mercoledì 18 marzo 2009

De imperii lingua sive commercium linguae

Un’analisi linguistica attenta del programma del “Town Meeting”, che avrà luogo a Prato il 28 marzo prossimo, e che presenta il futuro piano strutturale della città, denuncia già un disagio nello stesso titolo e la creazione di un ‘non luogo’ (concetto dell’antropologo Marc Augé).
Il programma è stato ampliamente pubblicizzato nella Guida Piano cittadino, titolo del foglio illustrativo che è arrivato nelle nostre case.
Dunque si viene a sapere che il “Town-Meeting” si svolgerà nell’”Urban Center” di via Mazzini: l’utilizzo di una lingua ‘straniera’ per presentare il piano strutturale della città di Prato (rinominando anche un edificio, l'ex-scuola Marconi), una città italiana anzi toscana, dà il senso del progetto, che gli amministratori-organizzatori vogliono mostrare come exemplum a livello internazionale, ma che in realtà denuncia la non convinzione, l’intercertezza, il non sapere o non volere trovare parole di cui l’italiano è ricco. Proprio perché esiste questo disagio o ambiguità anche concettuale da parte degli organizzatori-amministratori.
Traduco: l’ INCONTRO CITTADINO avrà luogo nel CENTRO URBANO.
Ora le parole si consumano come merce di mercato, e queste, così tradotte, proprio non vanno.
Le parole dell’italiano sono state scartate, sia perché consumate, ma anche perché sentite come provinciali, ‘basse’ e comuni. Con l’utilizzo della lingua inglese si vuole innalzare il messaggio, renderlo europeo, ma soprattutto convincente e imperativo. D’altronde: ‘incontro’ sarebbe stato troppo generico; ’cittadino’, termine di origine rivoluzionaria, è anch’esso svalutato o forse ancora pericoloso (cfr. i comitati cittadini, spina nel fianco di ogni potere locale). Non parliamo poi del sintagma ’centro urbano’, dove ‘centro’ è parola ricca di polisemia; ‘urbano’, che ha il significato che ‘polite’ ha in inglese, ossia ‘educato’, ‘pulito’, ‘garbato’, oltre che ‘urbano’ nel senso della radice latina urbs, ha assunto ultimamente una connotazione ironica, evidentemente perché l’urbanitas non è più praticabile.
Ove nel foglio illustrativo della Guida Piano del Cittadino non si sia utilizzato l'inglese, tuttavia l’italiano si presenta come ‘anglicizzato’: subito appare evidente che, per esempio, gli articoli siano sentiti come inutili o sovrabbondanti, dovendo calcare la struttura sintattica dell’inglese.

Parentesi. La Guida Piano del Cittadino presenta il processo partecipativo al piano strutturale come un gioco di società a cui i cittadini sono simpaticamente invitati: al “Town meeting” si dovrà rispondere a delle domande, premere pulsanti, ecc. come in un gioco televisivo: “Chi sarete?”; “Cosa dovrete fare?”; “Mando mio figlio, mio nonno o sento Ugo?” (sic!).
A proposito di anziani, della memoria storica della città: molti di loro capiscono solo vagamente il senso di quanto accade o si sentono estraniati (come per altri versi i giovani, di cui sono drammatiche epifanie violenza e insensatezza); capiscono che questo è uno dei tanti passi che porteranno alla completa trasformazione e de-semantizzazione della loro lingua, del loro retaggio culturale, del loro habitat. Basta, insomma con le tradizioni. Con le radici. Con il tessuto antico della città, con i suoi borghi. Capiscono anche che la MULTISALA non è per loro; così come l’INTERPORTO; che appunto sono luoghi 'non luoghi': luoghi del consumo, della merce, dello scambio, che si pone ormai come l’unico rapporto di valore e, in alcuni casi, possibile, fra le persone.

Ma torno alla lingua: la lingua inglese diventa, in queste operazioni di propaganda e azione di consenso politico, lingua che ‘spazza’ e ‘spiazza’ il mondo, molto più celermente e capillarmente di quello che fece il latino nel passato. E con risultati più sbrigativi di quelli messi in opera dal dominatore romano. Il latino entrò nel territorio romanzo con grandi difficoltà e lentezza, si trattava di un idioma complesso, era la lingua del dominio ma anche della cultura e della fede: soprattutto di quest’ultima, il travaso linguistico fu facilitato dalla Chiesa di Roma. Diventò poi lingua di cultura a livello internazionale nell'Umanesimo, per i suoi meriti, modificando tra l’altro il patrimonio semantico anche delle lingue non romanze, come l’inglese appunto.
L’inglese di oggi, frettolosamente ingerito in compresse senz'acqua, non è certo la lingua ricca e stupefacente di Shakespeare, e nemmeno quella di D.H. Lawrence, viaggiatore novecentesco appassionato dell’Italia e dei luoghi etruschi.
Tutti coloro che parlano l’inglese come madrelingua si dovrebbero seriamente risentire che il loro idioma si ponga ormai come linguaggio che spiazza/spazza (e che diventa ‘spazzatura’), lingua imperii et commercii, una lingua diventata spiccia e sbrigativa, all’uso del consumo, degli abbagli e intrighi della assolutistica modernità. Una lingua brutale, esattamente come certe operazioni del potere di oggi, sconfinato e mercificato.
Ringrazio l’ingegnere inglese Paul Hodgetts, che condivide le mie perplessità.

Maila Ermini,
per la Primavera di Prato.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Si può pubblicare il tuo articolo? Lo trovo interessantissimo. Naturalmente con il tuo nome e per intero.

Grazie.
Massimiliano R.

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