Copio titolo e articolo da Il Corriere della Sera di oggi.
Un paese e i suoi dirigenti politici che non hanno a caro la cultura è un paese allo sfascio.
Io posso essere testimone di ciò che scrive Pierluigi Battista. La Regione mi ha negato tutti i contributi; al Comune ho smesso di chiedere; d'altronde la sua politica culturale, come quella di chi gli aveva preceduti, punta a organizzare mega palco-eventi, o chiamare gli Sgarbi di turno per organizzare marketing museale su Facebook, e non certo si cura di realtà indipendenti o, fatto ancor più grave se possibile, di aree archeologiche sostanzialmente abbandonate, si veda Gonfienti, per cui sollecitare un antiquarium e la ripresa degli scavi diventa atto di lesa maestà e viene censurato o ridicolizzato in consiglio comunale!
In realtà è molto peggio di come descrive Battista, perché il cattivo esempio dei politici avvalora l'indifferenza generale e lo sfottò palese o velato che sia nei confronti di chi tenta strade di cultura diversa e indipendente, peraltro sempre più difficile.
Purtroppo quest'anno non ho potuto organizzare uno spettacolo per ragazzi durante periodo natalizio a La Baracca, e mi dispiace per chi ha telefonato e chiesto. Oggi siamo a recitare fuori, e probabilmente lo saremo sempre di più in futuro, viste le misere prospettive locali di economia e cultura, per la gioia di chi ci vede solo come avversari da abbattere.
L’emergenza della cultura
Corriere della Sera
di Pierluigi Battista
È giusto che lo Stato consideri un’emergenza nazionale, come le banche che rischiano di fallire, le fabbriche che chiudono, le acciaierie che si spengono, le compagnie aeree che sprofondano, il regime di povertà civile che sta immiserendo e desertificando il nostro Paese con la chiusura, una dopo l’altra, o l’umiliazione delle istituzioni culturali. Dovrebbe considerare come una calamità, una catastrofe civile, una regressione culturale la moria delle librerie che non ce la fanno a tirare avanti, ogni teatro che chiude i battenti, ogni sala cinematografica con le saracinesche abbassate, ogni orchestra che smette di suonare, ogni museo mortificato nella mediocrità per mancanza di fondi adeguati, ogni sito archeologico lasciato a se stesso, ogni ente lirico che boccheggia sull’orlo del fallimento. Uno Stato con un minimo di dignità, governi di ogni colore che abbiano un minimo di sensibilità, devono sentire come prioritario lo stanziamento di risorse, anche cospicue, per salvare i pilastri di una società che non voglia avvilirsi nello squallore e nella perdita di sé. Un passato di spreco assistenzialista, di clientelismo talvolta, di sovvenzioni a pioggia, di dirigismo statalista che vuole mettere becco nella sfera della libertà culturale e artistica, non deve impedirci di essere coraggiosi e anche, se si vuole, con ironia e intelligenza, un po’ fantasiosi. Dove il mercato non arriva, lo Stato deve intervenire con strumenti nuovi, intelligenti, fruttuosi. Se alle librerie costrette a chiudere (ma anche ai teatri, ai musei, e così via) si concedesse un regime fiscale molto favorevole, se si pagasse l’affitto (oggi proibitivo) dei locali, si incentivasse l’assunzione di personale giovane e preparato, ci si accollasse l’onere delle bollette e dei costi aggiuntivi, forse si darebbe più respiro a chi sta morendo nell’asfissia. E forse la collettività si renderebbe conto dell’importanza delle librerie, dei teatri centrali e periferici, delle sale cinematografiche di quartiere, dei musei. Polmoni d’ossigeno culturale che fanno ricco e civile e migliore un Paese che tenga a se stesso. E sappia riconoscere l’urgenza di un’emergenza culturale che è anche un’emergenza di lavoro che sparisce. Non c’è molto tempo, il portafoglio va aperto subito. Da sinistra o da destra. Ma subito, preferibilmente insieme. Come in tutte le emergenze.
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