Mi scrivono sull'opera Nel nome del Dio e
del quattrino:
"Siamo gli spettatori di
Firenze... Bello lo spettacolo sul Datini, insolito, originale. Ci è piaciuto tutto, ma molto la scena
della schiava, e il Datini che
sbaglia il nome della …Dattera o Dàttera...?" .
La domanda scherzosa allude alla confusione che fa il Datini personaggio e mi permette di chiarire alcune particolarità linguistiche del testo teatrale che, nell'affanno della prima, non ho avuto modo di spiegare.
La domanda scherzosa allude alla confusione che fa il Datini personaggio e mi permette di chiarire alcune particolarità linguistiche del testo teatrale che, nell'affanno della prima, non ho avuto modo di spiegare.
Il nome del personaggio è Dàttera. Ma
Datini dice Dattèra, e sbaglia accento nonostante la schiava glielo ripeta in
continuazione, perché è toscano e tende all’accentazione piana delle parole.
Non è solo una trovata comica, ma appartiene alla caratterizzazione del personaggio,
alla sua parlata popolare e alla sua ‘antichità’. Egli non riesce a mettere l'accento sulla terzultima sillaba se non con difficoltà. Così come, e se ne
lamenta nel sogno, gli è ostile il linguaggio ‘tronco’ del francese (come io mi figuro), pur che abbia vissuto e lavorato ad Avignone per molti anni.
Datini personaggio (e anche una volta Margherita) pronuncia, impropriamente, anche Fondàco, magazzino : infatti etimologicamente si dovrebbe pronunciare la parola con accento proparossitono, Fòndaco, perché proviene dall'arabo Fùnduq, locanda per i mercanti e le loro mercanzie.
E il protagonista s'incespica in altri , per noi oggi, piccoli errori o modismi locali che ho , vestita di licenza poetica, volutamente sparso qua e là nel testo al fine di caratterizzarlo come personaggio toscano linguisticamente coriaceo, attaccato alla tradizione e, nonostante il suo mercanteggiare, in alcuni aspetti un po' ottuso e 'antico'.
E il protagonista s'incespica in altri , per noi oggi, piccoli errori o modismi locali che ho , vestita di licenza poetica, volutamente sparso qua e là nel testo al fine di caratterizzarlo come personaggio toscano linguisticamente coriaceo, attaccato alla tradizione e, nonostante il suo mercanteggiare, in alcuni aspetti un po' ottuso e 'antico'.
Ma, riguardo all'improprio Fondàco, aggiungo: alcuni documenti, tuttavia, ne testimoniano la pronuncia piana. E fuor di Toscana. Nel vernacolo veneto, per esempio; e anche è testimoniato nell’italiano del ‘700 (il gesuita Paolo Segneri). Modernamente così scrive,
segnando anche graficamente l'accento, la poetessa Frabotta. Addirittura
a Trieste è stato presentato un progetto di riqualificazione urbana col
nome, FondAco, dove la a maiuscola evidenzia la non correttezza etimologica della
pronuncia (oltre a richiamare visivamente l'architettura del magazzino), che però è quella in uso per una parola di cui molti ormai ignorano esistenza
e significato.
Mio nonno materno, mercante di carbone pistoiese, era uno dei pochi che fino a pochi anni fa la utilizzava e
pronunciava ‘fondàco’, con la c intervocalica aspiratissima. Nel suo fondàco teneva le balle di carbone all'asciutto. Mi diceva: "Va'
già n'i fondàho a piglia' i' carbone per la stufa". E io scendevo giù con
la paletta di ferro o col secchiello portacarbone da riempire.
Il mio maestro linguista Luca Serianni,
nella sua grammatica scrive :
"In alcuni casi di
accentazione non giustificabile né col greco né col latino...con parole del
genere, di uso dotto o limitato, è consigliabile attenersi alla pronuncia
classica, sulla terzultima; ma la pronuncia piana, per quanto storicamente
ingiustificata, non può davvero considerarsi erronea". ( Grammatica Italiana, Utet, p.51).
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Nel suo lungo intervento dopo lo spettacolo il Presidente della
Fondazione della Casa Pia dei Ceppi (Casa e Ceppo dei Poveri di Francesco di Marco è il suo testamento) non ha spiegato il significato della parola ‘ceppo’, e nessuno gliel'ha chiesto. Credo invece sia necessario chiarire, che non lo sappiano in molti.
Ceppo è in Toscana, notoriamente (e abbrevio), il
regalo di Natale.
Ma con il Ceppo dei Poveri qui si
intende la cassetta con la fessura per raccogliere le elemosine e, per
estensione, l’istituto benefico. Scrive Orazio Marrini, Accademico della
Crusca: “La voce ceppo significò anticamente un arnese di legno, per lo più di
quercia, ossia un tronco d’albero tutto di un pezzo, e vuoto dentro, con una o
più aperture o fessi, per potervi gettar dentro i danari e l’offerte; al quale
arnese succedettero dipoi, mutata alquanto la figura, le nostre cassette o
cassettini delle limosine.
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La
statua del Datini che si trova in piazza del Comune è dello scultore ferrarese Antonio
Garella. Lo stesso che ha scolpito le statue di Garibaldi a Pistoia e a La
Spezia. La
statua è del 1896: dunque prima che il Fascismo idealizzasse la figura del
mercante pratese e che la Sinistra novecentesca cominciasse a detestarla.
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