Uno degli aspetti più impressionanti e purtroppo caratteristici della 'mia' città è la persistente politica anticulturale della partitica cittadina.
Una città allevata a forza di 'lavoro', in cui solo una piccola parte della cittadinanza è stata destinata allo studio superiore e comunque sempre indirizzato al lavoro, sfornando i necessari avvocati, ingegneri, medici eccetera.
La stessa università non è entrata per niente nel tessuto cittadino, e continua a essere contraddistinta per i suoi risvolti culturali 'pratici' (vedi lo stesso famoso corso del Progeas, Laurea in Progettazione e Gestione Eventi per Imprese dello Spettacolo)
Disastrosi sono stati gli effetti di questa politica, questa dose massiccia di droga mentale che è stata instillata, e tutto in nome di questa occupazione che si doveva cercare, grazie alla collaborazione di una scuola finalizzata al lavoro, che tra l'altro ha contribuito a distruggere le varie espressioni culturali del popolo.
Io stessa ho dovuto combattere contro questa mentalità per continuare a studiare in modo diverso, ho dovuto 'mentire' ai miei genitori.
Perché sì, si doveva frequentare la scuola, ma solo fino a un certo punto e per cercare lavoro. Si sono quindi ampliate le scuole professionali, quelle 'pratiche' appunto e spesso produttrici, e ancora oggi, di allontanamento scolastico da parte dei giovanissimi.
I divi pratesi come Benigni o come Villoresi, hanno fatto il loro percorso scolastico in queste scuole professionali. E tutto il popolo ci doveva andare. Ci dovevo andare anch'io, ma io dissi di no.
Ricordo benissimo che un parente mi disse di non fare il liceo, perché non sarebbe servito trovare lavoro; perché avrei dovuto continuare a studiare all'università, e non avrei lavorato. E noi non eravamo una famiglia da università. Per scappare a questo destino pratese, frequentai il liceo a Firenze.
Tanto mi sono ribellata , che ancora oggi continuo a studiare.
Però intorno a me vedo una situazione culturale che sta ancor più peggiorando, quando in tempi di crisi, ancora di più il lavoro torna a essere protagonista delle cosiddette campagne elettorali.
E' importantissimo riaprire un museo, come si sta per fare del Pretorio di Prato, ma non basta. E' poco, perché ci vuole una progettualità lontana, di cui nessuno è capace.
Il Sole24Ore ha lanciato il suo manifesto "Il governo della cultura, la cultura al governo": "Chi si propone di governare nei prossimi cinque anni ha qualche idea di cosa dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi per farci uscire, come Paese, dal nostro quasi analfabestismo?"
Qui, in questa provincia a due passi da Firenze, abbiamo candidati che non hanno espresso un fiato per questa cultura, piuttosto come Edoardo Nesi, sono espressione dell'imprenditoria confindustriale nonostante scrivano libri, e quindi si inseriscono nel solco della tradizione laniera...L'ho detto tante volte: la distruzione di Gonfienti è opera di questa classe dirigente che ha puntato tutto sul 'lavoro', sull'industrialismo facendo gli interessi dei potenti e di certi partiti che venivano finanziati da quelli, togliendoci una nuova possibilità di futuro.
La cultura come è stata intesa, e come è intesa oggi, è ancora quella dei soldi e dei numeri al Metastasio, al Pecci, agli enti e per cui, come abbiamo recentemente visto, ancora litigano da vere prime donne di una tragicommedia. Espressione di potere politico, punto.
Che non incide che minimamente; è vetrina cittadina, passatempo del fine settimana della piccole e media borghesia, e basta.
Perché questo è il dilemma: se non si foraggia la cultura, il paese si impoverisce anche economicamente (come è anche la tesi del giornale della Confindustria); ma se si foraggia, questo danaro foraggia i partiti, foraggia chi fa le nomine agli enti culturali in certo modo in funzione dei partiti stessi, per cui gestisce una cultura che è poi per il 'popolo' al massimo un più o meno piacevole passatempo.