Permettete che io vi spieghi, in poche parole, cosa vi aspetta quando venite a vedere uno spettacolo alla Baracca.
Il teatro La Baracca si situa in una zona di soglia, una zona di confine anche geografico, ma soprattutto simbolicamente, come a stare in esilio.
Non è lo stesso, come poteva esser fino a qualche anno fa, del vivere e operare in periferia.
La periferia in realtà non esiste più, e quindi fare teatro in periferia, ha perso quel senso "alternativo" che poteva avere fino a vent'anni fa.
Un luogo ormai può essere periferico anche in pieno centro, e viceversa, si può trovare un luogo centralissimo in periferia. Come per esempio sono diventati i "centri" commerciali.
Da qui, da questo esilio, involontario peraltro, facciamo teatro, ma in realtà, lo dico chiaramente e chi ci conosce lo sa, facciamo politica.
Cioè ci occupiamo della, delle città. Ma, anche con i nostri spettacoli popolari, di quello che rimane, ben poco, anche della campagna, tentando di ripercorrere un senso e un mondo, e magari chissà reinventarlo.
Che impresa disperata.
Per questo, pur con fatica a volte confesso, apriamo un dopo teatro di dibattito, cosa che non troverete in nessun luogo di teatro ufficiale.
Il dibattito è infatti pura politica. E se non lo facciamo, è capitato e capiterà, è perché valutiamo che un non dibattito sia più politico. Infatti anche il silenzio è una forma di commento.
Ma non ci vantiamo per questo. Non siamo affatto i migliori. E poi migliori di cosa, per cosa, ormai?
Ciò che avviene ed è avvenuto qui da noi, accade perché la politica non si fa più, pensieri e azioni sono evanescenti come i suoi personaggi, visibili tristemente sorridenti in gran parte soltanto in foto sui social; insomma sapete tutti di cosa parlo.
E' come se si fosse aperto uno spazio in cui noi ci siamo inseriti, nostro malgrado, uno spazio vuoto che era urgente riempire, in qualche modo significare.
E così, nel breve volgere di qualche anno, La Baracca si è ritrovata in esilio, e non per colpa o per espiare alcuna pena, non per fare i furbi o i ganzi del finto alternume, ma perché il piccolo spazio non ha saputo farsi travolgere dall'insensatezza della non politica, dell'economicismo, dal mercato e dalla tecnologia.
Già un'azione politica dei politici sarebbe quella, per esempio, di venire a vedere uno spettacolo da noi, ma tutti se ne guardano bene, perché sanno cosa facciamo. Politica.
E questo vale per tutti, quando ci chiedono: cosa possiamo fare per voi? Non c'è altro da fare che essere presenti, politicamente.
Ma venire da noi, anche se per poco tempo, è recarsi su una soglia.
E trovarsi non si sa quanti spettatori vicino, magari pochissimi tanto da sentirsi soli e imbarazzati, o magari invece è la sera confortante della piccola folla ma sempre si tratta di stare fisicamente vicini, a contatto col corpo degli altri in un piccolo spazio esiliato.
Chi ci frequenta tutte queste cose le sa già. Scrivo per chi verrà per la prima volta, e probabilmente si sentirà "fuori luogo". E davvero lo sarà.
Per questo non crediamo alle promesse della politica, perché l'unico modo per aiutarci e pro-gettare è appunto essere presenti; e non servono più nemmeno i finanziamenti - che già danno inutilmente ai teatri pubblici - , perché chi vuole aiutare deve fare politica, deve recarsi sulla soglia, andare se necessario, per qualche tempo almeno, in esilio. Non in periferia, dico in esilio. O chiamarci là dove esso si trova o si forma.
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