mercoledì 3 agosto 2022

Sul Sacco di Gonfienti (2)

Dopo la mia lettera a Malaparte, ieri sul Sacco di Gonfienti è uscita su La Nazione questa intervista di Anna Beltrame al Prof. Centauro. 



PRATO

Nel 1996, quando a Gonfienti si scavava per ampliare l’interporto, nessuno avrebbe potuto immaginare che proprio lì sotto, sepolta dai secoli, giaceva un’enorme città risalente a più di 2500 anni fa, una sorta di Pompei etrusca la cui scoperta ha rivoluzionato la conoscenza della storia di quel popolo, la nostra storia. Adesso una selezione dei preziosi reperti ritrovati nelle campagne di scavo condotte in questi 26 anni (non senza difficoltà) è esposta al museo da poco inaugurato alla Rocca Strozzi di Campi Bisenzio. Giuseppe Centauro, docente di restauro all’università di Firenze, lo ha definito Il Sacco di Gonfienti. Ecco la sua ricostruzione dei fatti, la sua amarezza, i suoi auspici.

Perché è contrario alla scelta di Rocca Strozzi?

«Perché non si trova esattamente a ridosso dell’area archeologica e non si trova neppure a Prato, che grazie alla Gonfienti etrusca ha scoperto quali fossero le sue più antiche origini. Per capire la vera natura dell’insediamento si deve contestualizzare la grande messe dei reperti trovati con gli edifici dai quali sono stati tratti; sono le moderne scienze archeologiche a dircelo».

Lei si è sempre battuto per realizzare l’antiquarium degli scavi a Villa Niccolini, a Gonfienti.

«Certo, era lì che doveva nascere, nel cuore del parco archeologico. A volte, ma non per caso, l’incrocio degli eventi determina cambiamenti di rotta non prevedibili».

Come ricostruisce questo incrocio?

«Gli scavi furono bruscamente interrotti nel 2007 per consentire altri lavori all’interporto. Cinque anni più tardi furono parzialmente ripresi, ma fu abbandonata l’idea di fare l’antiquarium a Gonfienti: la direzione scelta dalla Soprintendenza fu quella di trasferire i reperti alla Rocca Strozzi, per la quale erano nel frattempo ripartiti gli interventi di messa in sicurezza. Fu così che il museo archeologico che doveva sorgere a Gonfienti fu dirottato lontano dall’interporto, in quel di Campi».

Può ricordare per i non addetti ai lavori la rilevanza dei ritrovamenti?

«Il giacimento è smisurato, oggi conclamato dai 17 ettari posti in tutela; la sua scoperta ha rivoluzionato la nostra conoscenza della storia etrusca. Non solo. Oltre alla peculiare scacchiera urbana dell’insediamento, segno distintivo del progetto etrusco di città, dal 2001 è stata messa in luce la più grande struttura abitativa finora conosciuta nell’Etruria settentrionale. Una reggia-santuario di oltre 1400 metri quadri di superficie, risalente al VI-V secolo avanti Cristo, che fu subito al centro di una ribalta mediatica ben oltre i confini nazionali».

Una dimora sontuosa e ben conservata.

«Uno stato di conservazione a dir poco stupefacente, a cui ha contribuito il crollo del tetto, rimasto sostanzialmente intatto attraverso i millenni, miracolosamente adagiato per scivolamento sul terreno. La restituzione di una grande quantità di ceramiche in bucchero, patere e tazze con originali bacili su alto piede e kythoi di produzione locale testimonia la ricca dotazione di manufatti di epoca etrusco arcaica e tardoarcaica. Del crollo facevano parte, ovviamente, elementi costitutivi del tetto: tegole, anche dipinte, coppi e antefisse. Decorazioni architettoniche assai pregiate, che ci offrono un indice attendibile del rango sociale dei proprietari».

E c’è la kylix a figure rosse che i pratesi hanno potuto ammirare a Palazzo Banci Buonamici, prima che fosse dirottata su Campi.

«Un pezzo straordinario attribuito al noto ceramografo attico Douris che si può datare intorno al 475-470, come il famoso kouros bronzeo detto L’Offerente di Pizzidimonte, che si conserva al

British Museum di Londra. In generale le centinaia di cassette di reperti e la bellezza dei manufatti dopo il restauro costituiscono un unicum».

C’è molta amarezza nelle sue parole.

«E’ così. L’ospitalità dei reperti alla Rocca non restituisce l’indissolubile legame con le straordinarie strutture urbane ritrovate a Gonfienti e non sono valorizzate le origini etrusche di Prato, emerse in modo tanto clamoroso quanto inaspettato. Credo sia ancora necessario battersi per dare un futuro al parco archeologico, gettando un ponte tra Prato, che ne dovrebbe essere capofila, Calenzano e la piana fiorentina, ma anche pratese e pistoiese. E’ un falso storico fare di Campi il polo di maggiore o esclusivo interesse».

Non si arrende.

«Certo che no. Non voglio alzare barricate ma correggere un’impostazione dialettica tra l’area metropolitana fiorentina e il resto del territorio, così come la storia ce l’ha consegnato. E basta separare Artimino da Gonfienti, Fiesole e Firenze da Gonfienti: se non si capisce questo non potrà mai esistere una corretta relazione tra gli assetti territoriali etruschi. Per questo è importante che se ne parli, adesso, prima che una visione distorta della storia si legittimi con il perpetuarsi di palesi errori e distorsioni. Ma il Sacco di Gonfienti non deve passare sotto silenzio solo per verità storica, ma anche per Prato. Perché è un po’ come se ci avessero portato via il Tabernacolo di

Filippino Lippi restaurato da Leonetto Tintori...».

Anna Beltrame

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