Naturalmente tutti i colleghi attori sono morti d'invidia (e anche qualche direttore ha stretto i denti) nel leggere che il giornalista Gramellini del Corriere della Sera aveva dedicato la sua riflessione quotidiana all'attore Mongiano, che a Gallarate ha recitato in un teatro vuoto.
I colleghi, livorosi che uno di loro non famoso e non appartenente alla solita greppia ma bravo, abbia potuto raggiungere tanta notorietà, hanno cominciato subito a parlarne male; a dire: è un narcisista, è una trovata retorica e pubblicitaria, non si recita a teatro vuoto...
Come se l'attore non fosse, ontologicamente, un narcisista; o non avesse dovuto, lui da solo, senza i tromboni della politica, del teatro eccetera, suscitare tanto interesse.
Insomma: come si permette?
Un altro incompetente ha scritto un articolo accusando Mongiano di non aver fatto pubblicità sufficiente, e allo stesso tempo, si è rammaricato che il suo gesto abbia avuto così tanta eco, affogandosi in una petizione di principio.
Nel mondo teatrale Mongiano ha scatenato un pandemonio e lo ha un po' risvegliato dal torpore e dalla noia, unico o poco ci manca sentimento che desta, in una società indaffarata in altro, sempre con bicchiere e bambolotto in mano.
Nessuno si è posto il problema del teatro vuoto, ché gli attori sono troppo smarriti dalla loro inutilità nel mondo presente per occuparsene; né se il gesto, oltre a una trovata pubblicitaria (e perché no, visto che la gente di teatro non si affanna per altro, nella loro smania di diventare famosa e recitare?), non fosse per caso una provocazione nei confronti di una società che va a teatro soltanto se vede il divo tivvù?
Bravo Mongiano, mi rallegro per te e per il teatro italiano che ha incassato, finalmente, un bellissimo schiaffo, mostrando la sua vera faccia meschina. E purtroppo, anche per questo, inutile.
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