Sotto copio un articolo de L'Espresso sui teatri, molti dei quali non riapriranno più, e in particolare quelli privati, piccoli e indipendenti. Per esempio il mio piccolo spazio ha ricevuto, in 15 mesi di chiusura e morte, solo 2000 euro. E chi paga l'affitto non ce la fa. E poi si aggiunga anche che il pubblico non ci va, a teatro; alla Pergola, e non è un teatro privato!, al debutto qualche giorno fa, nemmeno 30 spettatori. Forse chi di dovere, oltre a pensare ai suoi libri, alle vetrine culturali, al partito e agli amici, dovrebbe darsi più daffare.
"Solo un teatro
su tre ha riaperto: e molti resteranno chiusi per sempredi Francesca De
Sanctis"
Sale storiche e
avamposti di cultura non possono permettersi di riprendere le attività. Ecco la
situazione città per città.
Ci guardiamo
con sospetto mantenendo una certa distanza, ma i nostri occhi brillano di
gioia. Sì, siamo tutti felici di ritrovarci in teatro, di tornare a vedere dal
vivo corpi che vibrano e di incrociare i nostri sguardi prima e dopo lo
spettacolo. Ma quanti sono i teatri che hanno riaperto al pubblico? Basta farsi
un giro in città, ciascuno nella propria, per rendersi conto che in realtà la
maggior parte delle sale ha le porte d’ingresso sbarrate. Quante? Diciamo i due
terzi del numero totale di teatri in Italia, più o meno il 70 per cento, che
corrisponde alla percentuale di sale private, circa 500 in tutto. Perché?
Eppure il decreto parla chiaro: dal 26 aprile 2021, in zona gialla, tornano gli
spettacoli aperti al pubblico nelle sale teatrali. Ma a quali condizioni?
Numero limitato di spettatori e distanziamento, fattori che scoraggiano e
impediscono la ripartenza, almeno fino all’autunno. Senza contare che questo
lungo periodo di chiusura ha lasciato dietro di sé già tante macerie.
Solo nella
città di Roma, per esempio, per ora restano chiusi teatri importanti come il
Quirino, la Sala Umberto, il Sistina, l’Ambra Jovinelli, ma anche luoghi più
piccoli ben radicati nel territorio e diventati un punto di riferimento per la
ricerca teatrale come Carrozzerie N.o.t., spazi storici come il Teatro della
Cometa, chiuso per lavori di ristrutturazione dopo la scadenza del contratto di
affitto di Giorgio Barattolo, che di sicuro non tornerà a gestirlo. Perfino il
Salone Margherita, il “bagaglino” di via Due Macelli, non ha retto al Covid-19
ed è rimasto chiuso al pubblico da settembre scorso, complici le pressioni
della Banca d’Italia, che chiedeva indietro lo stabile (e parliamo di un teatro
che registrava circa 300 repliche all’anno). Porte sbarrate - ma per problemi
precedenti la pandemia - anche al Teatro dell’Angelo che presto cederà il posto
ad un supermercato, e al Teatro San Raffaele, zona Trullo, gestito da anni
dall’associazione il Cilindro, impegnata in una campagna per chiedere al
Vicariato il rinnovo del contratto di locazione.
Insomma, un
disastro? «Solo in autunno potremmo fare un bilancio e capire se davvero i
teatri potranno riaprire al pubblico», spiega Massimo Romeo Piparo, portavoce
dell’Atip (Associazione teatri italiani privati). «Se non si torna alla
normalità, che significa eliminare coprifuoco, mascherine, distanziamento,
molte sale non riapriranno mai più.
Il problema
riguarda soprattutto quelle private che non ricevono finanziamenti pubblici o
che prendono una cifra così bassa da rendere impossibile pensare ad una
programmazione. Se a un teatro pubblico vengono assegnati 3-4 milioni di
finanziamento in un anno, è chiaro che si può e si deve fare attività. Ma se
una sala privata ne prende 50-70mila, come si fa? Noi siamo pronti a ripartire,
ma in autunno o mai più». E infatti per ora non riaprono neppure i teatri
privati ai quali sono stati assegnati aiuti economici, figuriamoci quelli che
non hanno avuto nulla. «Nel 2020 abbiamo ricevuto un ristoro a fondo perduto di
48mila euro, ma quei soldi sono serviti a coprire solo i costi fissi», aggiunge
Vincenzo Zingaro, direttore artistico del Teatro Arcobaleno e coordinatore
nazionale del Movimento Spettacolo dal vivo. «La pandemia ha fatto esplodere
una situazione che era già al limite. Siamo disorientati, è una continua corsa
ad ostacoli».
Secondo i dati
forniti dall’Agis i teatri pubblici e privati che usufruiscono del Fus (Fondo
Unico per lo Spettacolo) sono: 31 su 42 in Lombardia, 39 su 45 nel Lazio, 22 su
26 in Campania, tanto per fare qualche esempio e capire quante sono le sale
escluse dal finanziamento ministeriale e che sicuramente si trovano in gravi
difficoltà. Tanto che nel frattempo qualcuna ha già tirato giù le saracinesche
definitivamente. In provincia di Napoli resta chiuso il Centro Teatro Spazio di
San Giorgio a Cremano, fondato nel 1971 da Massimo Troisi, un piccolo teatro
privato con 70 posti, dove però si sono esibiti, con Troisi, anche Enzo De Caro
e Lello Arena (che formavano il trio La Smorfia). «Le porte del teatro sono
sbarrate e rischiano di rimanere così per sempre se la situazione non cambia»,
racconta Vincenzo Borrelli, il direttore artistico. «Da quando è scoppiata la
pandemia abbiamo continuato a pagare affitto e bollette, persino una tassa sui
rifiuti di circa 2mila euro, nonostante la chiusura al pubblico. Siamo riusciti
solo a portare avanti l’attività di formazione online. Purtroppo non abbiamo
avuto nessun tipo di aiuto. Se la sala fosse riconosciuta come “teatro
storico”, la situazione sarebbe diversa. Abbiamo già raccolto 25 mila firme e
siamo in causa con il Comune. Intanto restiamo chiusi».
A Milano, il
Teatro Libero, uno spazio privato situato al terzo piano di un palazzo in zona
Navigli, storicamente dedicato alla drammaturgia contemporanea, alla
sperimentazione, cessa definitivamente la sua attività. «È una scelta dolorosa,
ma inevitabile», racconta Corrado Accordino, che lavorava lì con la sua compagnia
da 20 anni, e negli ultimi 6-7 anni anche con ruolo di direttore artistico
insieme a Manuel Renga. «Con l’arrivo della pandemia, quindi dal mese di marzo
dello scorso anno, sono cessate tutte le attività e dunque sono venuti meno gli
incassi. Ma l’affitto abbiamo dovuto pagarlo lo stesso (40 mila euro all’anno,
cifra impossibile da coprire con un finanziamento di 30mila euro da parte del
Comune, Ndr.). Per fortuna abbiamo salvato i posti di lavoro, i 15 dipendenti
della compagnia La Danza immobile ora lavorano a Monza, al Binario7, che è la
nostra sede storica. Ma da quando abbiamo riconsegnato le chiavi del teatro e
si è sparsa la voce abbiamo ricevuto fiori, lettere, messaggi di solidarietà da
parte di tanti abbonati. La chiusura di un teatro è una perdita per tutti. Ora
bisogna capire cosa e come ricostruire».
Il momento è
drammatico anche per il Teatro ragazzi, fermo ormai da un anno e mezzo. «L’80
per cento del nostro pubblico è costituito dalle scuole, che per tutto il
periodo di pandemia non hanno autorizzato le uscite», spiega Lucio D’Angelo,
presidente di As.t.ra. (Associazione Teatro Ragazzi): «Ecco perché tutto il
circuito è bloccato. Tra l’altro sono bloccati anche i finanziamenti degli enti
locali, le politiche di ristoro non ci sono state, e sfuma anche la possibilità
di avere dei finanziamenti Fus perché al di sotto delle 60 repliche annuali
richieste. Vedremo se si riuscirà a programmare qualcosa in estate, ma con il
coprifuoco diventa un problema. Insomma, siamo in una situazione molto
difficile, non so fino a quando resisteremo». Viene da chiedersi cosa resta.
Festival, arene, terrazze, piazze, palcoscenici in parte si stanno ripopolando.
Ma intanto stiamo perdendo pezzi. Bisognerà capire, prima che sia troppo tardi,
in che modo il settore teatrale riuscirà a sopravvivere.
https://espresso.repubblica.it/idee/2021/05/24/news/covid_teatri_chiusi-301969390/?__vfz=medium%3Dsharebar&fbclid=IwAR3uvUpeTA-y0ehyNqc4xS4GdIH7ksNMgI9J9ImvcLA0AyPw9C74CbK-nrI