venerdì 28 aprile 2017

Gramsci


Ieri si celebravano gli ottanta anni esatti dalla morte di Gramsci. Quest'anno sfila la solita retorica anniversaria, ma in realtà pochi lo hanno letto. Non si studia, che dico, questo straordinario pensatore politico, questo valoroso intellettuale del Novecento non si cita nemmeno a scuola.
Io sì, ho letto alcune sue opere anche grazie a un regalo che mi fu fatto da un conoscente iscritto e militante in una sezione di un Partito Comunista, ormai in smantellamento e in procinto di cambio di simbolo e sede. Alcuni vecchi compagni, or sono non troppi anni fa, si ribellarono al futuro di indifferenza e macero a cui erano destinati i libri della biblioteca di sezione, tutti edizioni ora pregiate, e li regalarono ad alcuni amici. Io scelsi Gramsci. Quelli che si vedono nella foto sotto non sono tutti, ma solo alcuni che sto rileggendo. Tra l'altro ricordo che furono le recensioni di Gramsci a rendere Pirandello popolare, il quale prima era "o sopportato amabilmente o apertamente deriso". (Così Gramsci scrive alla cognata Tatiana dal carcere).

Copio qui due passi famosi, che vale sempre la pena di rileggere:

"La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri". (Da "Socialismo e Cultura", Il grido del popolo, 1916)

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”. (Da Indifferenti, La Città futura11 febbraio 1917).


Poeti

Ieri ho incontrato un poeta. 
Ho scoperto (scoperto, non lo sapevo già?) che esiste un mondo chiuso, al vertice della poesia, dove stanno i più famosi poeti, quelli alla moda, luogo inaccessibile, dove risulta impossibile essere incoronati con una recensione; dove non si può ottenere visibilità e spazio se non si è raccomandati o protetti da qualcuno.

Quindi c'è un fiume di poesia che non viene fuori e che non potrà mai essere goduta da nessuno perché la poetessa non è l'amante di nessuno, o il poeta non sta in qualche gruppo di potere che lo incoroni.

E allora tutti vanno su Internet, ma in questo oceano la poesia stessa, i poeti, anche se magari vi naviga uno valido, tutto vi si perde.

E ho scoperto (scoperto, non lo sapevo già?) che ormai, anche i poeti, in comune con la maggioranza quasi assoluta degli artisti di tutti i generi, vanno alla ricerca della gloria più effimera, e quello che scrivono come lo scrivono è meno importante di quella. Scrivere musicare dipingere è solo un modo per diventare famosi.

Ma l'arte tutta, se praticata come fine per il sé,  se è solo strumento soggettivo e non oggettivo, è inutile e brutta.  E questa, giustamente, sarà tutta obliata.

giovedì 27 aprile 2017

Tromboni online

Ricevo e volentieri pubblico:


"I soliti tromboni
grassoni
panzoni
dentro e fori,
cojoni
online,

se credono chissà,
dderidono de qua
dderidono de là

ma so' vecchioni
anche se ggiovani
belloni
bonazzi

so' sempre rosiconi.

Poracci
tromboni sì
ma solo online,

e bbuttano cacchetta
perché
butta' artro
non lo posson fe'.

Poracci
sti tromboni
online,
che nella realtà
poracci,
nein".

Wanda Romana

Mai stata docente dei corsi di cultura generale del Comune di Prato

Mi preme specificare che, contrariamente a quanto dichiarato da Il Tirreno in questo articolo


non sono mai stata docente dei corsi di cultura generale organizzati dal Comune di Prato; né ho firmato propriamente la lettera contro la loro chiusura, pur condividendone i contenuti. Avevo solo chiesto il permesso di pubblicare eventualmente la lettera a chi ha promosso l'iniziativa.


Addirittura si mette la mia foto; così, e non ne capisco il motivo.


P.S. Dopo qualche giorno - oggi 29 maggio - tolgono il mio nome dall'articolo, ma non la foto, incredibile.

martedì 25 aprile 2017

Vive la France, vive l'amour...

Nella teatropolitica o mercatopolitica mondiale si cercano sempre nuove trame e personaggi per mantenere vivo e produttivo lo status quo, e per questo si van trovando nuovi ingredienti, di sola facciata, per confezionare novità, presunte rivoluzioni, favolose conquiste, che mai avvengono.

Quando Obama diventò presidente degli Stati Uniti molti pensarono che il mondo fosse a un passo dalla rivoluzione.  Un mulatto alla Casa Bianca.  Tutti però dissero un nero alla Casa Bianca, perché la parola mulatto conteneva troppo bianco, e doveva solo apparire il nero di Obama, non il bianco. Gli elettori dovevano pensare che con lui l'America sarebbe diventata altra, unica, vera democratica e paritaria eccetera. Il cambiamento, finalmente, era alle porte, e avveniva nel paese più democratico del mondo. Dopo secoli di schiavismo, chi avrebbe potuto negare che l'elezione di Obama non avrebbe costituito un vero cambiamento? Molti ci credettero davvero e volarono, durante la prima campagna elettorale di Obama, negli Stati Uniti per essere testimoni diretti di tanta meraviglia.

Purtroppo, come ugualmente è accaduto con l'ingresso delle donne nei parlamenti, non è cambiato niente o troppo poco; come le donne, anche i mulatti americani o neri che siano perpetuano il vecchio gioco della politica per cui alla fine si sganciano le bombe. E la discriminazione continua, e forse addirittura più marcata.

Il cambiamento, sia per i neri o per le donne, avviene solo col cambio di censo. Infatti Obama ha potuto studiare grazie alla mamma bianca, colta benestante e illuminata, e non al padre africano, che a suo tempo tornò a vivere in Africa.

Per le campagne elettorali in grande si usano le rimanenze delle vecchie ma sempre fascinose battaglie per i diritti civili, svuotandole di ogni elemento eversivo o sovversivo, per spacciarle come sintomo di metamorfosi.

I francesi come al solito si distinguono un po' nello stile, e in particolare nel versante dell'amore, di cui da sempre vogliono essere maestri, e non solo nel cinema.

Ed ecco che  in questi giorni di teatro-elezioni presidenziali,  per incantare l'elettorato e far scegliere per il candidato Macron, si imbandisce la storia d'amore 'controcorrente' fra lui e la sua insegnante di italiano e teatro (eh, il teatro...), con cui si è sposato pazzo d'amore (sic!) e che conta all'anagrafe - che bella storia originale a portata di voto - venticinque anni di differenza. Lei naturalmente più vecchia, altrimenti non ci sarebbe 'sugo'.

La histoire d'amour fou fa tanta presa e simpatia e aiuterà l'affarista arabista europeista Macron a sconfiggere la dolomitica signora Le Pen (dolomitica perché il suo programma è pieno di montagne e roccia dura che vuole costruire attorno alla 'Vive la France'!),  signora di cui amo solo la bella pronuncia francese.

Nella corsa per l'Eliseo già Sarcozy aveva iniziato a farsi propaganda e darsi lustro con la bella Carla Bruni (la sorella dell'amata attrice Bruni Tedeschi) e da allora le prime donne di Francia sono diventate paladine di bellezza o stravaganza, comunque un'attrazione e un addolcitore per il calcare politico...Oltre che materia giornalistica. Per cui insomma i giornalisti tornano ad avere una funzione, ché altrimenti non ce l'hanno più o non ce la possono più avere. Fino a qualche anno fa queste attrazioni di teatropolitica non erano pensabili: Mitterand andava con tante donne, ma solo di nascosto.

Dunque il Macron innamorato vincerà, sembra quasi scontato; e grazie a questo amore pazzo e controcorrente, tutto francese, avrà il voto delle belles femmes francaises (scusate la mancanza di cediglia sotto la c, ma nella tastiera italiana non c'è) a cui dischiude prospettive di nuovi amori; sì, lui ce la farà, lui che ha sconfitto i pregiudizi, per cui, in una coppia, solo l'uomo può essere più vecchio di una donna. 
Riceverà voti a sfare, sarà baciato dai voti dell'amour fou per una donna 'scandalosa', ché aveva marito e figli e rispettabilità.

Lo scandalo viene superato, annullato, reso innocuo, e ridotto a burletta; viene utilizzato come merce, o sfruttato variamente; nulla è detto del dramma che tale scelta ha comportato per i due a suo tempo; le lacerazioni familiari, la disperazione, o dell'abisso della felicità pura, per esempio per una donna matura, di trovarsi nel letto fra le mani un ragazzo innamorato. Tutto questo è taciuto.

Prima lo scandalo aveva una sua funzione sociale, destabilizzava. Ora, almeno a livello 'alto', compra. (Perché poi, a livello 'basso', per il popolino, le cose non cambiano: provate a immaginarvi l'operaio giovane innamorato della signora casalinga matura; o l'operaio vecchio che si innamora della giovane e ne vedrete delle belle, in casa...).

Ricordo che una storia simile a quella della coppia quasi presidenziale accadde in Francia negli anni '70 e scosse l'opinione pubblica (mia madre mi permise una volta di esercitarmi nella lettura a voce alta in non so quale rivista proprio con questa vicenda stile feuilleton); ma il ragazzo di allora fu meno fortunato di Macron, non diventò presidente non solo perché erano altri tempi, ma anche perché egli era figlio di povera gente, e anche lei, l'insegnante, né ricca né influente, era solo innamorata, e solo sperimentò seri guai con la giustizia denunciata dai genitori del ragazzo minorenne, che con quell'amour fou proprio non erano d'accordo...Per questa denuncia e le sue serie conseguenze la notizia era apparsa sui giornali. Non so poi che fine abbiano fatto questi amanti, ma  credo non bene dato che Charles Aznavour se ne ispirò, e lo dice mia madre che su questioni di musica leggera è fonte attendibile, per scrivere la canzone "Morir d'amore".

A Prato, diversi anni fa e credo sempre negli anni '70 (anni di grandi illusioni e io ero bambina), conobbi una coppia, erano marito e moglie, in cui lei era molto ma molto più vecchia di lui e girava sempre con un turbante in testa, e lui sempre accanto. Pochi giorni dopo che lei morì, anche lui se ne andò. Ne ho parlato in "Antologia del Bisenzio". Una storia davvero bella e tenera, e tutta intima, personale, 'nascosta'.

Lo stesso cantautore italiano Luigi Tenco fu figlio di un amore simile, e vi potete immaginare quello che successe, in piena era fascista, alla madre, che era sposata e dovette scappare dal paese. Il padre vero era un giovanissimo Ferdinando Micca, figlio di notabili piemontesi. Ma per Tenco questo fu un dramma (oltre che per il padre), altro che sfruttarlo commercialmente come qualcuno oggi avrebbe fatto..

Via, son cose belle e spesso drammatiche quando l'Amore piglia le pieghe che vuole. Peccato che ormai anche Lui tiri le frecce a comando, e mostri e venda le ferite, osceno.



(La versione in francese, "Mourir d'aimer", qui; ma è bellissima anche in italiano, perfettamente equiparabile nelle due lingue: https://www.youtube.com/watch?v=rr-_e7z73gM).

lunedì 24 aprile 2017

Cultura Anno Zero

Un intervento del Prof. Centauro sullo stato della cultura nella città di Prato.

"Mi occupo di salvaguardia dei beni culturali e batto sempre dove il ‘dente duole’. Ma credo ce ne sia ben donde!
Infatti, non occorre scorrere la cronaca per certificare che in città siamo al capolinea della Cultura, o meglio  le cosiddette politiche di valorizzazione che fanno capo ai beni culturali. Cultura Anno Zero per la totale inerzia dimostrata i tutte le circostanze che contano: nei confronti del patrimonio archeologico, con i reperti e il museo di Gonfienti che si realizzerà altrove con buona pace dei diritti sacrosanti della comunità; nei riguardi della Fattoria Medicea che, invece di stare al centro del Parco delle Cascine di Tavola, è risolta come un grande buco nero, come se il rilancio del parco agricolo potesse fare a meno della sua risorsa più consistente; con il degrado incipiente dei beni architettonici e monumentali pubblici e privati, l’assenza di attenzione e di sostegno verso le realtà culturali emergenti che reclamano visibilità e occasioni di confronto.
Lo ‘scaricabarile’ che pure mutua un simpatico gioco di ragazzi, scherzosamente irriverente, è divenuto l’odioso ‘leit motive’ da esibire in ogni occasione nelle risposte da dare alla comunità che chiede ragioni del disinteresse o del lasciare fare ad altri cose che interesserebbero la società civile, cosicché si possa sempre giustificare il lassismo imperante di oggi. La mancanza di memoria collettiva farà per lor signori il resto perché non sempre il tempo è galantuomo, quanto meno nel breve e medio periodo.
Si parla di Malaparte, di Sem Benelli e di altri epigoni della cultura letteraria nostrana per decantare la storia cittadina, ma più se ne parla e più ci si allontana dagli insegnamenti che dalla lettura di questa deriverebbe per segnare la strada futura, alla faccia del tanto celebrato ‘orgoglio pratese’.
La recente, clamorosa debacle della Fondazione Cassa di Risparmio che non riesce neppure più a elegger un proprio consiglio completa un quadro desolante del comparto culturale e del poco animus che alberga nelle stanze del potere.
Eppure da questo Anno Zero dovremo pur ricominciare con uomini e donne di buona volontà, meno intrisi di vuota retorica, piuttosto propensi a rimboccarsi le maniche ad affrontare con coraggio e spirito di servizio, laddove occorra, la sfida che ci attende per riportare in alto il comune senso civico, con onestà, trasparenza ed impegno. Solo così facendo potremo risalire la china, un’impresa che non sarà comunque per niente facile".


Giuseppe Centauro

sabato 22 aprile 2017

Automobili, queste assassine

Oggi è morto l'ennesimo ciclista, questa volta uno famoso, Michele Scarponi, vincitore del Giro d'Italia: morto travolto da un furgone guidato da un uomo che non 'l'aveva visto'.

I veicoli, tutti i veicoli a motore, ormai, sono armi per uccidere: tantissimi ciclisti muoiono così, ma anche tanti pedoni sono falciati sulle strisce bianche e nere. Non basta scrivere, come fanno su La Repubblica (vedi il link sotto), che troppi ciclisti muoiono sulle strade, che ci vuole una legge, quella promessa dal nostro Nencini.

Il nonno era un ciclista, e allora lui vuol esser quello che. Egli dice e promette, ma non fa nulla. E' furbo, il nostro Nencini.

Bisogna essere più chiari: in macchina, nel furgone, sul camion, siamo tutti potenziali assassini.

Veloci, disattenti, violenti, non ci curiamo degli altri (nemmeno mettiamo la freccia a indicare la direzione!).

E nessuno osa toccare le case automobilistiche e il giro d'affari (e il santo lavoro, s'intende) che gravita attorno. E parlare delle stragi che quotidianamente si compiono anche negli infiniti scontri fra veicoli. Perché La Repubblica parla di strage, ma non parla delle 'macchinine',  non mette il dito sullo strumento che la  compie: gli autoveicoli, troppi in giro per il mondo, e noi, noi gli assassini.

L'automobile, il simbolo della libertà per eccellenza è diventato solo libertà di uccidere.
Certo, non c'è volontà deliberata di compiere il male, ma c'è tutto il resto: superficialità, disattenzione (e l'uso costante del telefonino e computer in macchina dove lo mettiamo?), violenza, aggressività. Davvero non vogliamo uccidere?

Ogni volta che mi muovo in bici, e lo faccio quotidianamente, ecco, quando inforco la bici io mi dico, sempre: attenta, non devi abbassare la guardia, perché potresti non tornare. E quindi il percorso in bici, se è buono per il corpo, è anche un andare in alta tensione. Le ciclabili, se ci sono, sono ancora incompiute nel loro tragitto, e troppo spesso mi vedo avvolta nel traffico e in pericolo.

Nessuno osa pensare a un mondo senza macchine ormai; viviamo in uno scenario da cui non possiamo più tornare indietro. E' davvero così?

Intanto possiamo costruire ciclabili e pedonabili ovunque, e cominciare a organizzare diversamente il traffico, e bisogna iniziare da subito.

Subito, Onorevole Nencini.

Essere pedone, e vivere senza un veicolo addosso, è diventata come una colpa, una vergogna. Se vivi così, diventi subito un essere ridicolo. Se usi le tue gambe per spostarti, se usi solo la bici. Che stramberia!
E uccidere l'altro poi, non è poi così grave. Tanto succede tutti i giorni.

http://www.repubblica.it/cronaca/2017/04/22/news/ciclisti_strage_infinita_un_morto_ogni_35_ore-163627361/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T1

La passeggiata digitale, ovvero come il nulla avanza

Non sapendo come fare per attirare visitatori, e quindi in sostanza come fare per giustificare la propria esistenza, ecco cosa si stanno inventando: le passeggiate digitali!
Altrimenti, chi ci va più, al museo?
Così accade al Museo di Montopoli in Valdarno, gestito da un'associazione privata.
Certo la passeggiata digitale non è più una novità. Attraverso questo comminare immateriale non osserviamo più il paesaggio, non ci perdiamo più nella ormai guasta natura, anche se calpestiamo la terra, ma siamo sempre attaccati alla tavoletta digitale (e sempre protagonisti con la nostra 'faccina'!), e guardiamo lo schermo, e attraverso lo schermo una natura più pulita e funzionante, e più tranquillizzante. Passeggiatina che non costa alcuna fatica per il cervellino, non c'è più bisogno di sapere dove si trova il nord e il sud, basta con la geografia, ma soprattutto basta solo pagare il canone mensile.
Osservo poi, come accade da tempo per i servizi sanitari e certamente con molto più lucro, che anche i servizi culturali vengono organizzati da associazioni private. Questo costituisce un duplice vantaggio: meno problemi e costi per l'ente pubblico (sempre meno 'sensato' rispetto alla comunità), e voti assicurati alle prossime elezioni. 

Ecco il comunicato stampa del museo:
"...vi segnaliamo che Domenica 30 Aprile alle ore 10, il Museo Civico Palazzo Guicciardini di Montopoli in Val'Arno propone una passeggiata digitale per il borgo di Montopoli, utilizzando il WebGIS di Valdarno Musei.
Con l'ausilio di tablet e smartphone, si esplorerà la mappa interattiva del territorio montopolese, per visitare i luoghi simbolo della sua storia ed osservare le tracce del suo passato ancora conservate nel tessuto cittadino contemporaneo.
La visita diffusa, comprendente anche le sale del Museo Civico, avrà la durata di circa due ore ed è richiesta una quota di partecipazione di 5 euro/persona e 10/euro a famiglia, gratis per bambini sotto i 6 anni.
....
Associazione Culturale Mater Cultura
gestore del Museo Civico di Montopoli in Val d'Arno

mercoledì 19 aprile 2017

L'Italia, il paese dove crollano i cavalcavia

Ieri, in provincia di Cuneo, è crollato un altro cavalcavia.
Tragedia sfiorata, come invece è accaduto altre volte, recentemente, gente che ne è rimasta schiacciata sotto viaggiando in autostrada.
In un paese normale, una qualche reazione politica ci sarebbe stata.
In un paese normale, i giornali non avrebbero subito derubricato l'argomento.
In un paese normale, il ministro competente (Delrio, o chi?) sarebbe saltato dalla sua poltrona.

In questo paese invece tutto scorre normale, e le tragedie di questo tipo lasciano indifferenti, non smuovono nulla.

In questo paese a base mafiosa, clientelare, nepotistica, con la prassi consueta del voto di scambio e di favore, dove un manager di una grande o non grande azienda, partecipata non partecipata, mette a tacere qualsiasi carica dello Stato eccetera, in questo paese corrotto insomma, dove tutti protestano via Facebook e basta, in questo paese, invece, è possibile che crollino i cavalcavia e nessuno si indigni, e tutto continui com'è.

Questo è il paese in cui anche i cavalcavia possono fare ciò che vogliono, ché sono protetti da certa politica, e da tanti affari.

lunedì 17 aprile 2017

Brutta Pistoia, deludente città della cultura

Per chi come me conosce bene Pistoia, non si fa accecare dai vari articoli sui giornali.
Pistoia città della cultura non presenta niente di nuovo o di particolare; anzi, è deludente moltissimo. Più sporca che mai,  (sì certo più viva di Prato al momento, ché ieri a Pasqua nel centro storico era più spettrale e vuota che a Ferragosto),  Pistoia è immota.
Nel sabato di Pasqua l'ufficio informazioni, quello di Piazza del Duomo, era chiuso (erano le 19, ma insomma, da una città della cultura ci si aspetterebbe di più), e nessuna particolare o diversa manifestazione o cura la caratterizzava: nessun annuncio, a parte il brutto logo che da qualche parte ogni tanto si mostrava, ma piccolino e mesto, 'liscoso' come il toscano dicono parlato dai pistoiesi.
E così ho visto nei giorni passati; che Pistoia, io la conosco e vivo come Prato.
Qualche turista in più, quello sì, attirato dalla grancassa mediatica. E forse anche per questo più zozza. E quasi brutta. Sì, brutta. E nemmeno era splendida come sempre la Piazza del Duomo.
Ricordo la Pistoia d'un tempo, la città dei pensionati era chiamata, la città addormentata ma non immobile, la città che non sapeva di essere quella che le trame della politica hanno deciso che fosse per non perdervi lo scettro di partito. La città che si opponeva a Prato, da sempre, per stile, tempi, parlata.
I pistoiesi dicevano di me quando ero bimba, con quel sorriso ironico: "E' una pratese", per dire che è una che va veloce, che non le si posa la mosca sul naso.
Scriveva Malaparte:
"Che siccome i pistoiesi sono un popolo cortese, lento, quieto, e han l'aria, senza volerli offendere, un po' addormentata (contrariamente ai pratesi, che han l'abitudine di svegliarsi prima di addormentarsi, i pistoiesi si addormentano prima di svegliarsi), si direbbe che tengano, anche oggi che non c'è più, dalla parte del Granduca, tanto è vero che parlano con la lisca...Gran peccato, che i pistoiesi abbiano la lisca, e parlino con la zeta! Perché a parte il resto, che qui non conta, si può dire in piena coscienza che i pistoiesi abbian tutto dei toscani, tranne che il lato cattivo, che è il meglio dei toscani, massimamente dei pratesi".
(Questi pratesi di cui parla Malaparte, non ci sono più, manco a dirlo. Che non sanno nemmeno più essere  quei cattivi simpatici d'un tempo).
Pistoia era città non turistica per antonomasia, ma di quel non turismo diverso da Prato, che era, ed è tornata ad essere, satellite di Firenze, la sua parte 'sporca' e industriale. 
Pistoia era città vera e tutta sua, orgogliosa della sua lentezza, che le dava certa eleganza. La Sala non era il centro dello sbevazzo notturno, ma il mercato popolare cittadino, nel cuore della città. 
Ora vuol essere, la politica ha deciso che sarà, come le altre, e le ha regalato lo scettro culturale, anche per rivincervi le elezioni,  e vi si vede il turista grazie alle mene del potere. Anche se già da qualche anno, grazie al Pistoia Blues, la città si è corrotta, trasformata, imbruttita. 'Si muove'...
Ora, per tema di far vincere la controparte o smuovere troppo gli equilibri,  non organizza praticamente nulla di diverso, e quindi, essere città della cultura significa soprattutto far lavorare gli uffici stampa e far parlare di sé per accogliere appunto i pullman di turisti, senza che a questo corrisponda nulla di 'fresco' o insolito.
Infatti in ambito culturale fanno agire sempre gli stessi stanchi interpreti della banda culturale cittadina, che per l'occasione si son messi in testa il logo liscoso. Ecco la  città della cultura 2017.

Pierlugi Zollo, attore e intellettuale pistoiese, amico mio, quanto mi manchi! Quanto mi manca litigare con te. Tu sì che sapevi esser piro e tu gl'avresti cantato a dovere, a' piri tutti, il nulla e il vuoto, e disvelato gli inganni di questi anni piri.

Piri: i pratesi chiamano così dei pistoiesi, anzi chiamavano, a indicare la loro presunta lentezza e dabbenaggine. L'etimologia è incerta.  Il 'piro' è, nelle cave di marmo, il cavo di legno a cui attaccano le funi per appendere i marmi. Ma a me piace pensare all'etimologia popolare legata al fuoco, ché Pistoia è città di montagna e di carbonai, com'era mio nonno, cosa che in queste celebrazioni calate dall'alto è stato del tutto dimenticato. Insomma, per i pratesi i pistoiesi erano carbonai, gente sempliciotta; boscaioli.

E' poi Pistoia città di confine; è la città che in Toscana parla con Bologna e Modena, con l'Emilia, e ne subisce in qualche modo lontane influenze culturali.

Pistoia è città di gente stramba, irrisolta nelle stringhe della civiltà e in conflitto sempre; anarchici silenti, quelli non in fuga, e spesso tu li vedi malvestiti che girano per la città che sono appena scesi dalla montagna. O vivono in città così, per far dispetto al mondo.

Che i piri, invece, a conoscerli bene, son di natura dispettosa.

Al diavolo le città della cultura, che la cultura la distruggono e omologano e basta.


sabato 15 aprile 2017

Biffoni corre la Maratonina di Prato

Ho letto che il sindaco di Prato correrà la Maratonina di Prato, e credo per innescare in qualche modo, con molto ritardo, un 'dialogo simpatico' con i propri cittadini, e anche con quei sostenitori che un tempo lo hanno aiutato a salire a palazzo, e che ora, visto il calo dei consensi, lo abbandonano.

Perché il sistema sia sempre lo stesso, c'è evidente bisogno di cambiare i suoi presunti protagonisti. E quindi bisogna sostenere altri, se i precedenti non funzionano, o per un motivo o per un altro.

Personalmente sono un po' stanca di commentare gli atti e non atti di questa giunta, in questo blog sono ritracciabili tanti commenti in tal senso (1), e direi che può, quasi, bastare così.

Aspetto, ma nemmeno aspetto, il passaggio di questi due anni, e in realtà sono meno, per vedere lo sfilarsi di altri 'inutili' protagonisti della commedia pseudo-politica di questa città, peraltro simile a quella di altre (vedi Pistoia, la 'S-capitale della Cultura'), che non porteranno alcun cambiamento o poco in senso vero, perché appunto chi accede alla sfida politica deve essere 'certificato' e protetto dai potenti del sistema, oltreché ricattabile, e quindi deve essere disposto a lasciare le cose come stanno, con pochi ininfluenti varianti.

Il fatto che Biffoni si faccia il suo bagno di folla pasquale, quasi un sacrificio 'agnellare', potrebbe far pensare a un cambio di tendenza rispetto alla pratica politica che si sta profilando, quella della democrazia-terroristica diretta internettiana, e che già in atto, e che il M5S sta portando avanti e realizzerà probabilmente, ovvero la politica del mi piace con il clic, per cui scegliere un candidato o votare per una legge sarà come scegliere un prodotto commerciale.
In realtà non c'è cambio di tendenza, ma si tratta di un estremo tentativo di recuperare consenso tramite la pratica ingannevole dei sistemi antichi (quelli del 'politico che parlerà' alla - defunta - Festa dell'Unità).


(1) Sono davvero tanti, questi articoli sulla giunta e il sindaco, e partono già dal 2014, e ne cito solo alcuni:

http://primaveradiprato.blogspot.it/2014/07/lesercito-del-surf-della-giunta-biffoni.html

http://primaveradiprato.blogspot.it/2015/12/prato-citta-di-carta.html

http://primaveradiprato.blogspot.it/2015/08/la-politica-dellannuncio.html

http://primaveradiprato.blogspot.it/2016/11/perche-il-sindaco-di-prato-biffoni.html

mercoledì 12 aprile 2017

Io sto con Giovanni Mongiano

Naturalmente tutti i colleghi attori sono morti d'invidia (e anche qualche direttore ha stretto i denti) nel leggere che il giornalista Gramellini del Corriere della Sera aveva dedicato la sua riflessione quotidiana all'attore Mongiano, che a Gallarate ha recitato in un teatro vuoto.

I colleghi, livorosi che uno di loro non famoso e non appartenente alla solita greppia ma bravo, abbia potuto raggiungere tanta notorietà, hanno cominciato subito a parlarne male; a dire: è un narcisista, è una trovata retorica e pubblicitaria, non si recita a teatro vuoto...

Come se l'attore non fosse, ontologicamente, un narcisista; o non avesse dovuto, lui da solo, senza i tromboni della politica, del teatro eccetera, suscitare tanto interesse.

Insomma: come si permette?

Un altro incompetente ha scritto un articolo accusando Mongiano di non aver fatto pubblicità sufficiente, e allo stesso tempo, si è rammaricato che il suo gesto abbia avuto così tanta eco, affogandosi in una petizione di principio.

Nel mondo teatrale Mongiano ha scatenato un pandemonio e lo ha un po' risvegliato dal torpore e dalla noia, unico o poco ci manca sentimento che desta, in una società indaffarata in altro, sempre con  bicchiere e bambolotto in mano.

Nessuno  si è posto il problema del teatro vuoto, ché gli attori sono troppo smarriti dalla loro inutilità nel mondo presente per occuparsene; né se il gesto, oltre a una trovata pubblicitaria (e perché no, visto che la gente di teatro non si affanna per altro, nella loro smania di diventare famosa e recitare?), non fosse per caso una provocazione nei confronti di una società che va a teatro soltanto se vede il divo tivvù?

Bravo Mongiano, mi rallegro per te e per il teatro italiano che ha incassato, finalmente, un bellissimo schiaffo, mostrando la sua vera faccia meschina. E purtroppo, anche per questo, inutile.

Prato: è qui la vera ombra degli Etruschi

Ieri avrebbero dovuto discutere, al consiglio comunale a Prato, una interpellanza presentata dalla consigliera  Rita Pieri sulla zona archeologica di Gonfienti e i suoi reperti, ma non è passata in discussione. E se anche l'avessero discussa, credo che l'assessore l'avrebbe liquidata - una delle scoperte più importanti degli ultimi anni in Italia -  con poche e secche, stizzite parole, come altre volte è capitato.
L'area archeologica è vissuta come un peso, non come una risorsa da parte degli attuali amministratori, che la trattano con sommo fastidio o profonda indifferenza.

Ecco la vera ombra degli Etruschi. E' chiaro che la mostra omonima di qualche mese fa era solo fumo negli occhi dei cittadini,  a mostrare un  interesse che non c'è, anzi, di più, non ci deve essere. Infatti a Palazzo Pretorio hanno sistemato in bella vista qualche solo qualche stele fiesolana e non i reperti di Gonfienti, che invece dovevano volare subito in quel di Campi Bisenzio ed essere dimenticati, come accade per gli scavi abbandonati.

L'aspetto ancor più sconfortante è che se ne parli con qualcuno, dell'argomento, ti guarda come se tu fossi un poveraccio, un sopravvissuto del tempo andato. Gli argomenti che contano sono altri: aeroporti, terze corsie, sicurezza (tutti preoccupati per l'uomo con il machete, la violenza in città, s'intende), cinesi, sciami umani di cui ci si lamenta, ma  che poi si sa si sono insediati con la complicità degli autoctoni eccetera; a livello culturale, si può parlare solo dell'inutile e vecchio, ma pompatissimo, museo contemporaneo, il Pecci,  o del Settembre Pratese, con le sue bande e bandine...

Se ne parli, o se organizzi qualcosa, su argomenti diversi, subito arriva chi ti irride e cerca di metterti in cattiva luce. Che non se ne parli più!

I giovanotti  ora al comando (si fa per dire...) pensavano di portare una ventata di novità, di rottamare la vecchia politica, e invece piuttosto lasciano una città in rottami, da tutti i punti di vista, con una Fattoria Medicea lasciata nell'incuria anch'essa, un'altra indifferenza che è stata ben costruita dalla politica, insieme a quella per la città etrusca.

I cittadini devono andare al nuovo Pecci a visitare qualcosa che pur interessante possa essere, non appartiene al territorio, e la più o meno recente celebrazione del contemporaneo è una operazione voluta e calata dall'alto (Prato che deve essere città contemporanea, eh sì, è piena di capannoni e macrolotti, e gli industriali si devono trovare a proprio agio!); e i cittadini, indottrinati, vedendo tanti ricchi premi e cotillons,  ci andranno, così come a una festa (anche se è un inganno poi in fondo: si può pensare a qualcosa di più vecchio di un museo contemporaneo, che assume rispetto all'arte una funzione cimiteriale?), ci andranno e penseranno che questa è l'unica città possibile e immaginabile,  e non visiteranno mai (o chissà quando) o vorranno mai visitare (perché mai?) alcun parco archeologico o le Cascine di Tavola risanate e collegate alla città.

martedì 11 aprile 2017

Corsa corsie corsari: l'ampliamento dell'A11

Sempre la solita storia, il solito copione.
Intanto, gli stessi interpreti! Da una parte gli industriali, come nel caso del fu morto Interporto che ha definitivamente avuto ragione (contro la forza la ragion non vale!) sulla zona archeologica (che dite, la organizziamo un'altra marcetta per Gonfienti, visto che NESSUNO se ne occupa più di una delle più importanti scoperte archeologiche degli ultimi anni?);  e dall'altra, i comitati.
Trama: con la benedizione dei 'nostro' Riccardo Nencini, oh, quanti etruschi a Roma!, viceministro alle infrastrutture, si va avanti tutta, così dicono, con la realizzazione della terza corsia dell'A11 fra Firenze e Lucca. Perché serve, per tutti i diavoli, per il progresso, la mobilità, l'ampliamento e approfondimento degli affari!
Nonostante le proteste della gente, la nascita dei comitati, appunto...Eh, dicono ad Autostrade SpA, 'saranno prese in considerazione le richieste dei territori'.

A chi serve la terza corsia? Ai nostri moderni corsari, per diamine!, a cui non bastano più due corsie soltanto, che hanno bisogno di 'solcare', di 'andare, di 'fare'. A loro, che eseguono i lavori, servono eccome.
E alla politica che, quando c'è il lavoro, eh, la politica, 'respira'! Anche se si tratta di cemento...Tanto, i Verdi, non ci sono più; chi vuoi che rompa gli zebedei? Ora poi i partiti sono tutti per il 'grigio', figuriamoci, e per fortuna i comitati, prima o poi, si metteranno a tacere!

E' solo questione di tempo. D'altronde, sarà facile,  in nome del lavoro; vuoi tu o non vuoi far lavorare l'operaio? Eh! Pensiamo agli operai, alle famiglie, al pane! Basta con la sindrome 'nimby'.

Te lo do io il 'nimby'!

Ci saranno, l'ha detto il sindaco di Prato Biffoni, l'ha detto lui e anche un assessore regionale, più treni sfreccianti fra Firenze e Prato e poi, costruiranno anche una ciclabile. A compensare il disagio e per accontentare il comitato.

Dove?  Non si sa! Andremo a Firenze in bici costeggiando l'autostrada, sentendo il rumore del TIR sfreccianti  sull'asfalto rabberciato (tutu tum tutu tum tutu tum!) e il ru-morire delle nostre macchinine oncologiche?

Il sindaco di Prato! Prato? Perché, Prato? E' l'ora di cambiare nome a questa città, a cui non corrisponde più alcuna realtà. Facciamo un bel referendum; anzi, consultazione 'online' per cambiare adeguatamente il nome della città! Qual è il contrario di 'prato'? 'Mattone' potrebbe andare? La Città di Mattone, mica sarebbe male, così sarebbero contenti tutti i 'muratori'!

Ah, ma già! Un po' di verde resterà. Infatti, siamo in attesa del Grand Parc du Soleil, che prenderà il posto del quando lo demoliranno vecchio ospedale (dimenticavo un atto così importante, soprattutto per la destinazione dei calcinacci); e il famoso Sottopasso al Soccorso, dove, se non lo fanno all'olandese ma all'italiana come temo,  dovrà essere istituto un 'soccorso' permanente nel sottopasso per l'acqua che alla minima pioggia traboccherà dalla falda...Sottopasso Soccorso.

Che futuro corsaro e rapace si avvicina. Anzi, è già qui.



lunedì 10 aprile 2017

Il profeta non più sull'acque, ma sul Web

Il giorno che abbiamo saputo che il vescovo di Prato, Franco Agostinelli, ha aperto un profilo su Facebook, abbandonando anche lui per sempre il libro come strumento esclusivo per trasmettere il Vangelo,  preceduto in questo senza alcun problema o rimpianto né inutile scandalo da altri vescovi, che nei loro profili annoverano  'fans' come divi mondani, e ci sono anche i webmaster cattolici che da tempo forniscono consigli per evangelizzare, senza contare i' twitter' papali, ecco che il nostro amico Fulvio viene da noi come sempre a porre questioni e problemi con le sue fotocopie di giornali, e ci legge un bel passo dell'Abbé Pierre contenuto nel libro "Verità scomode".
E dopo aver commentato variamente, concludiamo che tutti i profeti ormai, sia quelli religiosi che quelli politici o laici stanno sul Web; infatti, è molto più facile e proficuo camminare nell'etere che camminare sull'acqua; se vai nell'etere tutti ti credono subito, anche se dài, malignamente, false notizie; anzi spesso ti credono solo se dài quelle; e invece se cammini sull'acque, non ti crede proprio nessuno; hai voglia a dire che ci vai davvero e che compi miracoli. Ma spiega bene Einstein tramite le parole dell'Abbé Pierre:

"Una volta chiesi a Einstein quali conseguenze prevedesse per la disponibilità dell'energia atomica da parte dell'uomo. La sua risposta fu la stessa che poi ripeté sino alla morte, e cioè mi confermò gli scrupoli e i rimorsi che lo tormentavano per aver contribuito a mettere una così terribile potenza nelle mani di popoli e uomini di Stato instabili come bambini. Subito però aggiunse: 
"L'esplosione dell'atomo è comunque la più piccola delle tre grandi esplosioni che contrassegneranno l'avvenire dell'umanità intera.
La seconda sarà l'esplosione demografica, che niente potrà arrestare: i progressi della medicina e della farmacologia fermeranno la mortalità infantile assai prima che scenda la natalità di quei Paesi in cui le nascite sovrabbondanti hanno sempre rappresentato una ragione di sicurezza per i popoli stessi.
Vedremo presto l'esplosione di alcune parti della terra, e vacillerà l'equilibrio ipocrita del pianeta, perché la vita vince sempre.
La terza esplosione, la più terribile di tutte, sarà psichica: l'esplosione della conoscenza. L'uomo sarà presto in grado di sapere tutto: in un istante, ogni notizia sarà conosciuta fino all'altro capo del mondo e ognuno avrà la possibilità di vedere come si vive altrove. I poveri cominceranno a soffrire di soffrire. Un leader che riesca a impossessarsi dei mezzi d'informazione sarà in grado, usando false notizie, da fare insorgere un miliardo di uomini contro un altro miliardo".  (Dopo l'incontro con Einstein, allora professore a Princeton, Minneapolis, Usa, 1955).

sabato 8 aprile 2017

Il diritto di scrivere a mano che stiamo perdendo

Condivido questo articolo uscito oggi su La Nazione, che merita una lettura.
Credo che la scrittura a mano sia fondamentale per l'elaborazione delle idee, non solo, come dice l'articolo, per la loro chiarezza.
I ragazzi scrivono a mano con grande difficoltà e per questo alcuni scrivono in stampatello, il che (oltre che omologante) causa vari problemi nel processo logico ed espositivo. E non è solo una frase che scrivo per sentito dire, ho diretta esperienza, ché aiuto alcuni ragazzi a superare anche queste difficoltà che nascono spesso dall'eccessivo uso dei computer..

A Bologna prosegue la campagna per il diritto di scrivere a mano
di Lorenzo Guadagnucci
BOLOGNA
SCRIVERE a mano, anzi imparare a scrivere usando carta e penna, è l’esperienza più semplice e più attesa per qualunque bambino del mondo da parecchie generazioni, con l’eccezione di chi a scuola non è potuto e non può andare (per la più svariate ragioni: povertà, esclusione, malattia). Qualcosa sta però cambiando e sui banchi di scuola, ma anche nella vita privata, incombono tastiere e schermi “touch screen”, col risultato che la scrittura a mano rischia d’essere messa fuori gioco per sopravvenuta obsolescenza.
IN ALCUNI paesi, come la Finlandia e gli Stati Uniti, l’onda modernizzatrice si è già tradotta in atti concreti: nel paese nord europeo è stato accantonata la scrittura corsiva, a vantaggio dello stampatello, più leggibile e più simile ai testi usciti dalle stampanti; in alcune scuole statunitensi si è andati anche più in là, con l’introduzione generalizzata e totalizzante di computer e tablet. La sfida fra sostenitori della manualità e fautori della tecno-scrittura non è di quelle destinate a trascinare le folle, ma tocca temi delicati e socialmente rilevanti. I primi temono un danno allo sviluppo mentale, cognitivo e creativo dei bambini, nonché un impoverimento culturale della società; i secondi intravedono un fumus di luddismo e insistono sulla necessità di innovare i metodi di apprendimento, scartando la tecnica manuale, giudicata difficile e costosa in termini di tempo. In verità la contrapposizione non è così netta come potrebbe sembrare e i primi a dirlo sono i promotori della Campagna per il diritto di scrivere a mano che ieri a Bologna hanno presentato il numero speciale della rivista di grafologia “Scrittura”, dedicato interamente al tema, sotto il titolo “Scrittura a mano patrimonio dell’umanità”. Scrive Carlo Merletti, direttore della rivista: «Noi consideriamo la tecnologia e la manoscrittura due realtà diverse ma non contrapposte, due modi di esprimersi e di comunicare che dobbiamo considerare complementari, non alternativi».

SCRIVERE a mano, più che una tradizione, è un’abilità che unisce facoltà manuali e sviluppo cognitivo: l’atto di scrivere stimola parti del cervello che restano inattive quando si scrive alla tastiera. Stimolo alla concentrazione, coordinazione, sviluppo della propria identità sembrano gli elementi più tipici della scrittura a mano e anche gli argomenti più forti in suo sostegno. Lo scrittore Robert Stone, citato in uno degli articoli di “Scrittura”, spiega il suo approccio non manicheo ma assai esplicativo della forza morale e qualitativa della manoscrittura: «Scrivo a macchina fino a quando le cose non diventano vaghe. Allora scrivo a mano per essere preciso. Con la macchina da scrivere o con il computer si può eseguire in fretta ciò che non dovrebbe essere affrettato, e si possono perdere le sfumature, la ricchezza e la chiarezza. La penna costringe alla chiarezza.

venerdì 7 aprile 2017

Torna "Gatta al lardo", spettacolo sui proverbi


Domani, sabato 8 aprile ore 21, al Teatro La Baracca, replico Gatta al lardo, lo spettacolo sui proverbi.
A me piace molto, e in questi giorni ho rilavorato sul testo, studiato ancora linguisticamente, aggiunto proverbi e considerazioni, e una mia nuova canzone. Per il resto è lo stesso, e io come spettacolo lo trovo poetico e originale, oltreché divertente, ma difficile nella sua composizione, ché è materia sparpagliata a cui è arduo mettere unità, senso e direzione. Infatti finora nessuno aveva mai provato a portare i proverbi in scena. Insomma, via, ne sono un po' orgogliosa, ché è anche ormai raro trovar qualcuno che ti aiuti nella materia; i proverbi non li usa quasi più nessuno, non documentano più la saggezza e l'arguzia popolare, ché il popolo, se ancora c'è, non crea quasi più nulla. (Anche perché, dopo essere stato stordito ben bene,  finisce poi sempre sotto le bombe di qualcuno).

giovedì 6 aprile 2017

Una promessa

Un altro artista di teatro e cinema che si è suicidato, Memé Perlini.

Ma chi se lo ricordava, fuori dal suo ambiente? Nessuno lo chiamava più, era sepolto nel suo passato da cui non riusciva a tirarsi fuori.
Era stato escluso da tempo.
Specialmente il cinema, è crudele con gli attori, perché, come ti dà tanta popolarità, te la toglie subito, e all'improvviso.

So che molti attori esclusi sono stati terribilmente colpiti dal vedere la sfilata dei 'vincenti' alla premiazione del David di Donatello, trasmessa di recente in tivù. Lo stesso Paolo Villaggio se ne è intristito. Si capisce,  e guai a rovinarsi la vita con certe visioni; o almeno, guai a non compiere, contestualmente, un'analisi critica, politica almeno, di quello che si vede. Altrimenti un attore ne finisce stritolato.
Anche Tognazzi, Pupi Avati racconta, si lamentava del fatto che iniziassero a chiamarlo sempre meno a lavorare nel cinema e per questo era depresso.

Molte morti premature o improvvise, seppur non proprio suicidi, sono sospette fra gli attori. 'Dolor di cuore'.

Il teatro causa meno sofferenza, è meno importante e significativo in questa stupida, vuota e commerciale stagione del tempo, e quindi quelli come me sono più protetti.

Anche se il teatro, così vicino alla politica spicciola, ti costringe ad avere a che fare con assessori, direttori di teatri insulsi o puri burocrati o ruffiani di partito, sadici, invidiosi, mediocri, ossequiosi, che temono come la peste quel qualcuno che si mostra bravo o capace o intelligente pur nella media...Oppure con qualcuno che rappresenta una qualche opposizione, non necessariamente politica, o presenta lavori alternativi, o che non sia anche attore televisivo, sì da far riempire la saletta del teatro. 
Perché a questo devono puntare, anche i teatrini comunali, riempire il teatro, fare cassetta, per ragioni di opportunità politica quanto meno, altrimenti l'opposizione sbraita: così mi hanno confessato spesso direttori e responsabili.

Personalmente farò il possibile per non finire in depressione, e finora ci sono riuscita, mi piace troppo la vita, anche se i potenti si comportano con me e con chi lavora con me, nel peggiore dei modi.

E' una promessa: anche perché ci sono ancora tante cose da fare che mi daranno gioia, e per compiere una battaglia politica e culturale che dà il senso al sacrificio, alla dedizione, allo studio di tutti questi anni.

mercoledì 5 aprile 2017

Le primarie, ovvero il gioco-voto

Come potete immaginare non voterò alle cosiddette 'primarie' per eleggere il candidato del PD, che sarà Renzi, il 30 aprile prossimo.
Né gli darò i due euro (o sono di più?), che richiedono per darti il servizio, e che alla fine sono poi tanti tanti soldi che vanno al partito.

Credo però che saremo in pochi a non votare. Chi infatti rinuncerà al gioco, al "Grande Fratello" elettorale; chi non vorrà essere protagonista, negando un misero contributo al partito che fornisce il servizio?
Il servizio consiste in un fatti-conto democratico, una specie di gioco-reality delle elezioni, in attesa, non si sa bene ancora quando,  di andare a votare sul serio.

Ci andremo? Chissà.

Nell'attesa i cittadini, tutti tutti i cittadini, potranno divertirsi o scaricare le proprie tensioni politiche così, in modo da provare l'illusione del voto andando al circolino o nelle sedi del partito; e non sarà male, visto che ci sono tre opzioni: Renzi, Orlando e Emiliano. Con tale diversità di personaggi, la faziosità è assicurata. E non manca, notate, la diversità geografica, il nord il centro il sud. Di sicuro poi non mancherà l'intreccio insipido come in una vieta commedia all'italiana.

Il "Grande Fratello" (ma perché non il "Grande Gratello"?) elettorale sarà divertente. E la sera guarderemo Enrico Mentana in diretta televisiva e ascolteremo le domande agli ospiti e i commenti della Lilli Gruber nella sua trasmissione dopo le otto e mezza. E infine tutti si sfogheranno, e magari anch'io ci sarò della partita anche se non avrò votato, come veri elettori e commentatori fighi sui social, con i commenti su sfondo colorato dal senso sospeso e ammiccante (in stile primi cartelli di Forza Italia), come va ora di moda su Facebook. 

Buon gioco-voto!

martedì 4 aprile 2017

Regione Toscana: i distributori automatici del latte non si mettono più?

C'era una volta un progetto, in Toscana ma non solo!, che intendeva installare distributori automatici del latte e faceva parte di un'idea più grande e ambiziosa, quella di dar vita alla 'Filiera Corta': prendere il latte dal produttore locale e metterlo in queste macchinette, senza altre intermediazioni.
La filiera corta permette di avere una buona qualità del prodotto, il suo controllo diretto, e un notevole risparmio (il latte costa solo 1 euro al litro!) e, sicuramente, un maggior rispetto per i poveri animali che ci nutrono. Come mai il progetto non si è realizzato se non in minima parte? Forse per il monopolio di MUKKI?

Ricordo che nel 2015 la Centrale del latte della Toscana SpA si è fusa, guarda caso come è avvenuto per molte cose di teatro, con la Centrale del Latte di Torino, ed è diventata la Centrale del Latte d'Italia (di cui la MUKKI è solo un marchio 'dipendente'): il terzo polo del latte in Italia!
Che cosa vuoi che gliene importi di distribuire il latte con le macchinette, a questi?

Guardate la mappa dei distributori di latte crudo all'indirizzo che metto oltre, e vedrete quanti pochi ne esistono in Toscana! 

Insomma anche per il latte i piccoli allevatori devono prostrarsi alla stritolante MUKKI, che detta legge!

A Prato, di distributori automatici, non ce n'è nessuno (uno si segnala solo a Montepiano, Comune di Vernio); nella provincia di Lucca ce ne sono 7, gestiti da associazioni di allevatori locali; a Pisa ce ne sono 5 e, solo 2 nella provincia di Firenze! 1 ad Arezzo.

Nel nord, dove non c'è monopolio come in Toscana, di distributori ce ne sono molti di più. Torino ne ha 78;  Bergamo e  Brescia rispettivamente 56 e 57; la vicina Bologna, 53!

La differenza si nota, non c'è che dire!

A questo indirizzo potete guardare la mappa italiana dei distributori automatici di latte:

lunedì 3 aprile 2017

Gli anni della infelicità e della violenza

Ci sembrava di esserne fuori, e invece ci stiamo dentro fino al collo: nella violenza e nella aggressività.
Non tratto qui di guerra o di repressione politica, così tanto praticate nel mondo; non del preoccupante incremento di furti e rapine, che finiscono sempre più spesso con omicidi e carneficine; o della violenza contro le donne, i cosiddetti femminicidi che sono all'ordine delle ore; o del bullismo dei ragazzi, che ho sperimentato su di me qualche tempo fa, per cui ho dovuto chiedere l'intervento della polizia.
Parlo delle piccole violenze quotidiane, comportamenti bestiali che gli essere cosiddetti umani, anche coloro che si considerano 'civili',  portano avanti con costanza e assiduità nella vita di ogni giorno.

Parlo della violenza quotidiana che sembra non esistere, quella invisibile che però tutti sperimentiamo, e i giornali non ne parlano almeno che non generi qualche evento cruento; violenza che invece mi sembra di osservare anche a bottega quando vado a comprare il pane, aggressività che nasce perfino da gesti insignificanti, irrilevanti. 

E l'automobile, questo mezzo ormai indissolubile da noi tanto da non poter immaginare un futuro senza, non è uno strumento di potere e aggressione? Non ve ne accorgete quando guidate o siete in macchina?

Gli stessi social sono notoriamente veicolo di violenza, quella verbale; gente che passa il tempo a calunniare, infangare, sporcare gli altri; deriderla, e spesso senza un vero motivo, se non quello di riempire il tempo vuoto.

Sembra che questo complessivo onnipresente comparire dell'io di tutti, come si osserva appunto in Internet, ma anche nella  vita reale, generi una forza di rivalsa, di rabbia, di follia.

Ora che siamo tutti così visibili e conosciuti, così 'famosi', siamo anche più infelici e più 'assassini'.

Un invito per i 20 anni dei Celestini

 Per stasera, 21 dicembre, ore 20,45 alla Baracca.