domenica 29 ottobre 2017

Seconda recensione su "Nel nome di Dio e del quattrino"


La recensione della Dott.ssa Eloisa Pierucci, che ringrazio:

"Il Teatro la Baracca propone da anni spettacoli di qualità, complessi ma fruibili a più livelli, vari e diversificati per tematiche, generi, registri espressivi. Difficile classificare una produzione tanto ampia, ma se volessimo individuare un filone particolarmente caro alla drammaturga e regista Maila Ermini, forse potremmo trovarlo attraverso i testi che hanno la città di Prato come comune denominatore.
Cafiero Lucchesi, Gaetanina Bresci, L'infanzia negata dei Celestini, Io e Federico - solo per fare qualche esempio - sono pièces tra loro molto diverse, ma tutte accomunate dalla presenza di un elemento “pratese” (la provenienza dei protagonisti, l'ambientazione della vicenda, ecc...). Dal locale però si passa presto all'universale: così storie grandi e piccole legate alla città toscana diventano l'occasione per riflettere su temi generali e spesso esistenziali. Ben lontana dalla costruzione di quadretti oleografici o celebrativi e “campanilistici”, la scrittrice si serve di Prato come contesto e pretesto per poter indagare l'animo umano e le sue contraddizioni, cercando di porre molteplici interrogativi in un costante e serrato confronto con lo spettatore.
Nel nome di Dio e del quattrino, l'ultima fatica di Ermini, si inserisce a pieno titolo in questa linea di spettacoli “pratesi”. Costituisce inoltre la seconda “commedia impossibile” dopo Io e Federico (2016), dove l'autrice dialogava con l'ingombrante personaggio storico, evocato grazie ad artifici metateatrali.
Anche in questo caso la logica pirandelliana dei Sei personaggi in cerca di autore viene ribaltata: un'affabulatrice, alla ricerca del protagonista per la sua commedia, lo trova nel celebre mercante pratese Francesco di Marco Datini, inventore della lettera di cambio e protocapitalista.
Burbero, scontroso e avaro – non solo di denari, ma anche del proprio tempo -, Datini accetta di partecipare allo spettacolo solo perché crede di poterci in qualche modo guadagnare. Comincia così l'intervista impossibile: l'autrice non si limita a porre domande scomode - in grado di mettere a confronto con l'attualità un uomo vissuto fra '300 e '400 -, ma porta in scena (interpretandoli in prima persona) una fantasmagoria di personaggi reali, fittizi, ultraterreni.
Sono fantasmi che tormentano l'animo del mercante, suggerendogli paure ed occasioni perdute? Sono i simboli di tutto ciò che Francesco di Marco ha sempre cercato di evitare – o di usare a proprio vantaggio -, per consacrarsi unicamente al “quattrino”? Oppure si tratta di semplici espedienti teatrali virtuosisticamente messi in campo dall'affabulatrice per colorire la propria commedia impossibile?
La religione, l'amore, il potere, il sesso (mercenario) e la morte si alternano in un rapido susseguirsi di apparizioni, gettando luci inquietanti sulla società contemporanea al Datini (e non solo): la vendita delle indulgenze, la condizione femminile, il rapporto fra economia, politica e guerra, la schiavitù.
Il tema centrale resta comunque il denaro, circostanza che permette alla figura del mercante pratese di emergere in tutta la sua complessità e ambiguità. Tanto moderno nell'elaborare innovativi sistemi di pagamento e nel fondare piccoli imperi commerciali, quanto legato a convenzioni e abitudini del suo tempo, Francesco di Marco mostra il suo lato più umano nel confrontarsi con l'assillo della finitezza della vita. Una vita, la sua, spesa nell'accumulo fine a se stesso e quindi, in definitiva, priva di senso.
La riflessione esistenziale si fa tanto più toccante in quanto gli attori sono spesso vicinissimi al pubblico, che si trova disposto a pochi centrimetri dalla scarna ma curatissima scenografia. Alcune scene più intimistiche si svolgono però sul palco: l'ambiente risulta così diviso in due parti, che forse alludono rispettivamente alla dimensione professionale (la platea - studio) e a quella privata (il palco – camera da letto) del protagonista.
Maila Ermini, nei panni dell'affabulatrice, interpreta in modo convincente i diversi personaggi con cui Datini è chiamato a misurarsi. Molto efficaci le due figure allegoriche dell'angelo e della morte - che non a caso compaiono rispettivamente in apertura e in chiusura dello spettacolo -, speculari ed antitetiche sia nella connotazione cromatica, sia nel registro espressivo scelto per caratterizzarli.  Irresistibilmente comica la resa scenica della schiava Dattera, mentre la malinconica e consapevole figura di Margherita Datini viene tratteggiata con delicatezza; ma il personaggio più riuscito è forse Tamerlano: il terribile condottiero mongolo ostenta la maschera e le movenze selvagge di un demoniaco Arlecchino, ma al tempo stesso si esprime pacatamente per proverbi, luoghi comuni, rime dalla semplicità quasi banale, offrendo agli spettatori una presenza sconcertante.
Una “commedia impossibile”, tuttavia, non potrebbe risultare efficace senza un grande protagonista: Gianfelice D'Accolti raccoglie e vince la sfida di interpretare un personaggio difficile (perché “umano, troppo umano” e privo di picchi drammatici o comici), cesellato con maestria in ogni gesto, in ogni inflessione vocale, in ogni sguardo. Una raffinata tecnica attoriale - messa al servizio del testo -, che, ben lontana dall'autocompiacimento e dal mero virtuosismo, diventa invece veicolo di emozioni.
Il lungo sodalizio artistico fra i due attori produce un affiatamento scenico palpabile, che trova il suo culmine nella bellissima scena del sogno, poetica e comica allo stesso tempo.

Nel nome di Dio e del quattrino è stata applaudita per tre recite da un pubblico non istituzionale – i rappresentanti cittadini non hanno presenziato, finora, a questa commedia “pratese” - , ma attento e partecipe. Durante i momenti di confronto post spettacolo c'è chi ha avuto la fortuna di sentirsi rivelare dagli artisti alcuni segreti del mestiere. Il Teatro la Baracca è un teatro piccolo, forse “povero”; ma certo è ricco di arte, creatività e generosità."


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