Perché attori e musicisti e ballerini e registi e quanto altro non si
sono ribellati ai decreti che impongono la loro morte o insignificanza come ci si poteva aspettare, non hanno occupato i teatri? Come fecero
gli attori col Teatro Valle a Roma, per scongiurarne la chiusura.
In quella occasione avevano un partito di Sinistra alle spalle, che li proteggeva, e
anche un sistema mediatico, e quindi opinione pubblica. Oggi, se rioccupassero
il teatro, la Sinistra non starebbe certo dalla loro parte, ché è proprio la
parte politica più fondamentalista sulle chiusure dei locali pubblici a causa dell'epidemia da Covid-19.
Come anche dimostra il Ministro Franceschini, che porta avanti una politica talebana sulle chiusure dei teatri pubblici, e rifiuta dunque quelle norme da lui stesse emanate, e che per qualche mese i teatri hanno adottato per impedire il diffondersi del virus e tuttavia continuare a programmare spettacoli.
L'insignificanza politica degli artisti in questo contesto drammatico è in parte ben scusata dalla
precarietà del loro lavoro intermittente, non è "normale", non è continuo, come può essere invece per un elettricista di
teatro, in quanto opera sempre in quel teatro, è
"fisso", come la luce che spara sul palco.
L'attore, il musicista, il ballerino difficilmente lavorano stabilmente in un teatro, se non per certi periodi, con qualche regista o sistema politico locale che li protegge e
che li porta in giro per l'Italia i tournée; ma più
frequentemente e per la gran parte di loro, è lui lei che si sposta, che cambia teatro e compagnia per lavorare
Non ha che deboli sindacati e politica alle spalle. Che ora spaccia il motto: "Tu mi chiudi, tu mi paghi".
E il Ministro della Cultura Franceschini non cercava altro. Sì, ti pago e ti chiudo. E infatti, per scongiurare il disastro economico e culturale ha elargito una manciatina di soldi e ha finanziato progetti di teatro digitale, in sostanza umiliando gli artisti, perché il teatro digitale non lo guarda nessuno. Ancora oggi, sullo schermo è preferito il film al teatro. Ed è giusto così.
Ma c'è un altro un altro elemento che ostacola la lotta politica, che non è economico, ma una componente umanissima: la rivalità. Gli
artisti fra di loro (certo non solo loro!) sono di solito nemici giurati,
perché ognuno pensa di essere l'Artista e non vuole che l'altro lo sia. In
altri campi, come per esempio l'università o la scuola, pur essendoci rivalità
fortissima fra gli studiosi o gli scienziati, il problema non ha risvolti così "immobilistici" e possono anche, dato che sono
muniti di stipendio fisso, trovare accordi per certe battaglie e
interessi comuni.
Fra gli artisti si ha il terrore che l'altro possa primeggiare capeggiando la lotta, e piuttosto
di dargliela vinta, si preferirebbe crepare di fame, o meglio, prostituirsi, o
piegarsi alle necessità del momento.
Ecco perché, dopo aver bandito questi concorsi per il teatro digitale, tutti vi si sono gettati a copofitto, preferendo questa azione più agile con un po' di spiccioli in acquisto, piuttosto di quella che invece sarebbe
stata più difficile e magra, ma certamente significativa e propria del teatro, di
occuparne i luoghi salvandone il futuro.
E poi molti hanno letteralmente paura, e non tanto del virus. Se si pongono in prima persona a lottare concretamente, se anche fanno dichiarazioni discordi, perdono tutto. Per esempio gli ingaggi per la pubblicità della compagnia di assicurazioni.
Le proteste in maschera e funerali vari che sono stati celebrati nelle piazze per protestare contro le chiusure non sono serviti a niente. I teatri restano chiusi e intanto gli artisti si sono approntati per il teatro digitale, quando non già per lo schermo o il cinema indifferentemente, certo sperando che gli spazi riaprano, ma intanto...sono stati azzittiti. Qualcuno protesta sui social, ma anche queste sono proteste digitali, non incidono che raramente nella realtà, e sono funzionali all'artista stesso, per la sua pubblicità e aura di... maledetto. Estetismo, protesta di maniera, purtroppo.
Nel frattempo molti singoli o compagnie o gruppi che non potranno "trasformarsi" moriranno artisticamente, e moriranno, nonostante i sussidi, che non sono
sufficienti.
Il Ministro Franceschini e il Governo tutto sarà il responsabile del disastro che alla fine (?)
ci sarà dell'arte, e se gli artisti fossero davvero tali (purtroppo sono indietro rispetto ai presupposti e alle aspettative dell'arte!) dovrebbero riunirsi e celebrare un processo serio per cotanto assassinio culturale compiuto
in nome della salvezza dei corpi, ipocritamente trincerandosi dietro i morti
per epidemia, così che nessuno possa accusare quando si agisce per il bene
dell'umanità, ma in realtà nascondendo annose magagne del sistema sanitario nazionale
e mire su sistemi culturali digitali chiaramente assolutistici e dittatoriali, e chissà anche interessi vari, come il Netflix della Cultura e quanto altro, ma intanto uccidendo altri esseri umani ed espressioni artistiche, che nessuna lista macabra
quotidiana registrerà.
Dopo la moria di buona parte dell'arte performativa, e non solo, il teatro riaprirà i battenti normalmente, ma intanto il passo al digitale sarà stato compiuto.
Per la musica questo è già in atto da tempo, e senza sembra molto
dolore, anche se come per l'attore e il danzatore, il musicista e il cantante ricevano la loro compiutezza di esecuzione solo davanti agli spettatori.
Fra due o tre generazioni lo spettacolo dal vivo, se non scomparso del
tutto, sarà solo per pochi privilegiati, gestito da enti o sistemi centralizzati che andranno anche sulle piattaforme digitali, sulle Netflix, indifferentemente. Anche i grandi concerti rock. E con griglie e modalità ben più rigide dell'attuale sistema mafioso e clientelare, a distribuzione di partito o loggia, perché è appunto il mezzo stesso che lo impone.
Quello che sarà lo abbiamo già intravisto per il debutto della Scala quest'anno, o più in piccolo per altri debutti di musica e teatro sponsorizzati anche da editori importanti, e
nessuno potrà più permettersi il lusso di avere uno spazio proprio, o pensare,
come fino ancora al 2000 si faceva, al Teatro di Periferia! Vi viene da ridere, vero?
Nessuno lo penserà più nemmeno possibile.
L'arte performativa amatoriale potrebbe estinguersi, anzi al momento è estinta, e quindi con essa anche la sua vitalità, i suoi vizi, e l'osmosi con quella professionale. Tutto finito.
Del cinema non parliamo, le sale cinematografiche, dato che il cinema è passato già da tempo al medium digitale, molto prima dei teatri potrebbero non esistere più, visto che tutti guardano il film dallo schermo, addirittura dal proprio telefono!
A Roma sembra chiuderà presto il cinema Azzurro Scipioni fondato da Silvano Agosti. E come dice il Maestro, cinema, miniaturizzato, reso piccolo, perderà la sua “grande” magia e il suo senso.
Il teatro, reso digitale, perderà la sua carne e non sarà più munito d’artigli. Sarà insignificante.
E dell'emozione, il sentimento dove li andremo a cercare? Ce ne sarà ancora bisogno?
L'arte tornerà del tutto inoffensiva, come lo è in gran parte ormai, e solo celebrativa, quella che noi pensavamo di esserci lasciati alle spalle!
Tutto fluttuerà nell’evento del digitale dove non c’è esperienza. Dove sono i potenti, ancora una volta e con più forza che nella realtà, a dirti dove stare, cosa fare. A darti i soldi. E ancor più che nella realtà, dove uno spazio comunque alternativo e significativo si può trovare, dove si può scappare da e andare verso, entrare nell’esperienza del reale di vita e di morte e lottare per il senso, nel digitale sarà concessa dall’alto solo la piattezza dell’uguale mortale.
E ora che si vuole salvare le vite, si producono i morti!
Gli artisti, come già gli attori in Netflix, non avranno più nome. Vi ricordate qualche nome di attore di Netflix, qualche regista? Autore?
Solo il potere deciderà a chi dare il nome. Ma transeunte, non eterno. Altri Dante, o Shakespeare, non più.
Quindi, nemici l'un dell'altro, rivali, ecco che gli artisti tutti saranno mangiati, più che sfruttati, annullati dalle grandi aziende.
Ho provato anch’io, ma solo per avere conferma del diniego che ancora una
volta mi sarebbe stato offerto, a fare un concorso per il teatro digitale. Si
chiama “Così lontani, così vicini”, bandito dalla Fondazione Toscana
Spettacolo, con ben 10 mila euro a progetto! Il mio progetto probabilmente
non era un gran ché, e tuttavia anche se lo fosse stato, state sicuri che mi avrebbero detto di no lo stesso.
E così è stato.
Perché chi dissente, non trova e non troverà spazio nel teatro futuro, come nemmeno in quello che fino a un anno fa era presente, ma con un potere più deciso, o
almeno non lo spazio concesso dagli enti che ti danno quel riconoscimento
senza il quale non sei considerato artista dalla comunità.
E per me va bene così, anche se la mia fine è certa.
Oh, voi direte che io sono una apocalittica, una catastrofista. Ma ho esperienza di teatro, di arte, di spazi gestiti. Sono ormai trent'anni che sono qua a combattere.
E vista l’impossibilità a vivere e a essere tale, senza sussidi e appoggi, voi potrete ancora accusare l'artista declinante di disobbedienza?
No.
A questo punto la salvezza dell'arte, nelle forme attuali, potrebbe essere affidata solo allo spettatore disgustato dall'uniformità e dall'insensatezza di quella proposta dal futuro presente.
Difficile. Il sistema di potere riuscirebbe ancora una volta, se non con la paura, con altri mezzi cosiddetti artistici, a riportarlo dalla sua parte. Come già fa. Almeno nella sua maggioranza.
Si può solo sperare che dall'annientamento dell'arte attuale forse ne risorga una ora non immaginata.
Chissà che il compito oggi dell'artista non sia quello di lasciare un filo, una traccia fine e nascosta di altri sensi e modi di espressione umana, affinché qualcuno domani li raccolga.