venerdì 3 luglio 2020

Ancora su "Memorie di un teatro di campagna"

Pubblico la recensione del "Gufetto" e un commento di pochi giorni fa.
Salvo rinvii dell'ultimo momento, replicherò "Memorie di un teatro di campagna" sabato 12 settembre.


MEMORIE DI UN TEATRO DI CAMPAGNA @ Teatro La Baracca: variopinto quadro di un teatro e del suo borgo di periferia

Dopo l’intervista che ci ha concesso nel mese di maggio (qui il link al pezzo su Gufetto) Maila Ermini, per prima sul territorio pratese, torna in scena per portare sul palco le sue MEMORIE DI UN TEATRO DI CAMPAGNA, biografia di quella “Baracca” che negli anni è diventata rifugio, tempio, ufficio, financo “spedale” per attori e spettatori. Tra aneddoti e racconti, delusioni e soddisfazioni, con una caparbietà ai limiti della testardaggine, Maila Ermini si offre sul palco ad un pubblico che, nonostante il distanziamento fisico, non manca di far sentire palpabilmente la sua partecipazione in un afflato che nel finale trova il suo naturale sfogo in un piacevole dialogo con l’attrice e drammaturga, con la madre della Baracca.  


Dopo il grande silenzio che ha avvolto il mondo del teatro negli ultimi 4 mesi per colpa di una pandemia virale che ha colpito corpo e mente, è finalmente arrivato il momento di rompere quel muro di omertà lasciando che siano le assi stesse del palcoscenico a parlare, con la loro polvere e le orme di coloro che le hanno calcate. E lo spettacolo non può dirsi iniziato con la prima battuta, con quella meravigliosa e quasi salvifica poesia I limoni con cui Gianfelice D’Accolti apre la rappresentazione. Infatti anche solo varcare quell’ingresso così semplice ma accogliente ci provoca l’emozione di ritrovarsi finalmente seduti nella fremente attesa di un attore, delle sue parole, del suo corpo, del linguaggio che userà per comunicare con noi, esperienza sensoriale a 360° che tanto abbiamo bramato nei mesi del “lontani ma vicini”.
Una volta che anche per noi si è quindi squarciato il muro del silenzio con l’odore del legno come per Montale era successo con il giallo dei limoni sulla riviera ligure, torna a parlare il teatro. E lo fa attraverso le parole che un giorno il futuro erede di questo spazio scoverà in un pertugio del legno, in un incartamento magari spiegazzato e ingiallito dal tempo, scrigno di un tesoro di memorie. Equilibrio incerto tra un passato ed un futuro che si reggono su un presente ancora più incerto. Se la storia di un luogo rappresenta, sì, le sue fondamenta, questo teatro di campagna non manca certo di solidità ma, come emerge dal racconto, sono state più le asperità che non le soddisfazioni a rafforzarlo.
Maila Ermini, sensibilmente emozionata, sceglie, come spesso succede nella sua drammaturgia, di muoversi a piedi nudi tra una panca e l’altra nello spazio scenico, come per non frapporre nessun ostacolo tra il suo corpo e l’anima del suo teatro. Perché qui è davvero così: il teatro è veramente una sua proprietà. E non è certo un atto notarile registrato ad attestarlo ma lo sono il sudore e la passione che hanno battuto ogni singolo chiodo che lo tiene insieme, nonché la caparbietà con cui Maila non ha mai ceduto alla tentazione di un teatro fatto esclusivamente per soldi. La popolarità ricercata negli anni non è quella della fama, della gloria, ma quella della cultura cosiddetta “bassa”, quella del Teatro Popolare Minimo che anche in un borgo di periferia fa difficoltà ad attecchire e a convivere con gli abitanti intorno e perfino col parroco.
Snocciolando aneddoti e racconti, il “discendente distruttore”, financo “ruspista”, al quale è rivolta la lettura, continua ad ascoltare e passa dallo stupore alla sorpresa, dalla rabbia all’amarezza, dalla risata al sorriso appena accennato man mano che transitano sul palco attori comici, attori drammatici, poliziotti, fattucchiere, parrocchiani insieme a quelle radicate speranze che hanno finora alimentato la vita della Baracca, sempre pronta ad includere con rispetto e convinzione. Non sono bastati gli screzi, gli ostacoli burocratici, i commenti denigratori davanti e dietro le quinte per interrompere un percorso che non era certo ben delineato. A definirlo sono stati tenacia, affetto, determinazione, passione e anche l’immancabile supporto di un pubblico a volte non numeroso ma assiduo. Un pubblico che può dirsi popolare come la drammaturgia che si sviluppa sul palco: mai di facile consumo, sempre studiata e allo stesso tempo pronta a migrare laddove ci siano volontà e disponibilità, nell’ottica, appunto, popolare del teatro antico.
Con una scrittura lineare, sobria ed incisiva, Maila è rimasta rispettosa delle sensibilità personali degli spettatori senza abbandonarsi a picchi di emotività che forse, di questi tempi, sarebbero fin troppo ruffiani nel pizzicare le tese corde dei nostri animi bisognosi di contatto, se non fisico, almeno emozionale. In un’altalena tra eroismo e vittimismo, entrambi sfiorati e instillati negli spettatori come note a margine delle memorie, va riconosciuto che il tono non è mai risultato patetico anche se sarebbe stato facile cadere in tentazione in alcuni passaggi. La sensazione che il mondo intorno sia cattivo e minaccioso, senza troppe prospettive per il futuro (vana speranza è credere che il discendente sia un costruttore) aleggia sul testo e a tratti rischia di spegnere la vivacità netta di quei colori pastello con cui la popolarità di un borgo di campagna toscano è tinteggiata.      
Senso di liberazione, occasione di riscatto, strumento per esorcizzare l’isolamento, desiderio di dare voce allo spazio condito dal tempo: tutto questo è Memorie di un teatro di campagna. Sicuramente non possiamo definirlo il miglior testo composto da Maila Ermini né tantomeno, quella della prima, la sua migliore interpretazione, nei limiti di una lettura recitata. Sono però la sincerità delle parole e l’emozione del loro essere scandite dopo mesi di silenzio a rendere sicuramente questo, uno spettacolo cui resteremo affezionati.    



"Io poi alla fine, dopo il dibattito, me ne sono rimasta ancora seduta. L'ho dovuto digerire!
Il teatro fatto così, in campagna, un ossimoro sociale, dove lo spettatore quasi tocca l'attore, a parte le distanze ormai obbligatorie, dove l'autrice attrice ti racconta il suo mondo "crudele"... 
Il teatro viene aperto come una scatoletta, diventa romanzo e storia esemplare.
Il testo è bello e coraggioso, non scontato, l'interpretazione vera e  toccante". (Simona Natoli).




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