Quando la morte non dice la verità. Maila Ermini racconta la sua Spoon River
Ha debuttato ieri sera, in prima nazionale al Teatro La Baracca, Antologia del Bisenzio, ultima fatica teatrale di Maila Ermini, sfortunatamente applaudita da un pubblico meno numeroso del solito, nonostante le sue pregevoli qualità. Un’opera fortemente critica, che affronta un secolo circa di storia pratese, nelle parole di coloro che a Prato hanno vissuto e a Prato sono morti.
Maila Ermini e Gianfelice D’Accolti si spendono, senza forzature ma con piglio di veri artisti, in una serie di letture sceniche - di testi poetici scritti dalla stessa Ermini -, che raccontano la vita di personaggi ormai scomparsi, personaggi molto diversi tra loro, ma che tutti insieme compongono il complesso affresco della realtà “nascosta”, ovverosia di quegli aspetti dell’esistenza che ancora non erano emersi; recriminazioni, pentimenti, pensieri licenziosi, pensieri d’amore, dubbi e certezze, paure. Una vera e propria riflessione post-mortem, che va ben al di là della solita ipocrisia che accompagna la dipartita delle persone. Qui l’anima è messa a nudo, è lo stesso scomparso a parlare di sé, e per testimoniarci che ha vissuto, non esita a riappropriarsi di quella verità che il perbenismo e l’ipocrisia hanno sepolto con le sue spoglie mortali
Una scenografia semplice ma efficace, accompagna lo spettacolo: un lungo drappo rosso steso sul palco simbolizza il Bisenzio macchiato di sangue, sul quale naviga una fragile barchetta di legno, fragile come l’esistenza. Quasi nessuno muore in pace, Ermini sceglie vite travagliate e morti violente, solitarie, sofferte. La Spoon River pratese non fa sconti a nessuno.
Uomini politici, immigrati, persone ai margini, imprenditori e semplici operai, uomini e donne, laici e religiosi, tutti parlano di sé e, di riflesso, della città che è stata anche la loro. Ne emerge una Prato a volte indifferente, come per la scomparsa del senza-tetto Florin Moraru; una Prato violenta, come nel caso di Andrea Manzuoli, assassinato davanti alla tipografia in cui lavorava come guardiano, mentre tentava faticosamente di rifarsi una vita. Prato città violenta, allora, segno che i tempi sono cambiati dai giorni in cui Giovannini era Sindaco, e il miracolo economico garantiva a tutti benessere e sicurezza.
E ancora, le tre donne cinesi morte annegate nel sottopasso di Via Ciulli, un’inchiesta lunga che ancora si trascina, senza che i responsabili abbiano un nome. Viene da chiedersi, com’è che Prato tratta i propri abitanti?
In Antologia del Bisenzio si parla anche d’amore, ma rappresentandone i suoi aspetti scandalosi e conflittuali, quelli, però, che ne costituiscono la concretezza, la drammaticità, e, se vogliamo, la verità. In un’epoca in cui quello che è il più umano dei sentimenti è stato ridotto a spettacolino da talk-show televisivo, Maila Ermini ha la forza e l’intelligenza di parlare d’amore attraverso i suoi tormenti psicologici, la difficoltà di sfidare i tabù e il perbenismo.
Ecco così Gelsomina, la prostituta della Passerella, che ricorda l’epoca delle case chiuse e dell’amore libero, del piacere di darsi all’altro nelle notti di luna, e del brivido d’avventura che ammantava di fascino il “mestiere”. Gelsomina muore forse di AIDS, ma muore da donna amata.
E poi, gli amanti pratesi, donna matura lei, ragazzo lui, che condivisero una relazione lunga trent’anni, incuranti delle dicerie della gente. E ancora, la vicenda di Sara e Imad, la ragazza pratese e il ragazzo marocchino coinvolti in una torbida storia di omicidio-suicidio, per motivi passionali; la riflessione di Imad, innamorato di Sara ma tormentato dalla difficoltà di conciliare Islam e Cattolicesimo. Come si vede, Ermini scava nell’attualità dei nostri giorni, portando alla luce quelle problematiche di dialogo interculturale di che la città ancora non è riuscita a risolvere.
C’è spazio anche per scavare negli scandali legati agli ambienti religiosi, a cominciare dal concubinato di padre Leonardo, rettore dei Celestini, e che ebbe una relazione con una delle “istitutrici”, la quale rimase incinta, fu costretta ad abortire, e morì per un’infezione causata dall’intervento. E poi suor Luisa, direttrice dell’asilo di Santa Caterina, rea di pesanti maltrattamenti sulle bambine che lo frequentavano. Personaggi equivoci, ma sui quali l’eco delle polemiche non si è ancora spento, personaggi da qualcuno ancora ritenuti ammirevoli, e che la politica e le manovre di corridoio hanno salvato da quella dura condanna che una società civile avrebbe invece saputo comminare loro.
Di particolare pregio, il testo poetico dedicato all’anarchico Gaetano Bresci, qui ritratto non nella veste di semplice assassino politico, ma in quella, ben più profonda, di un uomo che si è caricato del peso di un delitto perché mosso da ideali politici di giustizia e di uguaglianza, un uomo che si è sacrificato per le generazioni a venire, e che, a dispetto della storiografia ufficiale, non morì suicida, ma fu assassinato in carcere per mano dei secondini. E di questo omicidio, resta solo la testimonianza degli altri carcerati; il resto, è tutto scomparso, a cominciare dal cadavere di Bresci, gettato in mare, per finire con i fascicoli processuali, abilmente occultati da ignoti.
Infine, Antologia del Bisenzio si chiude con un poetico salto nel passato remoto dell’Età Etrusca; una giovane donna di Gonfienti, che si immagina morta a causa di un’alluvione del Bisenzio, ci parla della sua tomba, e diventa la testimone di un gravissimo scempio culturale: l’enorme colata di cemento dell’Interporto, che è diventata la tomba di un inestimabile patrimonio storico-artistico, che la città non ha saputo valorizzare come invece meriterebbe.
Come si vede, un’opera teatrale scomoda, graffiante, politica, che si interroga sulle grandezze e le miserie del genere umano, sulle quali sempre interviene, ironicamente, sadicamente o giustamente, la potenza livellatrice della morte.
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