La recensione della Dott.ssa Eloisa Pierucci, che ringrazio:
"Il Teatro la Baracca propone da anni spettacoli di qualità, complessi ma fruibili a più livelli, vari e diversificati per tematiche, generi, registri espressivi. Difficile classificare una produzione tanto ampia, ma se volessimo individuare un filone particolarmente caro alla drammaturga e regista Maila Ermini, forse potremmo trovarlo attraverso i testi che hanno la città di Prato come comune denominatore.
Cafiero
Lucchesi, Gaetanina Bresci, L'infanzia
negata dei Celestini, Io e Federico - solo per fare qualche esempio
- sono pièces tra loro molto diverse, ma tutte accomunate dalla presenza di un
elemento “pratese” (la provenienza dei protagonisti, l'ambientazione della
vicenda, ecc...). Dal locale però si passa presto all'universale: così storie
grandi e piccole legate alla città toscana diventano l'occasione per riflettere
su temi generali e spesso esistenziali. Ben lontana dalla costruzione di
quadretti oleografici o celebrativi e “campanilistici”, la scrittrice si serve
di Prato come contesto e pretesto per poter indagare l'animo umano e le sue
contraddizioni, cercando di porre molteplici interrogativi in un costante e
serrato confronto con lo spettatore.
Nel
nome di Dio e del quattrino, l'ultima
fatica di Ermini, si inserisce a pieno titolo in questa linea di spettacoli
“pratesi”. Costituisce inoltre la seconda “commedia impossibile” dopo Io e
Federico (2016), dove l'autrice dialogava con l'ingombrante personaggio
storico, evocato grazie ad artifici metateatrali.
Anche
in questo caso la logica pirandelliana dei Sei personaggi in cerca di autore
viene ribaltata: un'affabulatrice, alla ricerca del protagonista per la sua
commedia, lo trova nel celebre mercante pratese Francesco di Marco Datini,
inventore della lettera di cambio e protocapitalista.
Burbero,
scontroso e avaro – non solo di denari, ma anche del proprio tempo -, Datini
accetta di partecipare allo spettacolo solo perché crede di poterci in qualche
modo guadagnare. Comincia così l'intervista impossibile: l'autrice non si
limita a porre domande scomode - in grado di mettere a confronto con
l'attualità un uomo vissuto fra '300 e '400 -, ma porta in scena
(interpretandoli in prima persona) una fantasmagoria di personaggi reali,
fittizi, ultraterreni.
Sono
fantasmi che tormentano l'animo del mercante, suggerendogli paure ed occasioni
perdute? Sono i simboli di tutto ciò che Francesco di Marco ha sempre cercato
di evitare – o di usare a proprio vantaggio -, per consacrarsi unicamente al
“quattrino”? Oppure si tratta di semplici espedienti teatrali virtuosisticamente
messi in campo dall'affabulatrice per colorire la propria commedia impossibile?
La
religione, l'amore, il potere, il sesso (mercenario) e la morte si alternano in
un rapido susseguirsi di apparizioni, gettando luci inquietanti sulla società
contemporanea al Datini (e non solo): la vendita delle indulgenze, la
condizione femminile, il rapporto fra economia, politica e guerra, la
schiavitù.
Il tema
centrale resta comunque il denaro, circostanza che permette alla figura del
mercante pratese di emergere in tutta la sua complessità e ambiguità. Tanto
moderno nell'elaborare innovativi sistemi di pagamento e nel fondare piccoli
imperi commerciali, quanto legato a convenzioni e abitudini del suo tempo,
Francesco di Marco mostra il suo lato più umano nel confrontarsi con l'assillo
della finitezza della vita. Una vita, la sua, spesa nell'accumulo fine a se
stesso e quindi, in definitiva, priva di senso.
La
riflessione esistenziale si fa tanto più toccante in quanto gli attori sono
spesso vicinissimi al pubblico, che si trova disposto a pochi centrimetri dalla
scarna ma curatissima scenografia. Alcune scene più intimistiche si svolgono
però sul palco: l'ambiente risulta così diviso in due parti, che forse alludono
rispettivamente alla dimensione professionale (la platea - studio) e a quella
privata (il palco – camera da letto) del protagonista.
Maila
Ermini, nei panni dell'affabulatrice, interpreta in modo convincente i diversi
personaggi con cui Datini è chiamato a misurarsi. Molto efficaci le due figure
allegoriche dell'angelo e della morte - che non a caso compaiono
rispettivamente in apertura e in chiusura dello spettacolo -, speculari ed
antitetiche sia nella connotazione cromatica, sia nel registro espressivo
scelto per caratterizzarli.
Irresistibilmente comica la resa scenica della schiava Dattera, mentre
la malinconica e consapevole figura di Margherita Datini viene tratteggiata con
delicatezza; ma il personaggio più riuscito è forse Tamerlano: il terribile
condottiero mongolo ostenta la maschera e le movenze selvagge di un demoniaco
Arlecchino, ma al tempo stesso si esprime pacatamente per proverbi, luoghi
comuni, rime dalla semplicità quasi banale, offrendo agli spettatori una
presenza sconcertante.
Una
“commedia impossibile”, tuttavia, non potrebbe risultare efficace senza un
grande protagonista: Gianfelice D'Accolti raccoglie e vince la sfida di
interpretare un personaggio difficile (perché “umano, troppo umano” e privo di
picchi drammatici o comici), cesellato con maestria in ogni gesto, in ogni inflessione
vocale, in ogni sguardo. Una raffinata tecnica attoriale - messa al servizio
del testo -, che, ben lontana dall'autocompiacimento e dal mero virtuosismo,
diventa invece veicolo di emozioni.
Il
lungo sodalizio artistico fra i due attori produce un affiatamento scenico
palpabile, che trova il suo culmine nella bellissima scena del sogno, poetica e
comica allo stesso tempo.
Nel
nome di Dio e del quattrino è stata
applaudita per tre recite da un pubblico non istituzionale – i rappresentanti
cittadini non hanno presenziato, finora, a questa commedia “pratese” - , ma
attento e partecipe. Durante i momenti di confronto post spettacolo c'è chi ha
avuto la fortuna di sentirsi rivelare dagli artisti alcuni segreti del
mestiere. Il Teatro la Baracca è un teatro piccolo, forse “povero”; ma certo è
ricco di arte, creatività e generosità."
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