Tutti parlano della Mafia cinese, che in Italia ha la sua sede nella città di Prato.
Io parlerò delle loro passeggiate, di quando escono dai loro laboratori, dopo aver lavorato diverse ore, con i loro pigiami pieni di fili delle lavorazioni a cui sono costretti per ore e ore, notte e giorno. Delle ciabatte che indossano. Di come si sono trasformati in liberi schiavi.
Li si incontra a piedi, in bici e i nostri sguardi si incrociano durante le ore d'aria. I primi tempi non riuscivo a distinguerli l'uno dall'altro; ora molto bene, e l'uno non è affatto uguale all'altro.
Ho sempre amato i cinesi; le loro facce, la loro ostinata diversità, la loro poesia, la loro terribile storia.
Ma ora certo, avendoli così vicino, ne ho colto di altri aspetti, e anche di noi.
E in particolare ho saputo, ben più che dai giornali che ne parlano quasi ogni giorno, dopo aver messo in scena "Le tre vite del ragazzo di Tien An Men", dopo aver parlato con molta difficoltà con alcuni, dopo aver saputo che non vivono liberi qua, non possono essere liberi se non di essere schiavi del dio denaro. Oltre che del loro paese.
Tutta la loro vita è dedicata a quel dio, e mostra il loro concetto della santità del denaro.
La dedizione delle loro vite dedicate a questo dio si legge, oltre che nelle loro azioni, anche nei loro occhi.
E' un dio che vuole che non se ne abbia un altro, assolutamente, vuole il sacrificio completo dell'essere umano. E opera anche la sua dissoluzione insieme a tutto quello che c'è attorno a lui.
E loro, ecco, lo hanno accettato. Vanno si spostano si muovono vivono solo dove possono mettere in moto dedicarsi a questa santità, essere monaci di questo dio.
Sono poi protetti dal loro potere politico (che li minaccia anche; infatti dicono che siano privati dei loro passaporti) ma allo stesso tempo si arricchisce con i soldi che gli stessi gli mandano indietro, operando in aggiunta un vero e proprio sistema di imperialismo occulto.
Ci opponiamo a loro (i cattolici e mammona, vi ricordate la storiella?), li disprezziamo, ma intanto diamo loro in affitto i nostri capannoni, le nostre case, tutte indistintamente trasformate in case laboratorio (cosa che accadeva in misura minore ma accadeva anche nelle case delle donne pratesi che lavoravano a nero le pezze, per esempio, fino agli anni '80 del Novecento), e soprattutto facciamo grandi affari con il loro paese. E questo chiude bocca occhi orecchie a tutti noi.
Del resto non importa loro nulla. Tollerano il nostro disprezzo, che è ben contraccambiato. Perché Dio Denaro vuole questo, e ci vuole nemici, e ci mette insieme solo per arricchirsi, lui solo, e per fare in modo che prima o poi, ogni tanto quando è possibile, ci facciamo in po' di guerra.
In un certo senso i cinesi di Prato sono 'avanti'. Sono ormai ben chiaramente schiavi, senza più rimorsi, senza pentimenti, senza più pensare ai diritti dell'uomo, al suo rispetto. Senza più pensare agli oppositori, per esempio, o ai racconti di chi dice che in patria si viene fatti sparire ben prima di diventare oppositori. A che serve, opporsi, perché?
Non vogliono pensare che 'un altro mondo è possibile'. A loro piace questo.
La santità dei cinesi è ormai assoluta, e mostra la strada per un mondo fatto di schiavi e brutalizzati, quasi martiri del dio, che è già qui, ed più che possibile anche per noi.