Entro l'anno conto di pubblicare una manciata di mie opere drammatiche, ma sono consapevole che la narrazione drammaturgica è ormai fuori tempo e luogo.
Le narrazioni del Novecento non si seguono più, non hanno più senso, quelle caratterizzate da nodi drammatici, percorsi, difficoltà, risoluzioni. Tutto questo è finito.
La prima a morire è stata la tragedia, molti secoli fa per la verità. Recentemente è toccato al dramma e ora tocca alla commedia.
Oggi non solo è impossibile raccontare o allestire una tragedia, ma anche la commedia, che ne so, stile "A qualcuno piace caldo", dove la risata è pura, senza sensi di colpa, senza timore di scivolare nel proibito, nel questo non si può dire perché non è corretto, non è permesso.
Conta ed è seguito il racconto sui social, e questo deve essere mediocre, lineare, felice delle vite medie, alla Chiara Ferragni, dove non ci sono eventi né nodi drammatici (e se ci sono non si dicono ovvio), e per scriverlo e metterlo in scena non devi possedere alcuna dote (non serve avere lauree, né importa saper suonare o cantare o ballare o disegnare o scrivere, tanto c'è la tecnologia che supplisce, anzi possedere troppe virtù è negativo per il sistema del successo social). In questo racconto pubblico il divo-social non può proporre contenuti impegnati, riflessivi, ma frasi simpatiche, allettanti, in cui il pubblico si può riconoscere e devono essere brevi e semplificate, come lampi paratattici, perché altrimenti esso smette di seguirti, ché non si deve sentire troppo inferiore a te, ma deve poter identificare, come in quei film del mito americano dove tutto è possibile, in particolare deve essere possibile che tu ne possa far parte un giorno, e senza sforzo, senza fatica, senza studio.
Alla fine deve essere una storia senza storia.
Alla fine deve essere una storia senza storia.
Per questo, per accaparrarsi ascolto tutti vanno sui social con le battute, le frasi a effetto, le parolacce o con il dialetto, spesso sbagliato per la verità, con l'andante vernacolare che ormai, a parte qualche parola rimasta in bocca a qualche vecchio che non usa la rete informatica, è già sparito.
Illuminante al riguardo è anche il modo di porsi del critico d'arte Sgarbi, il quale per essere "seguito" e quindi per monetizzare il suo sapere ha dovuto allestire una vita da buffone, sapiente sì, ma sempre sguaiato, a ricordare al pubblico che in fondo anche lui è come gli altri, anche lui ha la sua dose di medietà, come tutti, anche se umilia il popolino definendolo "capra".
Certo consola il fatto che questa "fine della storia e dei saperi" cancellerà ogni ricordo di certi personaggi che oggi ci sfilano davanti agli occhi e vogliono catturare i nostri "mi piace", perché il sistema tecno-mediatico, ormai unico agente dello spettacolo a cui tutta l'arte si è ridotta, è già pronto, proprio perché in quanto senza vera virtù essi sono intercambiabili, a sostituirli; e anzi, lo sta già facendo.
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