sabato 4 gennaio 2020

Fine della storia e dei saperi

Entro l'anno conto di pubblicare una manciata di mie opere drammatiche, ma sono consapevole che la narrazione drammaturgica è ormai fuori tempo e luogo. 
Le narrazioni del Novecento non si seguono più, non hanno più senso, quelle caratterizzate da nodi drammatici, percorsi, difficoltà, risoluzioni. Tutto questo è finito.
La prima a morire è stata la tragedia, molti secoli fa per la verità. Recentemente è toccato al dramma e ora  tocca alla commedia.
Oggi non solo è impossibile raccontare o allestire una tragedia, ma anche la commedia, che ne so, stile "A qualcuno piace caldo", dove la risata è pura, senza sensi di colpa, senza timore di scivolare nel proibito, nel questo non si può dire perché non è corretto, non è permesso.
Conta ed è seguito il racconto sui social, e questo deve essere mediocre, lineare, felice delle vite medie, alla Chiara Ferragni, dove non ci sono eventi né nodi drammatici (e se ci sono non si dicono ovvio), e per scriverlo e metterlo in scena non devi possedere alcuna dote (non serve avere lauree, né importa saper suonare o cantare o ballare o disegnare o scrivere, tanto c'è la tecnologia che supplisce, anzi possedere troppe virtù è negativo per il sistema del successo social). In questo racconto pubblico il divo-social non può proporre contenuti impegnati, riflessivi, ma frasi simpatiche, allettanti, in cui il pubblico si può riconoscere e devono essere brevi e semplificate, come lampi paratattici, perché altrimenti esso smette di seguirti, ché non si deve sentire troppo inferiore a te, ma deve poter identificare, come in quei film del mito americano dove tutto è possibile, in particolare deve essere possibile che tu ne possa far parte un giorno, e senza sforzo, senza fatica, senza studio.
Alla fine deve essere una storia senza storia.

Per questo, per accaparrarsi ascolto tutti vanno sui social con le battute, le frasi a effetto, le parolacce o con il  dialetto, spesso sbagliato per la verità, con l'andante vernacolare che ormai, a parte qualche parola rimasta in bocca a qualche vecchio che non usa la rete informatica, è già sparito.
Illuminante al riguardo è anche il modo di porsi del critico d'arte Sgarbi, il quale per essere "seguito" e quindi per monetizzare il suo sapere ha dovuto allestire una vita da buffone, sapiente sì, ma sempre sguaiato, a ricordare al pubblico che in fondo anche lui è come gli altri, anche lui ha la sua dose di medietà, come tutti, anche se umilia il popolino definendolo "capra".

Certo consola il fatto che questa "fine della storia e dei saperi" cancellerà ogni ricordo di certi personaggi che oggi ci sfilano davanti agli occhi e vogliono catturare i nostri "mi piace", perché il sistema tecno-mediatico, ormai unico agente dello spettacolo a cui tutta l'arte si è ridotta, è già pronto, proprio perché in quanto senza vera virtù essi sono intercambiabili, a sostituirli; e anzi, lo sta già facendo.

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