Aspettavo da
tempo la notizia: dopo il teatro-vetrina del tempo del sindaco Romagnoli (così
egli definì il suo progetto per il teatro Metastasio - famoso un tempo in tutta
Italia per l'aver avuto come direttore un regista come Ronconi eccetera) siamo
passati al teatro-salotto, regnante Biffoni al suo secondo mandato (siamo a Prato, per chi non lo sapesse): sono
trascorsi una decina di anni e il teatro Metastasio, diretto da Franco
D'Ippolito celebra, presentando la prossima stagione (anzi, non più stagione,
ma "momento"), e con la buona scusa del corona-virus, la sua fine.
Il direttore
artistico è architetto, e quindi quale migliore occasione per trasformare
fisicamente il luogo teatro in salotto, con tanto di tavolini per separare gli
spettatori (sarà una impressione, ma nella foto i tavolini sono sistemati
troppo stretti per un eventuale necessità di fuga), i quali ormai non
hanno più nulla da vedere se non se stessi, magari sorseggiando idealmente
un drink, e presentare una programmazione che completa la
distruzione del teatro, per sua stessa ammissione: "...Si punterà...per
star vicino e sostenere i lavoratori dello spettacolo (altra ottima scusa,
tutelare i lavoratori, sic!) a una produzione diversificata, fra spettacoli di prosa, registrazioni
di radiodrammi, radio-melodrammi e di trasmissioni radiofoniche di “arte
varia” (con la collaborazione di Radio Toscana
Classica), produzioni di miniserie video e di uno sceneggiato televisivo
in bianco e nero a puntate". (Sottolineatura mia).
L'impostazione fisica apparente della sala richiama quella del cabaret. Ma
non c'è nulla del tempo passato, del kabarett della Repubblica
di Weimar, del suo umorismo nero.
Il colore nero dei tavolini è solo un elegante gioco cromatico. O al
massimo, potrebbero alludere alla morte dello spettatore, alla sua passività o
scomparsa. Un tempo il teatro - anche e molto nella sua forma
cabarettistica - si opponeva al potere; qui ne è totalmente servo, e serve solo
ad amplificarlo, sostenerlo, celebrarlo.
Tra pochi anni anche questi teatri-solotto, pietosi camuffamenti di un
prossimo trasloco o chiusura, saranno archiviati e sistemati nelle
cantine degli ingorghi universitari, materia di studi e tesi del tempo che
fu.
Il corona-virus non fa che accelerarne la fine,
giustificando ipocritamente un disagio che già c'è da molto tempo; la
difficoltà di riempire la sala, di confermare abbonati; l'insensatezza evidente
di un teatro che non interessa che a pochi dinosauri ormai; insomma il problema
di giustificare nomine e rendiconti con presenze e numeri che non ci sono. Così
il virus solleva tutti dalla responsabilità e dalla discussione del perché
tutto questo accada (nessuno protesterà, anzi tutti applaudiranno), e renderà
pietoso e congruo - sanitario e indolore - il processo di morte culturale già
in atto.
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