Alcuni giorni fa vado da un cardiologo per un controllo.
Mi sento affaticata, e vado. Lui è molto simpatico, amabile direi, e per fortuna, dopo una visita attenta, anche attraverso macchinari all'avanguardia - mediante cui conosco per la prima volta quell'animale che ho in petto chiamato cuore - mi rassicura che va tutto bene.
Durante la visita, parliamo, parliamo un po'. Lui mi fa domande sul mio lavoro, ha detto di me sul giornale; e io gli chiedo del suo. Finiamo per parlare dell'università, siamo coetanei, e mi racconta come funzionava la vita universitaria a Medicina: aule grandissime, tanti allievi; il professore entrava (e sa che ancora è così e forse molto peggio) per la lezione, e poi se ne va. Non poteva conoscere tutti gli allievi del corso, e forse nemmeno era interessato a farlo, per cui quando qualcuno si presentava per l'esame, nonostante avesse appunto frequentato, per il professore era uno dei tanti sconosciuti.
Pochi amici durante i cinque anni di università; alcuni buoni conoscenti, con cui sono stati condivisi gli studi finalizzati a un esame. Ognuno pensava a sé.
L'esatto opposto a quello che ho vissuto io: pochi allievi, si viveva con i professori in istituto, dalla mattina alla sera.
Io così ho fatto per la prima laurea, a Firenze con Macrì, e anche per le altre, per quanto abbia potuto conciliando lo studio con il lavoro. Molta vita di facoltà anche per Lettere (laureata in Filologia con Roncaglia a Roma) e Filosofia, dove ho conosciuto professori straordinari, come Tullio Gregory, che è stato uno dei miei professori. A Roma in certi giorni, ricordo bene, si incontravano alla Treccani e si discuteva, che ne so, di Giordano Bruno (e della mia pazza idea, mai realizzata di mettere in scena Il Candelaio!). Io insomma, devo molto all'università, sia a Firenze che a Roma, all'incontro con uomini illustri, allo studio matto e disperatissimo di quegli anni, tutto rubato.
Insomma, all'università l'aspetto umano per me è stato fondamentale. Invece nel racconto del bravo, simpatico cardiologo nulla esisteva di tutto questo. L'università a Medicina è un luogo freddo, 'operatorio', dove si diventa medici, ma senza che nessuno tocchi o sfiori l'argomento uomo da un punto di vista emotivo.
E la vocazione?
Lui, il cardiologo, a questa domanda mi ha sorriso e ha risposto: "Quasi nessuno, pochissimi, i 'chiamati' ".
Certo, anche se l'indole umana si cambia, tuttavia un esame di filosofia morale a Medicina, anche alla luce di ortopedici che 'rompono femori alle anziane per allenarsi', non ci starebbe male. Insomma, in qualche modo, bisognerebbe sottoporre i futuri medici anche a esami di umanità.
Questo è il giuramento di Ippocrate, in versione moderna, che i medici-chirurghi e odontoiatri prestano prima di iniziare la professione:
« Consapevole dell'importanza e
della solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo, giuro:
· di esercitare la
medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da
ogni indebito condizionamento;
· di perseguire la
difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell'uomo e il
sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno
scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;
· di curare ogni
paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione,
nazionalità, condizione sociale e ideologia politica e promuovendo
l'eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo sanitario;
·
di non compiere
mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona;
·
di astenermi da
ogni accanimento diagnostico e terapeutico;
·
di promuovere
l'alleanza terapeutica con il paziente fondata sulla fiducia e sulla reciproca
informazione, nel rispetto e condivisione dei principi a cui si ispira l'arte
medica;
·
di attenermi nella
mia attività ai principi etici della solidarietà umana contro i quali, nel
rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze;
·
di mettere le mie
conoscenze a disposizione del progresso della medicina;
·
di affidare la mia
reputazione professionale esclusivamente alla mia competenza e alle mie doti
morali;
·
di evitare, anche
al di fuori dell'esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano
ledere il decoro e la dignità della professione;
·
di rispettare i colleghi
anche in caso di contrasto di opinioni;
·
di rispettare e
facilitare il diritto alla libera scelta del medico;
·
di prestare
assistenza d'urgenza a chi ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica
calamità, a disposizione dell'autorità competente;
·
di osservare il segreto professionale e di
tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho
veduto, inteso o intuito nell'esercizio della mia professione o in ragione del
mio stato;
·
di prestare, in
scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo
equità, osservando le norme deontologiche che regolano l'esercizio della
medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della
mia professione. »
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