"Cara Maila,
alla tua condivisibile avversione nei confronti
dell’ipocrisia generalista dell’informazione e della politica di maniera, dopo
avere studiato tra le macerie e osservato, con cognizione di
causa, gli affanni della ricostruzione, aggiungo una mia personale riflessione
sui terremoti italiani. Specie dopo L’Aquila 2009, è stato detto impariamo
dai terremoti , in particolare su quanto si deve fare per limitare i danni
dell’ineluttabile. Tre fondamentali comportamenti che in ambito pubblico si
possono così riassumere: costante prevenzione, vigile attenzione verso il
patrimonio edilizio esistente e sul consumo selvaggio dei suoli , infine, ma
non ultimo, rispetto assoluto delle regole costruttive anche nel miglioramento
strutturale in territori come i nostri, ad alto rischio “classificato”,
nella consapevolezza che nessuno di queste aree può ritenersi esente dalla
minaccia. Aggiungerei tra le criticità anche il diffuso dissesto idrogeologico,
la cura degli alvei fluviali e, dopo l’abbandono rurale, l’incipiente
franosità dei versanti collinari. Oggi, dopo quanto è di nuovo accaduto
nel Centro Italia, tra Lazio, Marche, Umbria ed Abruzzo, cos’altro
possiamo aggiungere se non constatare le tante, troppe analogie in queste
“oramai ordinarie” ricorrenze prodotte dalla terra che trema, distrugge ed
uccide. La storia, più che la stessa scienza moderna, ce lo insegna da
millenni. Ecco perché, pur nel dramma del momento, mi associo
incondizionatamente alla tua riflessione nel domandarci, tutti insieme e senza
il timore di stonature: quando smetteremo di “predicare bene e razzolare male”?
Nella speranza che il tempo del silenzio, del soccorso
e della solidarietà non debba perdersi di nuovo nel dimenticatoio quotidiano di
un’assordante mancanza di provvedimenti"
Prof. Giuseppe A. Centauro
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