martedì 31 ottobre 2017

Farsa alla pistoiese

Ieri pomeriggio, sul tardi, ho incontrato una assessora pistoiese... L'appuntamento era già stato rimandato e quindi bisognava...incontrarci.
Salgo nel palazzo comunale della Città Capitale della Cultura 2017. Chiedo alla 'messa' comunale...('messa' femminile di messo'..come odio questo declinare forzatamente tutto al femminile come se davvero si potesse cambiare l'umanità del mondo; alla fine anche il soprano cantante sarà chiamata 'soprana', e la trota il 'troto'? E la sentinella, la guardia, che diventano il  'sentinello', 'guardio'? Viva le sconcordanze fra genere grammaticale e genere biologico!).

La messa comunale mi conduce in pieno consiglio. Una bagarre assoluta. 

Accanto al salone di rappresentanza, ce n'è un altro, dove propriamente si svolge il consiglio. Chi vi entra e chi ne esce,  e tutti collegati al fantastico mondo di Internet, tutti con lo smartphone in mano, auricolari in testa.

La giunta Tomasi è impegnata in  variazioni e storni di bilancio a cambiare il corso degli investimenti della precedente giunta, e la tensione è alta.

Dalla bagarre esce fuori l'assessora che mi invita a sedere in una sedia del salone antico in mezzo alla confusione e al mondo smartfonizzato.

Noto che anche lei è corredata di uno strumento tecnologico di grande valore, tutto orsetti e luccichii e che s'accende e si spenge in continuazione...La stanno chiamando, riceve messaggi!

Mi presento, lei mi conosce per 'sentito dire' (omamma!)...Provo a imbastire il discorso, ma non ci si fa.  Troppo marasma di agitata umanità. Balbetto due cose, mi trovo fuori luogo; lei risponde che almeno con la mia presenza 'si riposa un minutino'. Ma il suo riposo è breve, ché l'incontro dura tre minuti, nemmeno. Non intende nulla di quello che le dico, e mi restituisce i fogli che le avevo preparato.  Piconesca, consiglia: "Vada dalla signora tal dei tali e dica che la mando io..". 

Una farsa no. La faccio in teatro. Mi alzo. Saluti. Addio.



lunedì 30 ottobre 2017

Considerazioni politiche dopo lo spettacolo sul Datini

Non abbiamo certo bisogno di essere 'protetti e coccolati' dall'amministrazione comunale nei nostri spettacoli, ed in effetti non lo siamo mai stati né lo vogliamo. Tuttavia stupisce la totale assenza, per lo spettacolo sul Datini, di consiglieri tutti, e assessori pratesi.

Non l'hanno proprio cacato.

Al debutto qualcuno ha condotto in Baracca il presidente della Casa Pia dei Ceppi di Marco Datini, che poi, sarà stato il lungo discorso che ha tenuto dopo la recita, si è dimenticato  anche di pubblicizzare lo spettacolo sul sito della Fondazione, nonostante l'avesse promesso.
Non se ne stia troppo a preoccupare; abbiamo avuto i nostri spettatori lo stesso.
E pure i loro signori, molti dei quali invitati e sicuramente tutti informati, avrebbero visto che non abbiamo trattato tanto male il concittadino illustre di cui, oltre che di noi, è evidente non gliene importa nulla. Ma proprio nulla.

Assente anche i politici consiglieri regionali, pii maschi e pie femmine, che hanno tanto a caro la toscanità, il turismo e l'eccellenze (a cui noi evidentemente non apparteniamo).

Sappiamo che hanno molto da fare; e pure essi non mancano mai di farsi fotografare o di esprimersi a favore della cultura in occasione di première di teatri di curia, e quindi privati, o a serate festanti in circoli amici.

Per carità, ognuno fa quel che vuole e va dove gli pare, e  uno può aver il mercante pratese ben sulle scatole. Ditelo a me! Però una capatina si dovrebbe ogni tanto fare nel luogo dove si tratta così ampiamente della storia della città,  anche se lo si considera piuttosto come tana di lupo e lo si vedrebbe bene nello sprofondo: un luogo che osa definirsi 'teatro' senza le sedute comode del Metastasio e i relativi abbonamenti! Mai sia. Ma un vero politico proprio là curioserebbe per tastare il polso della temperatura del prossimo voto, la quale non si misura col segnacaldo fornito dai propri amici di partito o coi 'mi piace' che si accumulano come punti di supermercato sotto i posticini di Facebook. 
Ché, tra l'altro, ricordiamolo, i lor signori prendono e gestiscono anche i soldi nostri, dei teatri privati non di curia, per stare assisi e decidere nelle stanze comunali circa la cultura e l'andazzo della città (pochi soldi rimasti, ormai; il Comune è a secco dopo il santo e concertoso Settembre, e per i reietti come noi, quest'anno, nisba). E magari l'assessore alla cultura avrebbe potuto anche, in onore al suo incarico e alla buona educazione, prendere il telefono e a voce scusarsi dell'assenza, visto che aveva promesso che, forse fortissimamente forse, sarebbe venuto. 

E per finire in bellezza (almeno per noi) annoto con piacere tutto politico due, solo due commenti di giovani spettatori attenti:

"Uno spettacolo intenso che proietta il pubblico nella vita di un uomo che fa della sua professione (l'accumulo) una sfida alla stessa morte. Il pubblico, immerso nella scena, vive le contraddizioni di una persona comune, fra ambizione e desiderio di un oltrevita, piccole disonestà e volontà di vivere i propri desideri" (Serena).

"Molto bello lo spettacolo, interessante alcune scelte linguistiche ('fondàco') e di immagine (il protagonista con in mano il sacchetto e la lettere che rievoca col 'camicione' la statua di piazza del Comune. Interessanti i rimandi al presente (Cina/Tamerlano); il ruolo del denaro e del mercato nella vita di tutti, ieri come oggi". Jacopo.

domenica 29 ottobre 2017

Seconda recensione su "Nel nome di Dio e del quattrino"


La recensione della Dott.ssa Eloisa Pierucci, che ringrazio:

"Il Teatro la Baracca propone da anni spettacoli di qualità, complessi ma fruibili a più livelli, vari e diversificati per tematiche, generi, registri espressivi. Difficile classificare una produzione tanto ampia, ma se volessimo individuare un filone particolarmente caro alla drammaturga e regista Maila Ermini, forse potremmo trovarlo attraverso i testi che hanno la città di Prato come comune denominatore.
Cafiero Lucchesi, Gaetanina Bresci, L'infanzia negata dei Celestini, Io e Federico - solo per fare qualche esempio - sono pièces tra loro molto diverse, ma tutte accomunate dalla presenza di un elemento “pratese” (la provenienza dei protagonisti, l'ambientazione della vicenda, ecc...). Dal locale però si passa presto all'universale: così storie grandi e piccole legate alla città toscana diventano l'occasione per riflettere su temi generali e spesso esistenziali. Ben lontana dalla costruzione di quadretti oleografici o celebrativi e “campanilistici”, la scrittrice si serve di Prato come contesto e pretesto per poter indagare l'animo umano e le sue contraddizioni, cercando di porre molteplici interrogativi in un costante e serrato confronto con lo spettatore.
Nel nome di Dio e del quattrino, l'ultima fatica di Ermini, si inserisce a pieno titolo in questa linea di spettacoli “pratesi”. Costituisce inoltre la seconda “commedia impossibile” dopo Io e Federico (2016), dove l'autrice dialogava con l'ingombrante personaggio storico, evocato grazie ad artifici metateatrali.
Anche in questo caso la logica pirandelliana dei Sei personaggi in cerca di autore viene ribaltata: un'affabulatrice, alla ricerca del protagonista per la sua commedia, lo trova nel celebre mercante pratese Francesco di Marco Datini, inventore della lettera di cambio e protocapitalista.
Burbero, scontroso e avaro – non solo di denari, ma anche del proprio tempo -, Datini accetta di partecipare allo spettacolo solo perché crede di poterci in qualche modo guadagnare. Comincia così l'intervista impossibile: l'autrice non si limita a porre domande scomode - in grado di mettere a confronto con l'attualità un uomo vissuto fra '300 e '400 -, ma porta in scena (interpretandoli in prima persona) una fantasmagoria di personaggi reali, fittizi, ultraterreni.
Sono fantasmi che tormentano l'animo del mercante, suggerendogli paure ed occasioni perdute? Sono i simboli di tutto ciò che Francesco di Marco ha sempre cercato di evitare – o di usare a proprio vantaggio -, per consacrarsi unicamente al “quattrino”? Oppure si tratta di semplici espedienti teatrali virtuosisticamente messi in campo dall'affabulatrice per colorire la propria commedia impossibile?
La religione, l'amore, il potere, il sesso (mercenario) e la morte si alternano in un rapido susseguirsi di apparizioni, gettando luci inquietanti sulla società contemporanea al Datini (e non solo): la vendita delle indulgenze, la condizione femminile, il rapporto fra economia, politica e guerra, la schiavitù.
Il tema centrale resta comunque il denaro, circostanza che permette alla figura del mercante pratese di emergere in tutta la sua complessità e ambiguità. Tanto moderno nell'elaborare innovativi sistemi di pagamento e nel fondare piccoli imperi commerciali, quanto legato a convenzioni e abitudini del suo tempo, Francesco di Marco mostra il suo lato più umano nel confrontarsi con l'assillo della finitezza della vita. Una vita, la sua, spesa nell'accumulo fine a se stesso e quindi, in definitiva, priva di senso.
La riflessione esistenziale si fa tanto più toccante in quanto gli attori sono spesso vicinissimi al pubblico, che si trova disposto a pochi centrimetri dalla scarna ma curatissima scenografia. Alcune scene più intimistiche si svolgono però sul palco: l'ambiente risulta così diviso in due parti, che forse alludono rispettivamente alla dimensione professionale (la platea - studio) e a quella privata (il palco – camera da letto) del protagonista.
Maila Ermini, nei panni dell'affabulatrice, interpreta in modo convincente i diversi personaggi con cui Datini è chiamato a misurarsi. Molto efficaci le due figure allegoriche dell'angelo e della morte - che non a caso compaiono rispettivamente in apertura e in chiusura dello spettacolo -, speculari ed antitetiche sia nella connotazione cromatica, sia nel registro espressivo scelto per caratterizzarli.  Irresistibilmente comica la resa scenica della schiava Dattera, mentre la malinconica e consapevole figura di Margherita Datini viene tratteggiata con delicatezza; ma il personaggio più riuscito è forse Tamerlano: il terribile condottiero mongolo ostenta la maschera e le movenze selvagge di un demoniaco Arlecchino, ma al tempo stesso si esprime pacatamente per proverbi, luoghi comuni, rime dalla semplicità quasi banale, offrendo agli spettatori una presenza sconcertante.
Una “commedia impossibile”, tuttavia, non potrebbe risultare efficace senza un grande protagonista: Gianfelice D'Accolti raccoglie e vince la sfida di interpretare un personaggio difficile (perché “umano, troppo umano” e privo di picchi drammatici o comici), cesellato con maestria in ogni gesto, in ogni inflessione vocale, in ogni sguardo. Una raffinata tecnica attoriale - messa al servizio del testo -, che, ben lontana dall'autocompiacimento e dal mero virtuosismo, diventa invece veicolo di emozioni.
Il lungo sodalizio artistico fra i due attori produce un affiatamento scenico palpabile, che trova il suo culmine nella bellissima scena del sogno, poetica e comica allo stesso tempo.

Nel nome di Dio e del quattrino è stata applaudita per tre recite da un pubblico non istituzionale – i rappresentanti cittadini non hanno presenziato, finora, a questa commedia “pratese” - , ma attento e partecipe. Durante i momenti di confronto post spettacolo c'è chi ha avuto la fortuna di sentirsi rivelare dagli artisti alcuni segreti del mestiere. Il Teatro la Baracca è un teatro piccolo, forse “povero”; ma certo è ricco di arte, creatività e generosità."


venerdì 27 ottobre 2017

Un commento su "Nel nome di Dio e del quattrino"

Ricevo da uno spettatore:


"Un Datini archetipo di sentimenti, di passioni e debolezze, di vizi e virtù. L’ho scoperto rivedendo per una seconda volta lo spettacolo a La Baracca, cosa che consiglio vivamente di fare a tutti quelli che già vi hanno assistito, magari posizionandovi in sala in un’ottica scenica diversa in modo da non tradire l’introspezione completa della commedia in una chiave diversa che rende multidimensionale il confine tra spazio reale e finzione. Mi ha colpito la solitudine dell’uomo Datini, che trascorre la propria esistenza attaccato al mito del quattrino quasi fosse la chiave di un’immortalità immaginata; accumulare denari quasi istintivamente, rende il protagonista un caso esemplare, forse lo fa per non pensare o piuttosto per non tradire l’innata avarizia. Il personaggio, messo in scena con una forza drammaturgica sopraffina, dopo l’auto celebrazione persino rivela verso se stesso una intolleranza imprevista. Una idiosincrasia per ogni genere di rapporto umano, a cominciare dall’amore sistematicamente negato alla caritatevole moglie Margherita, che per questo si dispera fino ad agognare di vivere anche un solo momento felice col marito.  Questo Datini è un uomo che oggi diremo di quelli col “pelo sullo stomaco”, sennonché  non si mostrasse esso stesso così fragile e tentennante. Di fatto, il Datini personificato da Gianfelice nelle vesti di un catatonico quanto paranoico mercante dei suoi tempi consuma la sua esistenza dietro miti inarrivabili, feticci di metallo sonante proprio come molti uomini e molte donne fanno oggi. Questa storia per questo fa molto riflettere, fino a turbare per lo sbigottimento che indirettamente riesce a procurare la parabola prima fortunata poi rovinosa del ricco mercante, costringendo tutti a immedesimarsi prima nella fortunata ascesa poi nel fallimento finale quasi che, seguendo quelli stessi idoli che Datini pose al centro del suo mondo, si trovasse ora gloria, ora  successo, infine perdizione. Margherita silente e disperata fa da contraltare all’arida scorza di Francesco di Marco, mettendo in realtà in mostra il coraggio del vivere, la bellezza spuria di un’umanità ferita, annichilita dal potere che tuttavia, nonostante il compromesso, l’accondiscendenza e tanto altro ancora, continua a credere nei valori dei sentimenti".



Una serata per Cassiano Centauro

Dedichiamo il primo fuori programma della stagione del Teatro la Baracca alla poesia e, in particolare, di Cassiano Centauro. 


giovedì 26 ottobre 2017

La modernità di Francesco di Marco Datini


Stanotte ho sognato, come fa Francesco di Marco in scena: ma non che arrivassero i pirati e lo derubassero, bensì l'ho visto nella sua modernità, cosa che mi sembra non sia stato fatto se non al chiuso di qualche convegno.

Il Datini è moderno perché, lasciandosi alle spalle il Medioevo, il suo fare prelude o è già Rinascimento, e tale come lo intendeva Burckhardt nel suo La civiltà del Rinascimento in Italia: è già senso di libertà e di autonomia, allontanamento dal mondo chiuso e protetto da Dio della città medievale.

L'uomo del Rinascimento smania di compiersi nella sua individualità. I suoi rapporti umani finiscono per essere avvelenati dalla lotta per la conservazione del potere e della ricchezza, e gli altri sono considerati oggetti da usare e manipolare per quel fine.

Il nuovo sentimento di libertà però conduce allo smarrimento, il che non accadeva all'uomo 'statico' del Medioevo, per cui i beni materiali, ricordava Sant'Agostino, esistono per l'uomo. 

Il nuovo individuo ricco e potente, e in questo caso protocapitalista che vive per i suoi beni, si trova solo, non è più protetto, e ha bisogno di riconoscimento.

La vita diventa incerta, la via è smarrita, la notte piena di angosce e preoccupazioni per i propri affari: e allora la fama, gli onori possono costituire una sicurezza e un modo per mettere a riposo le incertezze.

Insomma Datini mostra già tutta modernità dell'uomo che si fa da sé, l'egocentrismo angosciato  incerto  feroce, bramoso di fama per non perdersi.

mercoledì 25 ottobre 2017

Tempi duri per i troppo...liberi

Sabato 28, ore 21 e domenica 29 ottobre, ore 16,30 sono previste le ultime due di "Nel nome di Dio e del quattrino", spettacolo sul mercante Francesco Datini.

Nonostante avessimo chiesto al pubblico di spegnere cellulari smarphone e altro, siamo stati fotografati in tutti i modi durante l'ultima recita. Peraltro, alcune foto sono belle e le copio qui.

Nessun interessamento per lo spettacolo da parte della politica locale, almeno finora, a parte qualche piccolissima eccezione, come prevedevo, quindi niente di nuovo. Anzi, più ti occupi di qualcosa che li riguarderebbe, più se ne allontanano piccati.  E poi, in vista delle elezioni prossime, la partitica dominante è impegnata nel fortificare il territorio nei circoli e dove è possibile dal probabile assalto, e sicuro a livello nazionale, del M5S, e preferisce organizzare comizi, anche se magri, su palchi di teatri che promettono e danno sicuro consenso.

Tempi duri per i troppo...liberi.
Vi aspettiamo.








martedì 24 ottobre 2017

Dimenticare Policarpo Petrocchi


A parte qualche 'sfiorata', qualche convegnuccio o mostra, a Pistoia, Città della Cultura 2017 non si ricorda come si deve la figura di Policarpo Petrocchi. Che, dopo il Tommaseo, scrisse un ineguagliato vocabolario della lingua italiana. I Treves, editori triestini di stanza a Milano, avevano visto lungo nell'affidare la compilazione del famoso Dizionario all'insegnante d'italiano del collegio militare di Milano, dov'era scappato anche a causa dell'amore con una bella pistoiese già sposata e per il suo anticlericalismo; e Policarpo, l'unico della letteratura italiana credo con nome siffatto, fece del vocabolario la ragione della sua vita.
Tornava ogni anno al Castello di Cireglio, dov'era nato, e vi fondò la società operaia "Onore e lavoro".

Il suo dizionario, che oltre ad acquistarlo si può consultare collegati (1), è particolare, ché riporta anche l'italiano popolare, parlato (lingua d'uso e fuori uso, scrive lui) ed è la parte popolare quella più bella e ricca e che dovrebbe essere studiata da molti asini della lingua, poveri di contenuti e termini per definirli. 

Per esempio, alla voce piro, (tale come lui era e come in parte m'è capitato d'essere anch'io, che dell'altra di babbo son fiorentina, e d'uso, vita politica e civile, pratese),  Policarpo annota  che volgarmente è anche mentula (come bischero, insomma) e che piro piro si dice, nelle montagne, alle galline. Così la nonna Osmina chiamava a raccolta le sue,  e così io ripetevo, quando felice davo loro da mangiare i resti del desinare.

E nel Petrocchi v'ho ritrovato la parola pìpera, (niente a che vedere con 'vipera'), e tale Alice, sorella della nonna, mi definiva accarezzandomi con i suoi occhi azzurri: "Ma guarda che pìpera che ell'è, che ciaccìna".

Io consiglio a tutti di leggere Il Novo dizionario universale della lingua italiana, come un bel libro, o di piluccarlo qua e là alla bisogna, per arricchire il nostro magro italiano, scritto e parlato. Petrocchi aveva la mania del monottongo: 'còco' invece di  'cuoco',  ma a parte questo, è salutare e di gran gusto, e uno, nello scorrerlo, sente scorrere anche il sangue nelle vene.

In aggiunta Policarpo è stato scrittore di novelle e bozzetti (per esempio, Nei boschi incantati Fiori di campo), e vero artista, come ci si accorge leggendo i suoi esempi nel dizionario.

(1)

(Su opere e vita di Petrocchi, anche qui: http://petrocchi.comune.pistoia.it/)

domenica 22 ottobre 2017

Cos'è un teatro libero?

Cos'è un teatro libero?
Ed è possibile oggi, per un teatro, essere libero; ossia che i propri artisti riflettano problemi,  paure e sogni, i temi contemporanei della società senza essere limitati o strumentalizzati?
No.
Nel sistema democratico si potrebbe pensare che non ci siano restrizioni, ma in realtà vediamo che non è così.
In nessun luogo.
Un teatro libero non dovrebbe aver padroni politici. Il che non accade.
Generalmente i teatri appartengono a enti pubblici, e in teoria a tutti noi, ma non ci appartengono affatto.
Ci sono poi varie altre sfumature di gestione dei teatri, come quelli, specialmente al nord, che sono proprietà delle diocesi, o di privati molto ricchi o società. Ma anche questi pur privati, hanno caratteristiche simili a quelli pubblici, con la differenza di una maggiore censura verso i temi trattati, per i teatri di proprietà delle diocesi e, per quelli privati, per una quasi esclusiva attenzione al botteghino e agli incassi.

I politici li usano per sé, per la loro propaganda. E a dirigerli sono nominati quei direttori artistici che, pur con un curriculum compatibile, sono pronti a stare al 'gioco delle parti'.

Per questo, se chi li dirige e li adopera non corrisponde a certi crismi, viene allontanato.

E poi c'è da un po' un altro padrone: l'economia. Il teatro deve far cassetta, e se non lo fa, guai. Quindi le compagnie e gli artisti che vengono ospitati nei teatri - solo quelli famosi ormai, anche se l'eccezione può sempre capitare - devono essere come arlecchini servitori di due padroni: dell'economico - e anche il numero di borderò conta - e del politico.

Quello che il pubblico può vedere nei circuiti teatrali non è tutto il teatro, anzi è solo una parte; ma questa parte è destinata, nel prossimo futuro, a rimanere sola, perché le produzioni dal basso sono scoraggiate e dileggiate.

Il premio che hanno dato a Peter Stein - grande artista -, il Gigliato D'Oro a Prato in pompa magna e tutti gli annessi e connessi, sa solo purtroppo di triste propaganda.

Il Teatro Metastasio, come quasi tutti i teatri cittadini con pochissime esclusioni in Italia, vive in realtà un grande momento di smarrimento, scollegato com'è dalla città e dai suoi problemi. Un teatro muto, sordo e cieco. Ed è per questo che il Comune deve far risuonare la grancassa mediatica. E il teatro invita, con i nostri soldi, i cosiddetti rappresentanti comunali, assessori e consiglieri, per la sua riapertura a riempire il vuoto, non tanto delle sedie, ma dei contenuti e della vera partecipazione. 

La coincidenza fra premio e riapertura della stagione è stata organizzata apposta; non era accaduto negli anni passati, se la memoria non mi falla. Ma ora è necessario, perché i cittadini vanno sempre meno a teatro e bisogna ricostruire un po' di pubblico e di senso politico (ché l'opposizione, pur debole e indifferente, può sempre andare alla carica, e perché poi bisogna che i conti tornino per far rientrare il teatro nei finanziamenti eccetera...).

E siamo ben lontani dal teatro libero, critico, civile. Un teatro siffatto non serve agli organizzatori, ai direttori artistici, al sistema, a coloro che devono far quadrare i conti e tener ferme le loro poltrone. Ma non al teatro. E se il teatro non parla, non dice, non muove, pur che il pubblico sia addomesticato e mosso dove vuole la musica della grancassa, pure è destinato a morire. E non basteranno i burattini politici che incensano dai palchi e i loro cantori.

***
Un piccolo teatro come La Baracca può rappresentare il paradosso di un teatro privato che ha una funzione pubblica, collettiva, civile, liberatoria, in contrasto con il teatro pubblico che ne ha solo ormai una privata e repressiva.

E' libero ma automaticamente fuori dal sistema e da ogni altra definizione o interesse dei gruppi politici ed economici.

Infatti ieri che ricordavamo i 24 anni del teatro, non si è presentato nessun rappresentante politico locale. Come avrebbe potuto?

Erano tutti alla prima del Metastasio, con tanto di biglietto d'onore in mano.

Il teatro non riceve soldi pubblici; è piccolo; è autogestito; si trova in periferia. Affronta temi cosiddetti scomodi o non consueti. Non è frequentato nemmeno dalle opposizioni comunali, che la sua libertà non è funzionale a nessuno.

Io sono ben stata consapevole di questo, e non ho avuto mai dubbi su dove mi avrebbero condotto le mie scelte. Infatti nel passato alcuni attori si sono allontanati da me e dal teatro a gambe levate, ché hanno capito che non vi si trovava che fatica, lavoro, e spesso umiliazione.

Ma credo che solo spazi come il mio oggi possano avere un senso, e che possano dare un senso al teatro; e non lo dico per me che, come ho detto ieri sera al caro amico Fulvio che sempre ci segue, rispetto al luccichio dell'oggi abbiamo già perso e siamo i perdenti, ma possono avere significato per l'intera comunità. Non si lavora per l'oggi, ma per il domani.

Ci consola e rende fieri, nella fatica e durezza che patiamo tutti i giorni, il pensiero di lasciare, nei nostri pochi ma tenaci spettatori e amici, il seme di qualcosa d'altro, diverso, libero, indipendente,  fuor d'ogni canone presente, che possa d'esser d'esempio e strada per qualche altro futuro imbastitore di sogni.

Dopo lo spettacolo sul Datini, i commenti

E' un po' di tempo che non trascrivo i commenti sugli spettacoli, quelli che gli spettatori scrivono sul Libro del Gradimento
Ecco i commenti della replica di stasera e del debutto della scorsa settimana di Nel nome di Dio e del quattrino.

"Uno spettacolo che stimola molte riflessioni, anche per l'originale drammaturgia, che riesce a evidenziare la contemporaneità del Datini. Bravissimi" (Piera.S.),

"Mi è sembrato uno spettacolo che fa riflettere sul senso della vita." 

"Mi sono sentita protagonista della serata" (Lucia C).

"Spettacolo originale e alternativo...". (Annalisa F.).

"Bellissimo!  Ho scoperto un Francesco collerico e avaro e con tutti i peccati e la povera moglie triste e sola...". (Edoardo B.).

"Molto bravi, spettacolo originale e particolare" (Rosa G.).

"Interessantissimo". (Vanna e Vittorio C.).

"Datini messo a nudo...Inarrivabili, come sempre. La Baracca è il VERO teatro"  (Cristina G.)

"Coinvolgente, profondo, inaspettato. Vive congratulazioni" (Daniele S.).

venerdì 20 ottobre 2017

Morire da turista

Sono morto da turista. Un privilegio per pochi. Nemmeno me ne sono reso conto.
Ero lontano dalla mia città, Barcellona, che in questi giorni vive un vero e proprio marasma.
Sono andato a Firenze proprio per allontanarmi dalla mia città e dalla confusione  catalana, spagnola, gli indipendentisti contro gli unionisti... Io volevo riposarmi ed essere un po' felice con mia moglie.

Entro nella preziosissima chiesa di Santa Croce, quando all'improvviso un pezzo di capitello mi cade in testa. Un dolore così forte che non l'ho sentito nemmeno, ché ero già morto.

Sono morto da turista. In Italia, la patria dell'arte.
Una bella morte, però, la mia, in mezzo alla bellezza, al passato, a tante persone illustri.

Che onore, morire così. In Italia, la patria dell'arte.

Però, peccato, anche, aver lasciato la vita così presto, e mia moglie, che amo così tanto!

Ora che succederà? In pochi giorni mi dimenticherete, turisti che andate in giro. Non può essere che così.

Ma chi poteva pensare che si staccasse quel pezzetto di capitello da lassù o cos'era? e in quel momento colpisse me!

In una chiesa così importante, famosa, dove tanta e tanta gente ci passa ogni giorno, chi avrebbe mai pensato che si staccasse un pezzo di storia su di me!

La Morte sta sempre in agguato, ricordatevi.

Tu vai in questi posti e pensi di essere al sicuro. Ma nemmeno lo pensi. Sei trascinato nel vortice della visita. Vuoi visitare, sei un turista. E non puoi immaginare che non abbiano fatto controlli rilievi restauri adeguati in una basilica così antica e frequentata.  E se te lo chiedessero, tu diresti: certi posti sono sicuramente controllati, seguiti, sono...Le autorità dicono che gli hanno fatti, i controlli, che la chiesa è la più controllata del mondo! E però, allora, come è possibile che quel pezzo di marmo si sia staccato? 

E' caduto su di me. Mi ha schiacciato.

Mi occupavo di finanza, e volevo allontanarmi anche dal denaro. Mi volevo circondare di bellezza. Sono stato tradito, ma di chi?
Mi chiamavo Ranier Testor Schnell. Sono morto da turista, morto in un attimo, veloce come il mio cognome preconizzava, a Firenze, nel "tempio dell'Itale Glorie"...In Italia, la patria dell'arte.

giovedì 19 ottobre 2017

SOS Fattoria di Lorenzo de' Medici a Prato

Dopo la Camminata per Gonfienti, a cui le autorità hanno 'risposto' , al solito!, con silenzio di bronzo e finta indifferenza (tanto più che quest'anno non potevano dileggiare per il numero esiguo dei partecipanti!), tocchiamo un altro triste capitolo che riguarda i 'mali' architettonici della città di Prato, la Fattoria di Lorenzo de' Medici, quella delle Cascine di Tavola per intendersi, che si trova in totale abbandono.
Qui copio un articolo, SOS Fattoria Laurenziana, pubblicato sulla rivista "Cultura Commestibile" (n.234), e scritto dal Prof. Centauro, che lo illustra con questa chiosa:

QUEL CHE RESTA DELLA CASCINA
Questo articolo è un piccolo, ennesimo contributo alla conoscenza dei fatti che hanno generato l’incuria odierna, nella ormai flebilissima speranza che i maggiorenti istituzionali si mostrino sensibili “per quel che resta”  verso la rivalutazione dei beni culturali e della bistrattata piana pratese. Il nostro Sindaco dice di credere alle ragioni della salute (ma forse non considera l’ambiente e la cultura tra i fattori primari del benessere sociale e mentale dei suoi concittadini), allora è bene che si decida a prendere provvedimenti seri e durevoli che diano luce alle ragioni reclamate da tempo dalla comunità che vive e lavora in questo territorio, partendo appunto dalle questioni ambientali e urbanistiche rimaste insolute. Tutto questo prima che il nostro habitat divenga un'unica grande cloaca.
G.C.




mercoledì 18 ottobre 2017

La memoria ha un piccolo teatro

Ho ritrovato le fotografie di quando, mio padre e io, iniziammo a trasformare La Baracca in un piccolo teatro. Le fotografie del cantiere. 

Sabato 21 ottobre, dopo la replica di Nel nome di Dio e del Quattrino, organizzeremo una piccola festa per il compleanno del teatro, che compie 24 anni. Piccole cose importanti sono avvenute in questo spazio, pochi metri di teatro per la memoria.
Come è nostra consuetudine, chi ha già visto lo spettacolo, può tornare, compatibilmente con i posti disponibili, senza pagare il biglietto.




martedì 17 ottobre 2017

Spigolature datiniane

Mi scrivono sull'opera Nel nome del Dio e del quattrino:
 "Siamo gli spettatori di Firenze... Bello lo spettacolo sul Datini, insolito, originale. Ci è piaciuto tutto, ma molto la scena della schiava,  e il Datini che sbaglia il nome della …Dattera o Dàttera...?" .
La domanda scherzosa allude alla confusione che fa il Datini personaggio e mi permette di chiarire alcune particolarità linguistiche del testo teatrale che, nell'affanno della prima, non ho avuto modo di spiegare. 

Il nome del personaggio è Dàttera. Ma Datini dice Dattèra, e sbaglia accento nonostante la schiava glielo ripeta in continuazione, perché è toscano e tende all’accentazione piana delle parole.  Non è solo una trovata comica, ma appartiene alla caratterizzazione del personaggio, alla sua parlata popolare e alla sua ‘antichità’. Egli non riesce a mettere l'accento sulla terzultima sillaba se non con difficoltà.  Così come, e se ne lamenta nel sogno, gli è ostile il linguaggio  ‘tronco’ del francese (come io mi figuro), pur che abbia vissuto e lavorato ad Avignone per molti anni. 
Datini personaggio  (e anche una volta Margherita) pronuncia, impropriamente, anche Fondàco, magazzino : infatti etimologicamente si dovrebbe pronunciare la parola con accento proparossitono,  Fòndaco, perché proviene dall'arabo Fùnduq, locanda per i mercanti e le loro mercanzie
E il protagonista s'incespica in altri , per noi oggi, piccoli errori o modismi locali che ho , vestita di licenza poetica, volutamente sparso qua e là nel testo al fine di caratterizzarlo come personaggio toscano linguisticamente coriaceo, attaccato alla tradizione e, nonostante il suo mercanteggiare, in alcuni aspetti un po' ottuso e 'antico'.

Ma, riguardo all'improprio Fondàco,  aggiungo: alcuni documenti, tuttavia, ne testimoniano la pronuncia piana. E fuor di Toscana. Nel vernacolo veneto, per esempio; e anche è testimoniato nell’italiano del ‘700 (il gesuita Paolo Segneri). Modernamente così scrive, segnando anche graficamente l'accento, la poetessa Frabotta.  Addirittura a Trieste è  stato presentato un progetto di riqualificazione urbana col nome, FondAco, dove la a maiuscola evidenzia la non correttezza  etimologica della pronuncia (oltre a richiamare visivamente l'architettura del magazzino), che però è quella in uso per una parola di cui molti ormai ignorano esistenza e significato.
Mio nonno materno, mercante di carbone pistoiese, era uno dei pochi che fino a pochi anni fa la utilizzava e pronunciava ‘fondàco’, con la c intervocalica aspiratissima. Nel suo fondàco teneva le balle di carbone all'asciutto. Mi diceva: "Va' già n'i fondàho a piglia' i' carbone per la stufa". E io scendevo giù con la paletta di ferro o col secchiello portacarbone da riempire.
Il mio maestro linguista Luca Serianni, nella sua grammatica scrive : 
"In alcuni casi di accentazione non giustificabile né col greco né col latino...con parole del  genere, di uso dotto o limitato, è consigliabile attenersi alla pronuncia classica, sulla terzultima; ma la pronuncia piana, per quanto storicamente ingiustificata, non può davvero considerarsi erronea". (Grammatica Italiana, Utet, p.51).


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Nel suo lungo intervento  dopo lo spettacolo il Presidente della Fondazione della Casa Pia dei Ceppi (Casa e Ceppo dei Poveri di Francesco di Marco è  il suo testamento) non ha spiegato il significato della parola ‘ceppo’, e nessuno gliel'ha chiesto. Credo invece sia necessario chiarire, che non lo sappiano in molti.
Ceppo è in Toscana, notoriamente (e abbrevio), il regalo di Natale.
Ma con il  Ceppo dei Poveri qui si intende la cassetta con la fessura per raccogliere le elemosine e, per estensione, l’istituto benefico. Scrive Orazio Marrini, Accademico della Crusca: “La voce ceppo significò anticamente un arnese di legno, per lo più di quercia, ossia un tronco d’albero tutto di un pezzo, e vuoto dentro, con una o più aperture o fessi, per potervi gettar dentro i danari e l’offerte; al quale arnese succedettero dipoi, mutata alquanto la figura, le nostre cassette o cassettini delle limosine.

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La statua del Datini che si trova in piazza del Comune è dello scultore ferrarese Antonio Garella. Lo stesso che ha scolpito le statue di Garibaldi a Pistoia e a La Spezia.  La statua è del 1896: dunque prima che il Fascismo idealizzasse la figura del mercante pratese e che la Sinistra novecentesca cominciasse a detestarla.

domenica 15 ottobre 2017

Debutto di "Nel nome di Dio e del quattrino"



Debutto di Nel nome di Dio e del quattrino, faticoso e felice.

Ecco una prima, e devo dire molto lusinghiera, recensione del Prof. Giuseppe Centauro.


Nel nome di Dio e del quattrino
Il mercante di Prato, commedia impossibile con Francesco di Marco Datini, scritto interpretato diretto da Maila Ermini con Gianfelice d’Accolti nei panni di Francesco di Marco, è una meraviglia. Alla chiusura del sipario della prima, questo è stato il pensiero da tutti condiviso in sala. Sarà l’atmosfera intimissima che avvolge il Teatro La Baracca, sarà la suggestione della messa in scena, dove il pubblico è come ospitato nelle stanze di studio e residenza del protagonista, ma quello che passa dalla mente ai assiste è uno spettacolo autentico, dove il tempo lascia il posto allo spazio e lo spazio è tangibile come un proscenio reale. Due atti e cinque diverse “scene” (tante ne ho contate) che trasportano la vicenda del mercante pratese, primo vero imprenditore dell’età moderna (una sorta di “protocapitalista”, come ha dichiarato l’autrice a fine spettacolo) pur storicamente collocato tra la fine del ‘300 e l’inizio del ‘400. La scena di esordio rappresenta l’immaginario ed evocativo incontro tra l’autrice e il personaggio; la seconda vive in una confessione fra sacro e profano dove l’affabulatrice personifica l’angelo che avrebbe dovuto purificare i peccati dell’impenitente, mosso da improbabili pie virtù; la terza si consuma nel sonno riparatore con le incombenti visioni del mercante, un pulcinella nel sonnabulismo che restituisce mirabilmente le paure e gli incubi più terribili nei movimenti scomposti del burattino; la quarta irrompe con la figura del terribile mongolo Tamerlano, restituito in scena con sagacia e sarcastica invenzione dalle mutate sembianze dell’affabulatrice; la quinta nell’incontro del mercante con la morte con la quale non si può trattare, neppure con la lettera di cambio per ottenere inediti ei straordinari maneggi post mortem (un quadro scenico geniale, “fuori del comune” e certamente risolutivo per comprendere la vera e indissolubile personalità del mercante pratese  (un self made man ante litteram).
Come altre volte, la piece teatrale di Maila che apre la scena su personaggi pratesi, documentandone in modo filologico le vicende rendendone pienamente credibili gli aspetti esistenziali più reconditi assume i connotati dell’universalità per i temi trattati e della contemporaneità per i possibili risvolti con il vissuto contemporaneo. Storie di uomini e di donne che incarnano altrettante tipologie che molto assomigliano alle persone e alle situazioni che misuriamo nel quotidiano. Come Plauto prima e Molière dopo dipingono la figura dell’avaro come un archetipo, Francesco di Marco, come Arpagone, esce dalla storia per raccontarci le umane debolezze e le fobie, vizi e virtù che attanagliano, oggi forse più di ieri, l’uomo.  La superba interpretazione di Gianfelice restituisce con ironia e incommensurabile espressività il quadro che scolpisce in modo memorabile il personaggio creato da Maila, affabulatrice dell’impossibile incontro, ma anche delicata narratrice nelle vesti di Margherita, moglie “coatta” di un carismatico Datini. (Giuseppe Centauro).

La marcia per Gonfienti 2017


Nell'articolo di Cristina Orsini de Il Tirreno, di cui copio anche l'indirizzo internet più avantitrovate un il resoconto della marcia di oggi, che ha avuto una discreta partecipazione (diverse persone si sono poi aggiunte durante la marcia), anche grazie agli amici del CAI, e ai cittadini che hanno aderito a titolo personale per un diverso modo di intendere la cultura, che non può consistere in soli eventi, e la tutela del nostro patrimonio culturale e ambientale, per cui tra l'altro il FAI celebrava il suo appuntamento autunnale.


A Prato è stato però solo un FAI... DA TE, con cui abbiamo voluto sensibilizzare una città indifferente, e soprattutto partiti e movimenti politici assenti e lontani, o enti preposti alla tutela, come la Soprintendenza, altezzosi e sprezzanti.  


La marcia ha avuto qualche momento di sosta, in cui il Prof. Centauro ha ripercorso tappe e luoghi più significativi del sito archeologico, dalla sua scoperta 21 anni fa fino a oggi. E abbiamo anche ricordato il contributo umano, concreto e ideale, di Fiorenzo Gei. Una volta arrivati davanti al cancello che come un lager chiude l'area archeologica, abbiamo trovato un cartello di inizio e fine lavori con la dicitura "archeologia preventiva insediamento etrusco Gonfienti". Ma non si tratta di ripresa di scavi. Infatti un testimone ha raccontato di aver visto alcuni operai lavorare con le ruspe, ma nessuna presenza di archeologi.  Tuttavia, nemmeno di questa 'prevenzione' è stata data notizia ai cittadini, e nessuno si è preoccupato di informare di quello che hanno fatto, come altre volte, su e di ciò che ci appartiene.
Con totale disprezzo anche di quelle associazioni che volontariamente e con competenza potrebbero dare un contributo per la tutela del sito archeologico.


http://iltirreno.gelocal.it/prato/cronaca/2017/10/15/news/una-marcia-giusta-per-gli-scavi-di-gonfienti-1.15992636?ref=hftiprec-1




sabato 14 ottobre 2017

Fine settimana con debutto

Stasera debutta Nel nome di Dio e del quattrino, commedia impossibile su Francesco di Marco Datini, che ho scritto e interpreto insieme a Gianfelice D'Accolti, che veste i panni del protagonista.

Per stasera i posti sono esauriti; chi vuole può prenotare per la prossima settimana, sabato 21 ottobre.

Domani ci sarà la 3a Camminata per Gonfienti, (almeno una volta l'anno se ne parla!), in sostanza per rammentare che anche a Prato esisterebbe una zona archeologica e, comunque per sensibilizzare sul nostro patrimonio culturale, che non è solo fabbrica e lavoro o 'archeologia industriale'.
Si parte alle 14,30 da piazza del Comune a Prato e a piedi si arriva fino all'ingresso degli scavi non più scavati della famosa domus etrusca, appunto a Gonfienti. Con la camminata si vuole ricordare Fiorenzo Gei, presidente del CAI, morto prematuramente nel maggio scorso. Grazie anche a lui debuttammo con Laris Pulenas a Poggio Castiglioni nel 2008, proprio per lo stesso motivo per cui domani camminiamo verso Gonfienti.

giovedì 12 ottobre 2017

Errata corrige

Attenzione, il numero del teatro indicato su questo articolo uscito oggi su La Nazione è sbagliato: quello corretto è 0574-812363.
L'articolo non indica che l'autrice e regista, e anche co-interprete insieme a Gianfelice, sono io. Ma forse mi danno per sottintesa.
Approfitto per dire che ormai i posti disponibili per il debutto di sabato 14 ottobre sono davvero pochissimi. Ma c'è disponibilità per le altre date: 21, 28 e 29 ottobre.

Ancora sulla 3a Camminata per Gonfienti

Ricordo che domenica 15 ottobre, ore 14,30, ci ritroviamo in piazza del Comune di Prato per la 3a Camminata per Gonfienti, al fine di sensibilizzare sul nostro patrimonio archeologico cittadino, lasciato nel più profondo dimenticatoio.

Preciso che non ci sono partiti né movimenti politici 'dietro' di noi; non patrociniamo nessuno né ne siamo patrocinati. Siamo poche persone interessate a che il nostro patrimonio culturale non resti sotterrato definitivamente da interessi più grandi. Come purtroppo in gran parte è già avvenuto. E anche, per smuovere dall'indifferenza, che ormai sembra essere il sentimento prevalente nella cittadinanza riguardo le questioni culturali.

Anzi, nessun partito o movimento, almeno con i suoi rappresentanti comunali o regionali, ha mai partecipato alla camminata, anche se ne potevano condividere le istanze, come a voler marcare la distanza fra loro e la cosiddetta società civile.
I rappresentanti dei partiti  o movimenti sono presenti dove appare il loro rispettivo marchio, confondendo totalmente, a mio parere, il loro ruolo e anche, il senso della politica, avvalorando l'ipotesi strumentale della loro attività e il forte condizionamento dall'alto.
Spero, questa volta, di essere smentita.

La camminata è dedicata a Fiorenzo Gei. Nel breve video la moglie di Fiorenzo, Rosella, ne dà l'annuncio durante la camminata con musica a Casa Bastone sulla Calvana che ha avuto luogo domenica scorsa proprio in ricordo del caro Fiorenzo.



mercoledì 11 ottobre 2017

Le belle e il porco

In America è scoppiato l'ennesimo triste scandalo sessuale: il produttore Harvey Weinstein ha confessato di aver abusato di tante stelle di Hollywood, fra cui anche l'attrice italiana Asia Argento e la modella Ambra Battilana.
Warnstein è il fondatore della casa cinematrografica Miramax, e della Weinstein Company, che ha prodotto anche Gomorra, la serie Insomma, un pezzo forte.

In cambio di prestazioni sessuali il produttore aiutava le carriere delle attrici. 
Usanza antica. Ma bisogna aggiungere: la prostituzione, e intendo un atteggiamento sessualmente asservito o costretto, è talmente diffusa che  non solo si trova nel suo posto di elezione, il cinema, ma in molti luoghi di lavoro dove non sospetteresti.
Nelle università, per esempio.
In politica, altro esempio, dove alla prestazione sessuale si aggiunge la subordinazione,  l'asservimento.
Negli uffici pubblici e privati così si fa carriera. Una vecchia storia, mai affrontata veramente, ché riguarda troppa gente importante. Infatti in alcuni casi si tratta di prostituzione organizzata; è di questi giorni la notizia dei festini al Comune di Siena, collegati alla morte, sempre meno suicidio, di David Rossi del MPS (1) ; e delle orge condite di sesso e droga come pratica del potere corrotto e ricattatorio ha raccontato anche il cinema: Pasolini in Salò; Kubrick, copiandolo, in Eyes wide shut…).

Il cinema resta comunque il contesto privilegiato di questo moderno e abietto, affollato mercato in cui si cede al ricatto sessuale, perché attraverso il cinema si può diventare velocemente ricchi e famosi, e la prostituzione o addirittura la violenza sessuale è messa nel conto, quando non diventa obbligatoria per raggiungere certi livelli o non essere esclusi.

Dove girano soldi e potere, la depravazione prende forme mostruose e l'essere umano diventa oltre che merce, reificato sul mercato artistico, un oggetto personale usato per il piacere e il vizio del potente di turno.

E’ già molto che qualche attrice abbia avuto il coraggio di palesare la violenza subita, i giochi perversi, le molestie, le consuetudini umilianti a cui sono soggette (e a cui si assoggettano) le aspiranti al mondo patinato del successo e della ricchezza della settima arte (ormai non più arte), e raccontarne particolari raccapriccianti, umilianti, come l'attrice Laureen O'Connor:
"I am a 28 year old woman trying to make a living and a career. Harvey Weinstein is a 64 year old, world famous man and this is his company. The balance of power is me: 0, Harvey Weinstein: 10...I am a professional and have tried to be professional. I am not treated that way however. I am sexualized and diminished”.

La Stampa riporta un drammatico dialogo fra Ambra Battilana, che lo aveva denunciato inascoltata nel 2015, e Warnstein, dove la violenza sessuale e il ricatto si mostrano in tutto il loro disgusto. Sembra una scena da “La Bella e il Porco”, titolo inventato per un film-realtà. (2).

E' bello mantenersi lontani  (e sconosciuti) da certo cinema e ambienti anche per questo.



Un invito per i 20 anni dei Celestini

 Per stasera, 21 dicembre, ore 20,45 alla Baracca.