(Glossa l'autrice della recensione, Cristina Giuntini: "Per noi che lavoriamo ogni giorno calpestando un'altra civiltà").
"I tesori nascosti, si sa, sono quelli più preziosi, ma sono anche quelli che è più faticoso e arduo ritrovare e riportare alla luce. A volte, poi, questi tesori ci vengono celati intenzionalmente, perché non è conveniente svelarceli: interessi contrastanti, disinteresse o, a volte, perfino avversione per l’erudizione del popolo, mille altri motivi non sempre evidenti pongono numerosi ostacoli fra di noi e la fruizione di questi gioielli, defraudandoci del un nostro diritto fondamentale su di essi.
Uno dei più evidenti esempi di un diritto di questo tipo negato in nome del progresso e della civiltà del lavoro si trova a Prato. La città industriale, che, dal punto di vista storico-culturale, si è sempre arresa in partenza allo strapotere della vicinissima ma inarrivabile Firenze, è da anni il teatro nel quale si rappresenta una delle più grandi occasioni perse che la storia italiana ricordi: il mai nato Parco della Piana, progettato per Gonfienti, zona archeologica dal valore inestimabile. Durante gli scavi (ben pochi, in realtà, rispetto a quanto sarebbe stato logico) effettuati nel sito, non sono state ritrovate solamente centinaia di reperti di grandissima importanza mai messi a disposizione del pubblico (cosa che, purtroppo, succede spesso), ma anche una vera e propria città sotterranea, con diverse domus fra cui la più grande attualmente conosciuta, e un decumano di ben dieci metri di larghezza. Un patrimonio che, a rigor di logica, dovrebbe immediatamente essere valorizzato e dichiarato fruibile da parte dei cittadini e dei turisti, e che, invece, è stato insabbiato, nel vero senso della parola. La motivazione ufficiale è la conservazione dei reperti, che, se fossero riportati alla luce, comporterebbe spese eccessive e non sostenibili. L’argomento, però, crolla miseramente se si prende in considerazione un “trascurabile” particolare: l’area di Gonfienti è di proprietà della Società Interporto della Toscana Centrale, che non è particolarmente interessata all’archeologia.
Uno dei più evidenti esempi di un diritto di questo tipo negato in nome del progresso e della civiltà del lavoro si trova a Prato. La città industriale, che, dal punto di vista storico-culturale, si è sempre arresa in partenza allo strapotere della vicinissima ma inarrivabile Firenze, è da anni il teatro nel quale si rappresenta una delle più grandi occasioni perse che la storia italiana ricordi: il mai nato Parco della Piana, progettato per Gonfienti, zona archeologica dal valore inestimabile. Durante gli scavi (ben pochi, in realtà, rispetto a quanto sarebbe stato logico) effettuati nel sito, non sono state ritrovate solamente centinaia di reperti di grandissima importanza mai messi a disposizione del pubblico (cosa che, purtroppo, succede spesso), ma anche una vera e propria città sotterranea, con diverse domus fra cui la più grande attualmente conosciuta, e un decumano di ben dieci metri di larghezza. Un patrimonio che, a rigor di logica, dovrebbe immediatamente essere valorizzato e dichiarato fruibile da parte dei cittadini e dei turisti, e che, invece, è stato insabbiato, nel vero senso della parola. La motivazione ufficiale è la conservazione dei reperti, che, se fossero riportati alla luce, comporterebbe spese eccessive e non sostenibili. L’argomento, però, crolla miseramente se si prende in considerazione un “trascurabile” particolare: l’area di Gonfienti è di proprietà della Società Interporto della Toscana Centrale, che non è particolarmente interessata all’archeologia.
Che cos’è un interporto? E’ in parole povere, un posto dove sono concentrate le sedi della maggior parte degli spedizionieri e dei corrieri della zona, e dove, almeno in teoria, dovrebbe avvenire anche l’interscambio fra trasporto su rotaie e su gomma. Un luogo, quindi, di uffici, camion, cemento e inquinamento, che sicuramente rappresenta una grande occasione di lavoro per i cittadini, ma, per contro, soffoca e schiaccia l’area archeologica con tutta la sua valenza didattica e culturale. Questo è, in pratica, quello che sta succedendo a Gonfienti: un processo che sembra essere irreversibile.
In prima linea nella battaglia, apparentemente disperata, contro l’oblio di Gonfienti, è Maila Ermini, proprietaria del Teatro La Baracca, attrice, drammaturga, personaggio di spicco quanto scomodo nella realtà pratese. Da circa dieci anni a questa parte, Maila non ha lasciato da parte un tentativo: lettere, proteste, sit-in, rappresentazioni a tema, e, non ultima, la redazione di questo piccolo libro. Non si tratta assolutamente di un testo di archeologia (del resto, neppure ne avrebbe la pretesa), ma di una pura e semplice cronaca, il racconto nudo e crudo dei fatti che si sono susseguiti dal 2007 al 2010, con, in appendice, i relativi documenti. Scritto con forma ineccepibile ma avulso da termini eccessivamente eruditi, il testo vuole semplicemente portare l’attenzione della gente su di un problema che qualcuno vorrebbe dichiarare risolto, ma è quanto mai aperto. E la battaglia continua." Cristina Giuntini . (Sololibri.net)
Nessun commento:
Posta un commento