giovedì 22 maggio 2025

Pasolini e le "imprese spaziali"

Sembra che la città di Prato ospiterà la sede dell'Agenzia Spaziale Italiana nell'ex-area Banci.

Mi piace qui copiare un estratto di un articolo di Pasolini poco ricordato, al solito imbarazzante, sulle imprese spaziali (ne scrisse anche altri, tutti poco amati e tenuti celati più possibile): allora la "conquista del Cosmo" era arrivata solo alla Luna, ma il senso delle sue parole è ancora valido.

 

Un grande fatto storico

(...). L'uomo che raggiunge la luna e ci cammina sopra è indubbiamente un grande fatto storico. Come mai non interessa realmente quasi nessuno? Come mai è divenuto un oggetto quasi esteriore di semplice curiosità e di bisogno di essere pari con l'informazione? Io in questi giorni sto lavorando a un film (21): non sono dunque solo: passo l'intera giornata con almeno una sessantina di persone che lavorano con me, tutto il giorno vicini: inoltre, lavorando all'aperto (in questi giorni, a Grado) vedo dozzine e dozzine di altre persone, comparse, curiosi, guardiani, carabinieri, proprietari dei luoghi dove giro, amici che capitano lì a trovarmi, ecc. ecc'. Vivo, insomma, per almeno quattordici ore di seguito in piazza. Ebbene, in tutti questi giorni, mai nessuno che abbia parlato della conquista della luna; e quando dico mai, intendo proprio dire letteralmente mai. Io stesso alla mattina spesso dimentico di comprare i giornali, e, per quel che riguarda la luna, leggo solo i grossi fastidiosi titoli. La stampa stessa mi pare impegnata in una impresa enfatica. Essa infatti gonfia gli avvenimenti, come per un dovere, una deliberazione aprioristica: andare sulla luna è enorme, facciamo dunque titoli e articoli enormi. Eppure si sente che, di tale enormità, non c'è richiesta. (...).

Perché gli uomini (almeno in Italia) - me compreso, del resto - provano questa resistenza a lasciarsi implicare sentimentalmente, e quindi con la passione che crea le identificazioni, dall'impresa dell'Apollo?

Quanto a me, alcune ragioni le so: mi infastidisce, tanto per cominciare, il nome "Apollo", ridicolo e retorico residuo umanistico - pesantemente ipocrita - a fare da "segno" a un oggetto prodotto dalla più avanzata civiltà tecnologica; provo una strana antipatia per i tre astronauti, tipi di uomini medi e perfetti, esempio di come si deve essere, inestetici ma funzionali, privi di fantasia e passione, ma spietatamente pratici e obbedienti - assolutamente privi di ogni capacità critica e autocritica, veri uomini del potere; sento una sgradevole repulsione per il background piccolo- borghese di questi tre uomini, quei figlietti biondi, così carini e già così contrassegnati dal loro futuro completamente condizionato, quelle tre mogli che giocano con tanto spudorato candore il ruolo che viene loro richiesto: Penelopi, sì, Penelopi fedeli e un po' brusche, che sanno ridurre tutto, al momento opportuno, al caffè e alle tartine da offrire (con in cuore la qualunquistica e rassicurante speranza che il loro uomo ritorni e smetta di fare l'eroe) alle vicinedi casa; detesto poi tutta l'ufficialità americana che c'è intorno all'impresa, con in testa quell'Agnew... Sono, tutte queste, idiosincrasie mie, di intellettuale eternamente scontento, viziato da un buon gusto che non ha più senso, amareggiato delle sue illusioni politiche irrealizzate? (...). Ciò che rende resistenti ad amare l'impresa lunare è che essa è una impresa del Potere. (...). Le imprese spettacolari del Potere tendono a ridurci a uno stato infantile. Il Potere compie (finanziandole) le più grandi imprese, e noi tutti lì a bocca aperta ad ammirare. É chiaro che non vogliamo tornare troppo bambini, che non vogliamo essere ridotti eternamente allo stato di figli. Perciò detestiamo anche tutti i mascheramenti del paternalismo più feroce della storia (perché indubbiamente il più potente): la falsa democrazia, la demagogia populistica, il sentimentalismo famigliare, la spaventosa retorica dell'obbedienza.

Devo aggiungere ancora un'osservazione. Fingiamo di essere vissuti negli anni dell'impresa che tutti i giornali di questi tempi ricordano: il viaggio di Colombo verso le Indie e il suo sbarco in America. É una finzione, che propongo, il che implica il giudicare ipoteticamente quell'avvenimento con la nostra mentalità – almeno liberale e illuministica - o almeno dotata di quell'umorismo che era privilegio delle élites - oppure dei poeti, come Cervantes o l'Ariosto.

L'impresa di Colombo, che è poi diventata un'impresa dell'umanità, era, in quel momento, una impresa della monarchia spagnola: era cioè finanziata dal Potere. Dunque la grande impresa "umana" di Colombo non è stata, nel momento storico in cui si è attuata, che il "via" a una serie di atroci imprese colonialistiche. Ma mentre, nel caso di Colombo, c'è evidentemente una dissociazione tra l'uomo singolo, o eroe, Colombo, e il Potere finanziatore - dissociazione che sdoppia il fatto bruto: da una parte la grande impresa umana, dall'altra la feroce impresa commerciale e colonialistica - nel caso degli astronauti, questa dissociazione non c'è. L'eroe di questa impresa non è l'astronauta - che è in sostanza un semplice robot - ma la tecnica . Non c'è più dissociazione, dunque, perché la tecnica non è la moderna personificazione di Colombo, che approfitta del finanziamento del Potere, per compiere, quasi su un piano metastorico, la sua scoperta, ma è l'aspetto operativo e pragmatico stesso del Potere.

Dunque, la conquista della luna non è una impresa umana che alla fine scavalcherà e supererà il potere storico e particolaristico che l'ha finanziata: ma sarà un dato permanente e inscindibile del Potere. Perciò quello che accadrà in seguito alla conquista della luna ci è estraneo, perché estraneo ci è l'operare del Potere, con le sue finalità militari ed economiche che ci coinvolgono passivamente, e quindi con violenza.

(...). È chiaro che la storia non sarà d'ora in avanti più storia di nazioni, cioè di poteri nazionali: ma sarà storia dell'intera umanità, unificata e omologata dalla civiltà industriale e tecnologica – tanto per dirla con la massima semplicità. Il Potere da nazionale tende a diventare transnazionale: restando potere, cioè, nella fattispecie, facendo sua la conquista della luna. La conquista della luna è dunque già statisticamente (oltre che col senno del poi del finto postero) una impresa della umanità: ma perché divenga veramente tale occorre che tale umanità sia libera. Parlo da utopista, lo so. Ma o essere utopisti o sparire.

 
Dalla rubrica il CAOS, 10 febbraio 1969

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