta dal video di Aldo Licandro, parente di un dirigente di una delle ditte che lavoravano alla realizzazione del ponte progettato dall’ingegnere Riccardo Morandi e costruito dalla Società Italiana per Condotte d’Acqua (Fonte: ANSA.it).



Fasi di costruzione del ponte sul Polcevera (1963/ 1967) (Fonte: Società italiana per le Condotte dell’Acqua)

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