giovedì 1 settembre 2022

Un ricordo di Fulvio Silvestrini


Ricevo e pubblico volentieri questo intervento del Prof. Centauro su Fulvio.

Cara Maila, 

mi vorrei affiancare al tuo struggente ricordo di Fulvio, proprio come se  fosse ancora qui tra noi. Ma di fatto lo è totalmente nello spirito, di questo sono certo, con tanta voglia di ripartire dai suoi progetti come quello avanzato nel 2013, nell'ideale e inesausto viaggio mosso verso la conoscenza; un progetto che adesso sento più vivo che mai.  

Allora seguendo le sue indicazioni, andai  in quel di Città di Castello, sua città natale, a visitare la mostra di Josef Albers: L'arte come esperienza, scrivendo poi una recensione che qui ripropongo  integralmente come fosse uno spunto tratto dal  testamento morale dello stesso Fulvio, affidato alla carta stampata così come lui avrebbe fatto. 

Fulvio come Albers, Albers come Fulvio dunque, senza alcuna differenza perchè non ci sarà mai oblio intorno al pensiero libero di "spiriti generosi" che si sono spesi fino in fondo per la cultura del sapere imparando dalla vita.


La contemporaneità del Bauhaus a Città di Castello: Josef Albers, didatta artista.

 

Non poteva esserci occasione migliore per inaugurare il nuovo progetto culturale di Fulvio Silvestrini, da lui immaginato come un’ininterrotta esperienza di “viaggi per arti, per saperi e mestieri …”da condividere nella comune partecipazione di spiriti generosi pronti ad aprirsi alla comunicazione verso la disorientata società contemporanea. La meta di questo immaginario percorso iniziatico, concepito intorno all’arte e al pensiero libero, si trova a Città di Castello, nella suggestiva oasi tardorinascimentale di Palazzo Vitelli, dov'è allestita l’esposizione “Josef Albers. L’arte come esperienza”, segmento tematico di un’ampia antologia che prosegue a Perugia, riservata dai lungimiranti curatori a questo riconosciuto maestro del Bauhaus.

Qui si rivive l’atmosfera autentica del Bauhaus attraverso l’insegnamento di Albers, profeta del “learning by doing”, espressione principe del dibattito novecentesco, divenuta basilare nel delicato equilibrio tra tecnologia e cultura. In questo assunto ritroviamo il significato profondo e il momento cruciale dell’auspicato incontro tra filosofia, metodo scientifico e arti applicate. Un’utopia realmente possibile seguendo nell’arte di costruire, proprio l’esperienza dell’eponimo bauhaus.

Nella terra di Alberto Burri, la poetica della materia nuda, il linguaggio astratto dell’informale sembra dunque riscoprire le proprie origini nell’esperienza fondamentale di Albers. Una lezione che appare durevole e attualissima quando filtrata dal genio di Albers, uno degli artefici più intimamente radicati all’idea della creatività intesa quale motore di vita, pura ricerca e sperimentazione. Egli propone un’arte da sentire visceralmente come un’esperienza sempre in divenire, testimoniata nell’astrattismo geometrico delle sue opere, ma soprattutto evocata dal suo stesso metodo di insegnare, di comunicare “fuori dagli schemi”. 

"Josef Albers. Arte come esperienza" è il titolo azzeccato di un itinerario espositivo asciutto, senza fronzoli, come si conviene presentare in un campus universitario, ma anche in uno spazio aperto a tutti coloro che intendono sviluppare senza paludamenti e pregiudizi il proprio estro artistico.

“Per me educazione non è prima di tutto dare risposte, ma porre domande”, esegesi albersiana del pensiero critico per comunicare l’idea stessa dell’universalità che apparteneva ai maestri del passato, ma che diviene nell’applicazione empirica del lavoro creativo un fondamentale insegnamento per il futuro.

Il video d’ingresso “Silent film of Albers teaching at Yale” (del 1954) restituisce da solo, attraverso il carisma del maestro, il senso compiuto dell’esperienza artistica che ogni visitatore può fare in proprio, come hanno fatto gli allievi di Albers, interagendo con le geometrie, con il colore, con la percezione del disegno. Si può infine capire che il segreto è “aprire gli occhi”, comprendendo così anche il senso, nient’affatto arcano, dell’affermazione del maestro: “imparare è meglio che insegnare, perché più intensivo: più insegniamo, meno gli studenti possono imparare”.


 Prof. Giuseppe A. Centauro (Università degli Studi di Firenze)

(Articolo pubblicato su "Metropoli" del 31 maggio 2013)




La foto sopra è tratta da questo articolo:

https://primaveradiprato.blogspot.com/2021/04/il-sogno-di-fulvio.html

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