di Niccolò Lucarelli
Ieri sera, la compagnia del Teatro La Baracca, a Casale di Prato, ha riproposto quello che è ormai un classico della drammaturgia impegnata della brava Maila Ermini, qui nella doppia veste di autrice e interprete. L’infanzia negata dei Celestini ripropone al pubblico una delle vicende più torbide della recente storia pratese, resa ancora più odiosa, se vogliamo, dal fatto che i colpevoli appartenevano a un’istituzione religiosa. Con la dicitura “i Celestini”, infatti, si designavano a Prato i bambini ospiti dell’orfanotrofio gestito fino al 1965, anno della chiusura, presso la Villa Il Palco, da un padre cappuccino e da non meglio identificati terziari e terziarie francescane.
Attraverso la forma della lettura scenica, semplice ma efficace, Maila Ermini narra le sevizie fisiche e psicologiche subite dai piccoli ospiti, le precarie condizioni igienico-sanitarie nelle quali erano costretti a vivere, e gli intrecci fra politica, mondo industriale e potere ecclesiastico, che stavano dietro a quella che era all’apparenza una struttura religiosa, ma che in realtà celava società per azioni, interessi immobiliari, e il tentativo di costruire a Prato un santuario mariano per sfruttare economicamente il flusso dei pellegrini che vi sarebbero giunti. I soldi delle elemosine e delle offerte elargite nella più assoluta buona fede da credenti di tutta Italia (ma anche dall’estero), non servivano per mantenere i bambini nelle migliori condizioni possibili. A questo, si aggiungevano i maltrattamenti. La direzione dell’orfanotrofio era affidata alla controversa figura di padre Leonardo, che ancora oggi è considerato da molti una figura in onore di santità, a dispetto delle schiaccianti prove a suo carico, in quanto responsabile degli orrori subiti dai bambini.
Maila Ermini è giunta a elaborare questo testo teatrale atipico, solo dopo una lunga ricerca negli archivi comunali, allo scopo di ritrovare documenti che potessero spiegare cosa veramente ci fosse dietro alla vicenda. Un lavoro difficile, perché i documenti rimasti sono davvero pochi; un libro bianco, frutto di un’inchiesta comunale del 1963, e le testimonianze orali degli ex ospiti ormai diventati adulti.
L’importanza di un lavoro teatrale del genere, sta nel fare luce su una vicenda che sia il mondo politico, sia quello ecclesiastico, hanno cercato in ogni modo di tenere nascosta, per evitare uno scandalo che avrebbe toccate molte personalità. Obiettivo solo in parte ottenuto, perché il processo che seguì alla morte di uno degli ospiti dell’orfanotrofio, ne decretò la chiusura. Per quello che è un “vizio di forma” della giustizia italiana, le condanne emesse in primo grado nel 1968, furono annullate in appello. Da allora, silenzio assoluto sulla vicenda.
Un silenzio che non fa onore alla città di Prato, né ai politici cha l’hanno amministrata, né alla sua Curia, quest’ultima tuttora chiusa in un ostinato silenzio, nonostante i ripetuti inviti a vedere la rappresentazione. Inoltre, segnaliamo ai lettori che la compagnia della Baracca, e la Signora Ermini in particolare, sono stati oggetto di ripetute minacce (vilmente anonime), al momento del debutto dello spettacolo, e per gli anni seguenti, al momento delle repliche. Segno che ancora, le coscienze sporche in città sono molte, e che ancora esiste l’interesse a tacitare chi si occupa della vicenda.
La compagnia della Baracca è l’unica, in città, che sappia offrire spunti di riflessione sulle vicende della storia pratese, come già accaduto con il Dramma dei Concubini, e proprio per questo meriterebbe un’attenzione particolare da parte dell’Assessorato alla Cultura, che potrebbe forse garantirle una maggior visibilità anche nei teatri comunali, primo fra tutti il Metastasio.
Ma anche nello spazio ridotto della Baracca, il messaggio di Maila Ermini arriva comunque agli spettatori che fanno del libero pensiero un punto di forza. Spettatori che ci auguriamo siano sempre numerosi, come ieri sera appunto, a sostegno di quel teatro civile che, con la riduzione dei fondi preposti, si troverà sempre più in difficoltà, e la cui scomparsa segnerebbe un impoverimento della vita culturale pratese.