venerdì 31 agosto 2018

Presentazione della stagione


Domani, sabato 1 settembre ore 11 presentazione della stagione 2018-2019 al Teatro La Baracca.

In un cassone per le mele e altre storie di ordinaria violenza contro le donne

Hanno litigato e Reinhold - agricoltore altoatesino non africano -  ha rinchiuso la compagna per una settimana in un cassone per le mele. A mele e acqua. Dentro un cassone delle mele per una settimana.

Ha accettato l'invito di un noto narciso imprenditore e a Parma la giovane donna è stata abusata, legata, seviziata, frustata per ore, sia dall'imprenditore sia dallo spacciatore. Al pronto soccorso hanno detto: - Una violenza mai vista.

Due ragazzine bevono un po' e quattro ragazzi si ritengono autorizzati a violentarle a turno a Menaggio, sul lago di Como.

A Rimini una turista danese è stata violentata da un venditore di rose, già libero di violentare altre donne in passato...

Ma alla fine diranno che la colpa è sempre loro, delle donne. 
Che dovrebbero stare a casa...
Che non dovrebbero bere...
Che i genitori...
Che questo e quell'altro.

Come disse, durante un famoso processo per stupro nel '79 l'avvocato Palmieri in una sua arringa:

« La violenza c'è sempre stata [...] Non la subiamo noi uomini? Non la subiamo noi anche da parte delle nostre mogli? E come non le subiamo? Io oggi per andare fuori ho dovuto portare due testi con me! L'avvocato Mazzucca e l'avvocato Sarandrea, testimoni che andavo a pranzo con loro, sennò non uscivo di casa. Non è una violenza questa? Eppure mia moglie mica mi mena. È vero che siete testimoni? Siete testi? E allora, Signor Presidente, che cosa abbiamo voluto? Che cosa avete voluto? La parità dei diritti. Avete cominciato a scimmiottare l'uomo. Voi portavate la veste, perché avete voluto mettere i pantaloni? Avete cominciato con il dire «Abbiamo parità di diritto, perché io alle 9 di sera debbo stare a casa, mentre mio marito il mio fidanzato mio cugino mio fratello mio nonno mio bisnonno vanno in giro?» Vi siete messe voi in questa situazione. E allora ognuno purtroppo raccoglie i frutti che ha seminato. Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l'avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente. »


giovedì 30 agosto 2018

Riflessioni dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova


 Ci siamo già dimenticati dei 43 morti sul Ponte Morandi a Genova. Non bastano le 'vele' del nuovo ponte immaginato da Renzo Piano a ricordarle.

Qualcuno fa poi circolare favole macabre di 'attentato al ponte', a cui io non credo.
Si vogliono così diminuire le responsabilità dell'incuria che avrebbe portato alla morte di tutte queste persone, che si sono viste precipitare nel nulla da un momento all'altro? Nel recente passato altri esseri umani sono state schiacciati dal crollo di ponti sulle autostrade italiane e non. 

Non se ne parla più. I familiari saranno mai risarciti almeno economicamente?

Io non voglio dimenticare la morte. Anche se ogni giorno di parla di massacri, di violenze, in realtà si fa di tutto per dimenticarla. Per renderla tabu. La morte ormai è un non pensato, un non detto.
Non deve essere così, a maggior ragione quando si tratta di una morte improvvisa, prematura. DI UNA TRAGEDIA. 

A questa tragedia non sono seguite riflessioni degne del dolore, dell'orrore che ha causato. Parlo non di riflessioni tecniche, necessarie e imprescindibili (e che spesso si rivelano purtroppo strumentalizzate), ma anche umane, sociali, politiche, antropologiche sulla morte, sul nostro stile di vita. 

Per esempio quel vivere di tanta gente sotto il ponte, incastrata nelle autostrade, come se fosse la cosa più normale del mondo. Ma così è Genova, e a tutti sembra normale!

Genova, la città con le zone 'rosse', che puntualmente ritornano…

Sulle strutture complesse come il ponte Morandi pubblico
un articolo tecnico, ma comprensibilissimo anche ai non addetti ai lavori, del Prof. Centauro, docente presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Firenze.

Strutture “ad orologeria” difficilmente disinnescabili
di Giuseppe Alberto Centauro

Assai arduo è il compito periziale postumo di ricostruire l’anamnesi costruttiva in strutture complesse in conglomerato cementizio armato aventi più di 50 anni di vita al fine di stabilire le cause di un improvviso collasso, ovvero a crollo avvenuto come nel caso del ponte sul Polcevera a Genova. Risulta una missione quasi impossibile senza il conforto di studi sui cinematismi del sistema portante condotti sulla base di una esauriente diagnostica preventiva. Per la complessa natura tecnologica delle strutture in c.a. con quelli stralli  incamiciati sarebbe stato comunque non agevole, ancor prima del drammatico evento, l’accertamento delle reali condizioni di esercizio e dell’usura dei materiali in opera. Una mirata azione di monitoraggio avrebbe semmai potuto avvertire per tempo circa la progressione e l’entità “oggettiva” del rischio, specialmente  in relazione alle molteplici concause ambientali determinate al contorno negli anni recenti sia per l’aumento quasi esponenziale dei carichi sopportati dalle strutture rispetto all’epoca di costruzione e ai primi anni di esercizio, sia, per gli ammaloramenti nascosti che si celano nel c.a. e nelle tirantature metalliche precompresse, situazioni non determinabili a vista senza il supporto di un capillare screening di monitoraggio di controllo delle superfici. Come sappiamo, il ponte Morandi, realizzato da Condotte, è un’opera ingegneristica imponente, di 1.102 mt di lunghezza, con ben 11 campate e piloni di 90 mt di altezza, eseguita in un arco temporale lungo 4/5 anni (1963/1967). Il ponte realizza un sistema portante composito, progettato per rimanere in campo elastico, nel quale la sollecitazione procurata dal traffico motorizzato pesante supera di x volte la resistenza di progetto e laddove i macroelementi architettonici interagiscono  tra loro in modo differenziale. Le singole porzioni, infatti, pur integrate in un unico sistema non sono riferibili ad un'unica composizione esecutiva. Basti pensare al confezionamento del calcestruzzo e alla conduzione in cantiere delle gettate con le variabili attribuibili alla fluidità  della malta cementizia e quindi alla tempistica  della presa in tempi  e temperature non costanti, condizioni aggravate da un contesto ambientale sensibile ai fattori climatici ed atmosferici a causa dell’aerosol marino e degli inquinanti derivati. Considerate tali premesse, stabilire a posteriori  la durabilità del  calcestruzzo armato allora utilizzato diviene un esercizio teorico, aleatorio e astratto. Per il restauro strutturale, come per  quello architettonico, l’ausilio dell’analisi autoptica preliminare risulta altresì indispensabile per stabilire i provvedimenti più opportuni da adottare in chiave di prevenzione (per scongiurare potenziali défaillance dovute agli stress funzionali sopportati e alle pregresse carenze di manutenzione), ma anche rispetto alle stesse misure di protezione passiva eventualmente da mettere in campo. Di natura largamente empirica  risulterebbe poi la sarcitura delle superfici, il rammendo di fessurazioni e il ripristino dei copriferro, pur trattandosi di operazioni in ogni caso necessarie ma  per certo non risolutive rispetto alle cause intrinseche che caratterizzano l’opera (dai fenomeni di ritiro alla viscosità del calcestruzzo, dalle deformazioni geometriche degli elementi portanti all’affaticamento occulto dei ferri, ecc.). Per provvedere al rafforzamento strutturale al fine sopperire alle esigenze di sicurezza, sarebbero state ben altre le azioni da condurre in relazione al “tempo vita” del c.a. da valutare anche in funzione dell’incremento prestazionale richiesto all’intero sistema portante. Per tutte queste ragioni studiare le cause del collasso partendo dal riscontro sulle macerie e sulle parti cadute a terra non potrà a maggior ragione portare ad accertamenti univoci, come del resto non risolutiva potrebbe risultare una valutazione comparativa su quel che poco (o tanto) che è rimasto in piedi (che già si pensa di dover necessariamente demolire). Più in generale possiamo osservare che nessuna struttura in calcestruzzo armato, a maggiore ragione nel c.a. precompresso, può essere realmente valutata in termini pur relativi di durabilità temporale. Oggi con le esperienze acquisite possiamo tuttavia migliorare la diagnostica preventiva a cominciare da un’attenta perlustrazione delle superfici, da ripetersi nel tempo al fine di evidenziare l’incipit di ogni manifestazione di decadimento del c.a., in particolare di corrosione ed espulsione dei materiali cooperanti  nel sistema di travature, piloni, stralli, impalcati e così via dicendo. In particolare l’esame visivo del quadro fessurativo e delle texture può farci capire le cause dovute alla qualità delle gettate, alla distribuzione degli inerti nel calcestruzzo risultanti dalle impronte lasciate dalle casseforme dopo il disarmo, ecc. Dalla diagnostica per immagini (termografica, radiografica, ecc.) e dalle poco costose indagini sclerometriche, utili in un primo livello di valutazione per la resistenza sismica, potremo inoltre ottenere i dati orientativi essenziali per condurre campionature (carotaggi) e esami più accurati (ultrasonici, magnetometrici, ecc.) nelle porzioni risultate “difettose” o non del tutto conformi,  ricordando che difficilmente si potranno eseguire scansioni tomografiche estese. Tutte le informazioni raccolte, tracciabili in un sistema georeferenziato sono trattabili in  via informatica, per far parte di un  “database” predisposto ad hoc e confluire, ai fini della manutenzione programmata o di interventi più impegnativi di recupero, in un efficace sistema di gestione dei contenuti, come quello che in informatica è conosciuto con l’acronimo CMS (Content Management System), pur nella consapevolezza che non tutto potrà essere conservato nelle forme originali, se non come “reperto” di archeologia industriale, ancorché si tratti di un bene patrimoniale di valore storico architettonico, di un’icona dell’ingegneria moderna,  e necessiti piuttosto di un esteso rifacimento se non di una più radicale e  duplice azione, di demolizione e ricostruzione.

Enormi gru spostano le casseforme che serviranno a contenere le gettate di cemento e la struttura comincia prendere forma, assumendo le sembianze che lo faranno ricordare dai genovesi come “Ponte di Brooklyn”, perché simile nelle fattezze al celebre ponte sull’ East River di New York.
(didascalia tratta dal video di Aldo Licandro, parente di un dirigente di una delle ditte che lavoravano alla realizzazione del ponte progettato dall’ingegnere Riccardo Morandi e costruito dalla Società Italiana per Condotte d’Acqua (Fonte: ANSA.it).



Fasi di costruzione del ponte sul Polcevera (1963/ 1967) (Fonte: Società italiana per le Condotte dell’Acqua)

mercoledì 29 agosto 2018

Sacco di Prato: è stato saccheggiato anche il titolo

Oggi, anniversario del Sacco di Prato (29 agosto 1512) di cui dettaglia anche il Machiavelli, segretario della Repubblica Fiorentina, nelle sue lettere.  Ricordo il dramma, Prato nel Sacco, che rappresentammo nel 2010 alla Baracca nell'indifferenza generale. In realtà fu una lettura recitata, che però presentava una versione meno edificante di quella che circola ancora oggi sulle cause del 'Sacco'. Da allora la città di Prato, agnello sacrificale di Firenze, non si è più ripresa veramente, e sono ancora evidenti i postumi del lontano sacrificio.
A me, e la cosa fa sorridere, anche il titolo è stato saccheggiato.


Ambiente: stiamo andando verso la catastrofe

Le dimissioni del ministro all'ambiente francese Hulot riportano in prima pagina una questione essenziale, e che invece tutti dimentichiamo: l'ambiente.

Davanti all'indifferenza della politica e non solo, il ministro ha affermato: - Stiamo andando verso la catastrofe. Non c'è più tempo.

E non c'è più tempo davvero, e lo si vede anche nelle piccole cose, nella nostra misera vita quotidiana.

Così pensavo andando ieri in bicicletta, sommersa dalle macchine sfreccianti - e sembra che non ci sia altro mezzo di trasporto nel tempo esaurito in cui si osannano  i dirigenti di azienda! -, circondata da gente ostile soprattutto verso sé stessa, per cui in bici sei solo un fastidioso ostacolo che li costringe a frenare; automobilisti che guidano parlando al telefono o messaggiando, e guai a farlo notare!... pensavo questo mentre ero sommersa in questa indifferenza generale verso quello che facciamo.

Mentre costeggiavo il depuratore del Calice, circondata dal fetore e da una natura compromessa, un mostro che guardandolo da vicino fa capire che davvero non c'è più tempo.

In cielo gli aerei in un continuo rigare di bianco il blu. E in terra sempre più colate di cemento e acque putride.

La responsabilità è di tutti, non solo dei politici che ormai hanno messo il verde dietro il paravento di qualche parco urbano, pensando che possa risolvere il problema dell'ambiente cittadino.

La responsabilità è di tutti, e additare nemici a destra o sinistra, fa solo comodo e non mostra la verità della nostra personale colpa.

Inquinare è ormai la nostra principale attività sul pianeta. Dove siamo troppi. 

Ah, il progresso. Vorrei ricordare le parole del Presidente Rossi della Regione Toscana, quando diceva che non sarebbe stato il presidente della retrocessione economica in Toscana, che sarebbe stato il presidente dello sviluppo.

Eccolo qua, lo sviluppo. E per fortuna ce lo ricorda un ministro, anche se poi a che servirà, in questa ubriacatura egotica e consumista?

Forse ogni politica, da qui in avanti, deve partire da qui. E personalmente comincerò ad ascoltare quelle sirene solo quando le sentirò parlare un po' seriamente della questione.

Capito, compagni?

martedì 28 agosto 2018

L'abitanza

Compiango chi non cura

uomini la maggioranza
donne tenace minoranza

chi non si cura
di sé
di quel che è

che non riordina
la propria stanza
la soffitta
la cantina

l'abitanza

il luogo dove sta
il tempo che vi fa.

Compiango l'artista maledetto
chi si vanta di non rifare il letto:
-Ah, io non cucino!
-Viene la donna al mattino.

Compiango perché è
l'arte dell'inizio

la pulizia dal vizio
del narciso

sapere chi è che c'è
che cosa
chi va con noi,
e chi ci aspetta
al buio del cassetto.

E' questa via dell'arte
e che poi va
al luogo dove sa
al tempo che farà.

Ancora una stagione

Sabato 1 settembre ore 11 presentiamo la nuova stagione teatrale, 2018-2019.

E' un record, ma non tanto perché è dal 1993-1994 alla Baracca si fa attività teatrale, ma perché ormai è al limite dell'impossibile presentare spettacoli di teatro se non si è foraggiati dal danaro pubblico e protetti dalla e arruffianati con la politica.

Ma proprio per questa impossibilità quest'anno inizio con un seminario, che ho la presunzione di affermare (quasi) unico in Italia sulla filosofia del teatro.

Poi seguiranno spettacoli credo importanti e provocatori.

Di questo e altro parlerò sabato prossimo, 1 settembre alle ore 11.

L'ingresso è libero e bello per tutti.

domenica 26 agosto 2018

La cura della città: palo della luce a Prato

Un palo della luce in via di Casale e Fatticci.: particolare.
 26 agosto 2018


Stesso palo della luce in via di Casale e Fatticci: panorama.
26 agosto 2018


giovedì 23 agosto 2018

Un governo che si fa opposizione da sé

E' certamente un aspetto politico nuovo, a livello europeo e non solo:
il governo giallo-verde, l'unione ibrida fra Lega di Salvini e Movimento 5 Stelle, è uno e bino.

E' governo e opposizione al tempo stesso. 
Comanda, dirige, e critica, si smarca, attacca.

L'opposizione fuori dal governo, come prima l'avevamo conosciuta, non esiste più. 

Questo significa 'governo del cambiamento'.

Il Partito Democratico è finito, anche in Toscana ormai, l'unica vera roccaforte rimasta, ma esangue. Qui Renzi recita l'ultima parte davanti alle telecamere per un programma televisivo su Firenze, tristemente vagheggiando di reincarnare Virgilio, triste parata che continua e conclude la bruciante traiettoria politica dell'astro ormai cadente.

L'altra Sinistra, praticamente ridotta al lumicino, non costituisce più opposizione, ché certi temi che un tempo erano prerogativa della sinistra sono passati direttamente al governo con i 5 Stelle e, per alcuni aspetti, con una sfumatura peronista-evitiana, con Salvini che non dimentichiamo, fu comunista.

Gli appelli all'uguaglianza, alla fraternità, alla libertà sono stati distrutti dai loro cattivi esempi, da quell'appartenere restare sostante nella casta del privilegio per troppo tempo a scapito di tutti.
Non sono più credibili, e nemmeno quindi quello che sostengono come un disco rotto.

Anche la Destra - quella della Meloni, per esempio -, è ormai inglobata dallo stesso Salvini, così come tutto il resto a Destra e Centro-Destra. 

Berlusconi idem, nonostante tenga ancora il forziere. Ma non ha più il popolo, né le casalinghe che lo seguono e adorano.

Il popolo sta con il suo governo, in maggioranza schiacciante. Approva e sostiene il suo operato.

Le prossime elezioni saranno probabilmente un plebiscito. Se non ci sono errori inciampi o disastri. Come qualcuno si aspetta per porre fine a questo tandem insolito. Ma non sarà così facile. Come ha dimostrato l'inimmaginabile crollo del ponte Morandi, che ha invece rafforzato il governo. L'ha cementato.

Il cambiamento è perfetto, compiuto, voluto e richiesto, e non ha bisogno di cingolati stridenti sulle strade per mantenere lo status quo; anzi, nella sua piazza, e non solo virtuale, il governo celebra il capolavoro massimo mai visto finora in Italia,  un magistrale, acclamato e applaudito, autodafé.

Il tempo che non fa

Inutile che rincorriate le previsioni del tempo. Molte sono sbagliate. Si prevede il tempo che non fa.

I metereologi non ne azzeccano una o molte poche, di previsioni in questi giorni, e finalmente nuvole e sole, vento e quant'altro vanno a loro piacimento.

Si beffano dei satelliti.

La realtà sono loro, non gli smartphone.

Sui siti dei comuni le allerta meteo vanno e vengono come nuvolaglia e confondono e smarriscono i cosiddetti utenti, che per un semplice temporale estivo si vedono messi in allarme e restano bloccati in casa.

Ieri volutamente ho sfidato l'allerta e sono andata in città in bici coprendomi a dovere, come ho visto fare all'estero senza paura in questi casi. Come me diversi altri si spostavano in bici.
Alla fine è caduta un po' di pioggia; qualche lampo e tuono; vento intorno. Un tempo consueto d'agosto.

Sono tornata alle vecchie previsioni, quelle che mi insegnavano i vecchi; anzi, non le ho mai lasciate, e così metereologo anch'io, almeno a corto raggio e a casa mia, e vado

martedì 21 agosto 2018

Turismo a Prato

Avendo avuto ospiti stranieri, ho approfittato per compiere con loro un veloce tour a Prato, e non solo nel centro.

Pertanto rilancio la mia idea del turismo in città, che mi sembra sia stata apprezzata dagli ospiti.

1. Che la visita di Prato non sia inseguendo Firenze o le altre città toscane, che non può essere. Prato si apprezza da visitatore, non da turista!;

2. Prato è centro e periferia, è città estesa! Prato è città antica (etrusca e medioevale!), ma anche moderna e contraddittoria. Va vista dentro e fuori le mura. Ancora non s'è capito!

3. Bene il parcheggio gratuito in agosto; bene l'ingresso gratuito al Castello e al Palazzo Pretorio. Qualche locale aperto c'è (come l'ottima Gelateria del Centro), ma sono pochi. Ristoranti, pochissimi.

4. Ci vogliono le didascalie ai monumenti, le mura eccetera, e la mappa della città in vari punti. Bisogna sapere dove siamo, anche se tutto il mondo è munito di smartphone. Va creato un percorso serio e ragionato nella realtà visibile e concreta.

Molti, per esempio, non sanno chi è quel signore che campeggia marmoreo in Piazza del Comune: va scritto, va indicato assolutamente.
Altri non si rendono conto delle mura, non le vedono!

5. Oltre il centro, che include il Museo del Tessuto, la Biblioteca, il Bisenzio e la Stazione con i suoi ponti così tristemente tornati in primo piano e il Mercatale, io ho un mio tour periferico - purtroppo a Gonfienti è inutile andare, il sito archeologio è vergognosamente off limits e anche al Museo Pecci, il Contemporaneo, perché ora chiuso per lavori di allestimento e ristrutturazione, così cantano, ma anche Macrolotto, China Town, e si può aggiungere, variamente ora un borgo ora l'altro, e possibilmente senza appetenza turistica (da non dimenticare Figline, la Resistenza, e la visita alla Casa Tintori); e le Cascine di Tavola...?

Insomma, per Prato bisognerebbe procedere con senso e gusto, e in modo innovativo, senza nascondere le cose che non vanno e con cui ci confrontiamo purtroppo ogni giorno.

Ci vorrebbe coraggio!

I video di presentazione, come quello per il Settembre Pratese che vogliono illustrare la città, renderla attraente, sono parziali e inutili. Retorica! 
Il Settembre è, ancora una volta, un'occasione mancata per la città. Direi anche basta con la lunga teoria di concerti e nomi, scopiazzatura dei festival di Pistoia e di Lucca!
Via della Pallacorda a Prato.
Foto di S.Taylor.



sabato 18 agosto 2018

Oh, come è bello vivere incastrati dentro un ponte!


Chi percorre Genova conosce bene quella sensazione di disagio che si prova nei confronti dei genovesi che vivono a ridosso delle autostrade e dei viadotti da cui tutta la città è schiacciata.

Molti si chiedono come sia possibile che le persone conducano la loro esistenza in mezzo al traffico continuo, pesante, incessante, travolti dall'inquinamento di ogni genere, e dove l'unica visuale in alcuni casi è solo il cemento.

Invece i giornalisti pensano diversamente. Infatti, dopo che è crollato il Ponte Morandi, qualcuno di loro si è anche scomodato nell'intonare, con i cadaveri ancora là sul greto del Polcèvera polverizzati sotto gli enormi blocchi di cemento, l'epicedio del ponte, cantando quanto era bello e particolare vivere sotto il ponte, in quei palazzi logori, stinti e morsicati dalla salsedine, dalla fuliggine, dall'inquinamento acustico, dalla stanchezza di sopportare tutta quella veloce, avida, transeunte modernità.

Certo, chi là aveva una casa e ora non ha più nulla, si rammarica eccome della perdita.
Ma io so, dal vecchio racconto di una zia paterna di mia madre, quanto sia pesante vivere in quelle condizioni, a ridosso delle autostrade...Manco a dirlo, si tratta di appartamenti che costano poco, svalutati, ma proprio per la loro convenienza sono ricercati e muovono, come si dice, il mercato immobiliare.

Sorprende leggere le parole di giornalisti che quasi celebrano tale modo di vivere, parlano addirittura addirittura di simbiosi!, senza nessuna riflessione critica, incluso architettonica (che l'architettura non tratta solo del bello, ma anche del buono!), senza chiedersi se sia opportuno vivere in un appartamento  oscurato da un ponte di tale fatta.

Qui non solo si seppelliscono i morti, ma ogni opposizione, ogni argomento che minimamente metta in discussione la visione cementificata del presente e dei relativi sostanziosi interessi e, correndo di qua e là sui viadotti, è concesso solo constatarne i benefici: come dal centro, grazie al grande ponte, si arrivava all'aeroporto Cristoforo Colombo in soli venti minuti...

In questi commenti traspare solo una immagine di felicità, e il rimpianto perché il grande ponte presto non ci sarà più.
A distanza di cinquant'anni dall'inaugurazione del ponte Morandi persiste quella visione del futuro, fatta di presunto progresso, velocità e gioiose promesse del fine settimana.

Percorrere quel ponte era inquietante: infilarsi nel braccio di immissione a levante, trovarsi all'improvviso in quella curva obbligata nel vuoto, era spaventoso, ché avevi la sensazione che la strada davanti mancasse. E anche il viadotto stesso dava subito l'impressione della non stabilità, con l'asfalto ballerino e le paratie laterali basse e insufficienti.

Il viaggio si faceva incerto, temerario e mostruoso all'improvviso, con quelle braccia di cemento che parevano mangiarti, nonostante fossero già trascorse tante gallerie prima di giungere a quel punto. 


18/8/2018 LA REPUBBLICA
CULTURA
All’ombra del viadotto
L’abbraccio del gigante di cemento
Il ponte Morandi è stato costruito invadendo i muri delle case di sotto E la simbiosi non è solo architettonica
MARCO ANSALDO,
GENOVA
Il ponte entra dentro le case. E le case dentro al ponte. Un falso movimento che crea un’immagine distorta, e fotografa però una sintesi reale. Una simbiosi architettonica. Un guizzo strutturale. Un abbraccio ingegneristico. Capace di reggere per più di cinquant’anni, finora. Ma adesso spezzato dal cedimento centrale del viadotto Morandi.
Le braccia sospese del Frankenstein muto che veglia una Genova ferita rappresentano tuttora una minaccia viva per gli edifici rimasti vuoti. Undici palazzi, per adesso, svuotati in fretta e furia delle poche masserizie da inquilini protetti con i caschi rossi degli angeli custodi della Protezione civile. Chi di loro ha alzato la testa e guardato per un’ultima volta in su, come fatto per tanti anni vivendoci, ha visto ancora travi e stralli come saldati insieme. Un intreccio marcio, adesso.
E però, su quest’incontro così innaturale, le case e il ponte, uniti indissolubilmente fino alla fine, quando verranno demolite forse le une e sicuramente l’altro, la gente non solo di Sampierdarena, ma di Genova tutta, ha vissuto. All’ombra del ponte è transitata, per passare nell’altra parte della città, a Certosa o verso i quartieri della Val Polcèvera. E sopra il ponte ha viaggiato, per lasciare il centro, guardare altrove, sbarcare all’aeroporto Cristoforo Colombo in nemmeno venti minuti di tempo (una chimera per i grandi centri), oppure saltare verso Savona, Imperia, la Francia… Immagini che ci restituiscono attimi di quieta irregolarità.
Quando il ponte quasi entrava nelle facciate, e sembrava appoggiarvisi. Bianco di colore. Di un candore falso, ma così diverso rispetto all’ocra e al rosso dei palazzi abitati. Tiri su la persiana e sbatti sul cemento del viadotto. Esci in balcone e il panorama è una sarabanda di traverse inclinate. Guardi in alto, e vedi il nero, la parte inferiore del viadotto, la fuliggine, le macchie, le striature scure. Ideale per scrivere graffiti che mai nessuno avrebbe la possibilità, né il coraggio, di cancellare. Le case di quasi cento anni fa, adattatesi al ponte, lo hanno accolto nella sua strabordante imponenza.
Era la metà degli anni Sessanta. Cinquant’anni dopo, ne vengono tradite.
Visto da sotto, è un intreccio di volumi. Un sabba di colonne squadrate. A passarci in mezzo con l’auto, le gambe aperte dei pilastri evocano lo sconcerto di Paolo Conte quando in [ Genova per noi metteva insieme impressioni e aggettivi pensati chissà come: «Macaia, scimmia di luce e di follia, foschia, pesci, Africa, sonno, nausea, fantasia». Così spaventoso e grande che da un monumento vicino le statue guardano in direzione opposta, per non farsene travolgere.
I genovesi lo temevano, ma ne erano anche orgogliosi. «Il secondo ponte più alto d’Europa», dicevano al tempo dei record. E quanti articoli persino nostalgici si sono letti in questi giorni sui quotidiani, quante dichiarazioni hanno rammentato la stazza fisica del viadotto. Si sono uditi in tv ex ministri genovesi quasi in lacrime nel raccontare il loro passaggio giornaliero su quella strada per raggiungere l’aeroporto. E semplici cittadini che lo ricordavano con un misto di paura e di stupore non appena aprivano le finestre di casa. E poi, ovviamente, c’è chi lo vedeva solo con spavento, con orrore. Un’opera magnifica dell’uomo, ma al tempo stesso inquietante, ingestibile, ingovernabile, come purtroppo è. E adesso che il mostro muore, c’è la corsa ariprenderlo. Per l’ultima volta. Il ponte malato. Il ponte assassino. Il viadotto della morte. Che un domani non esisterà più, e comunque non si sa che cosa verrà al suo posto. Meglio fissarlo nella pellicola per sempre, se non nella memoria. E farlo da ogni lato, che ogni lato è diverso.
Perché come il poeta di Asti, quello che da fuori ha capito Genova meglio di noi che ci stiamo dentro, chissà che «quel posto dove andiamo non c’inghiotte, e non torniamo più».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Queste fotografie sono di Michele Guyot Bourg della Genova anni '80.




venerdì 17 agosto 2018

Prendersela con l'umorismo non dimostra serietà

Polemica scatenata dal panino, di dubbio gusto a mio giudizio soprattutto per gli ingredienti, chiamato 'Godi, troia', proposto a un menu di una festa musicale rockettara a Castellina Marittima, in provincia di Pisa.
Sembra che qualcuna abbia protestato perché lesivo della dignità delle donne.

E' chiaro che gli organizzatori volevano essere spiritosi, e magari non ci sono riusciti; piuttosto volevano dare al panino un senso di voluttà, e nemmeno in questo caso hanno azzeccato. Non è facile far godere, e non solo le cosiddette 'troie'.
Era insomma, volgarmente, una buffa (?) manovra di attrazione stile musica e birra, tipica di quei luoghi da cui io mi tengo tenacemente distante,  ma posso dirlo?, io sono un po' preoccupata.

Prendersela con l'umorismo non dimostra serietà!

Con lo spettacolo sulle barzellette ho infatti avuto modo di constatare un ritorno, e anche da parte dei maschi in particolare quando le barzellette le raccontano le donne!, di pruriti morali e scrupoli di opportunità, la diffusione onnivora del 'politicamente corretto' e del 'sessualmente opportuno'.

Ci sono i bambini...ci sono le donne.

Non ci resta che fare umorismo con i sassi, con le piante o gli animali... Ma anche con questi ingredienti, che non fanno molto ridere per la verità, può diventare difficile: potrebbero arrivare gli ecologisti (di cui anch'io faccio parte) a protestare...


Da IL TIRRENO, data di oggi

Proteste a Castellina Marittima per un menu alla festa della musica
C'è chi chiede la rimozione. Gli organizzatori: «Un fraintendimento»
«Offende le donne.
No, è solo goliardia»
Bufera allo stand per il panino "sessista"
IL CASO
Quel panino è sessista, offensivo per le donne e non solo. Diseducativo per i giovani. Macché, assurdo. È solo goliardia, è un nome che si riferisce alla femmina del maiale. Noi facciamo panini a base di maiale. Che male c'è? In questo articolo contravverremo a una regola che ci siamo dati e che seguiamo con convinzione: quella di evitare il turpiloquio, anche quando dobbiamo riferire parole dette da altri. In questo caso no, perdonateci ma pubblicheremo i termini veri, reali, esatti. Perché riteniamo che sia necessario, anche nel rispetto di chi da quelle parole si sente offeso. Siamo a Musica W, festival di successo che ogni anno richiama a Castellina Marittima migliaia di persone. Giovani e non solo. Ma stavolta non c'entra il rock. A surriscaldare il già bollente clima, qui in collina, ci pensa un panino in vendita a uno dei tanti stand gestiti da giovani volontari del posto. Il putiferio s'innesca per il nome che è stato scelto per il suddetto sandwich - Godi troia - composto da 3 wurstel e varie salse più o meno piccanti. Per la verità, sul menu, accanto al "Godi..." figurano altri panini dall'etimo inequivocabile e che gioca sui doppi sensi. Ma a scatenare le proteste di un gruppo di frequentatori del festival è proprio quello slogan che "ha chiari riferimenti sessuali". C'è chi chiede spiegazioni, chi sollecita la rimozione del nome dal menu. Si vivono anche momenti concitati. Tra chi si fa interprete della protesta c'è Eleonora Luciotto, livornese, attivista femminista (presidente FriendLi e membro del tavolo Raimbow Lgbtq). «È un messaggio sessista, violento, volgare e diseducativo - dice la Luciotto - che può arrivare ad assecondare o giustificare anche il femminicidio. Un messaggio che offende non solo le donne, ma anche gli uomini». Goliardia? Un clima da "Amici Miei" sulle colline pisane? «Quello non era un festival del porno a Berlino - risponde chi protesta - non è neppure una festa privata, era una festa della musica, dove arrivano ogni anno tante persone. In quello slogan non c'è nulla di divertente, nessuna scelta di autodeterminazione della donna; solo violenza». Respinge le accuse il presidente della Pro Loco castellinese Giulio Lorenzini. E Lido Rossi, uno dei volontari che lavora a quello stand, spiega: «Ci vogliamo scusare se qualcuna o qualcuno ha voluto fraintendere, ma sottolineo che questo è uno stand gestito da giovani volontari del paese che cercano da sempre di lavorare in un clima di allegria e goliardia. Questo panino con questo nome lo vendiamo da 15 anni. Ma non c'è alcun messaggio sessista. La nostra è un'associazione aperta, contro ogni forma di discriminazione. Nello stand lavorano 5 uomini e 5 donne. Nessuna di queste si sente offesa dal nome del panino. Su ogni vocabolario della lingua italiana quella è la prima voce per indicare la femmina del maiale». Ma chi protesta non ci sta: «Proponiamo che a un festival divenuto punto di riferimento per l'estate di molta gioventù, italiana e straniera, vi sia più attenzione, consapevolezza e rispetto, alla luce dell'allarmante violenza vissuta quotidianamente dalle donne». A. R.

martedì 14 agosto 2018

Nel paese dove cadono i ponti, il ponte di Ferragosto è saldo

Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, il turismo è florido.
Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, ci sono pur i muri.
Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, anche se avvampano le autostrade.
Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, si arriva lo stesso.
Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, i TIR sono carichi.
Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, le macchine circolano.
Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, nessuno vi fermerà.
Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, anche se fate a nero.
Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, ci sono pur gli aerei.
Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, si amplieranno gli aeroporti
Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, ci sono pur i traghetti.
Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, anche se ogni tanto bruciano.
Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, si salva pur qualcuno.
Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, il paese è baciato dal sole.
Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, anche se s'incendiano i boschi.
Nel paese dove cadono i ponti, tutti tranquilli, il ponte di Ferragosto è saldo.

sabato 11 agosto 2018

Trappola

Nei giorni di vacanza, quanta umanità in trappola!
E come felice, là dove si trova stretta e rinchiusa, presa come pesce nella maglia del pescatore. 
Le sembra placido e immenso oceano la vasca dove essa nuota allegramente per finire pescata. 
Guai se qualcuno provasse a rendere e lo spazio e il tempo. 
Finirebbe massacrato.

Il pane della Coop

Prato, la città della 'bozza', è lo scenario della protesta del pane da parte dei lavoratori extracomunitari malpagati della cooperativa Giano, e in particolare del pane che si compra alla UniCoop Firenze, che ne acquista 15 tonnellate al giorno.
Alcuni giorni fa i lavoratori hanno protestato con un picchetto davanti allo stabilimento al Macrolotto, dove si produce il pane, e sono stati sgomberati con forza dalla polizia.

Quanto è avvenuto getta una luce ambigua sulla Coop e, più in generale, su tutta la retorica del pane di Prato, le bozze d'origine controllata e garantita con cui pubblici organizzatori di mitologie urbane nutrono da alcuni anni la città.

giovedì 2 agosto 2018

Camminare

Oh, gentiluomini, la vita è breve...se viviamo, viviamo per camminare sulla testa dei re.
(Shakespeare, Enrico IV).

Un invito per i 20 anni dei Celestini

 Per stasera, 21 dicembre, ore 20,45 alla Baracca.