di Giuseppe Centauro (testo e foto).
"Il 18 maggio prenderà avvio la Fase 2.0 del Sars-CoV-2 (acronimo del nuovo esperanto: Severe Acute Respiratory Syndrome – Corona Virus – due). Da questa data si aprirà un’inedita stagione per chiese, musei, alla quale seguiranno aree archeologiche, castelli e palazzi, ville e giardini storici. Nei centri storici ci sarà però da ‘sanificare’, ‘efficientare’ e mettere in sicurezza tutto il costruito esistente, con case e botteghe da tempo obsolete e in degrado. Con quali risorse faremo tutto questo? E quali destini seguiranno le città, periferie comprese con piazze da riqualificare, edifici da riadattare, spazi pubblici da ripensare? Dopo il prolungato lockdown c’è ora molta attesa per questo tourism restart (così chiamano la riapertura al pubblico dei beni culturali) al fine di rianimare un’economia in caduta libera. Tuttavia, non sarà facile misurarsi con l’inevitabile cambiamento e allo stesso tempo sottrarsi ai cattivi esempi del passato. Di certo il sommovimento determinerà uno strappo che, in base alle scelte strategiche che verranno attuate, si saprà se causeranno una perdita o un guadagno. Per certo, stando alle disposizioni del distanziamento social, dopo il subitaneo default turistico si produrranno anche effetti alterni, ad es. non sarà più così imminente la minaccia della gentrificazione. Questo è un bene! E’ pur vero però che i bilanci delle ‘città d’arte’, che girano intorno ai poli culturali maggiori, si fanno in toto sul movimento turistico, buono o cattivo che sia. Pecunia non olet! Ed allora che succederà? Nei quartieri storici torneranno i residenti naturali, quelli meno abbienti e si perderà reddito. Il distanziamento produrrà nella vita rionale altre grandi trasformazioni. E come nel dopoguerra si assisterà nei centri antichi come nelle metropoli alla fuga dei ceti benestanti e degli occupanti occasionali a vantaggio di aggregazioni urbane di neoformazione. Si sposteranno entro tali enclave élite neoborghesi in comunità selezionate, ricche e totalmente autosufficienti. Si creeranno nuovi scenari e vecchie spaccature. Tuttavia, il futuro potrà essere anche diverso. Occorrerà però che tutta la collettività (il pubblico come il privato) creda e investa in toto sulla riqualificazione urbana, sostenendo il rientro dei residenti naturali, incentivando giovani coppie mantenendo salda la presenza degli anziani. Intorno ai beni culturali si arginerà la brutta emorragia economica e si ricreeranno le ragioni per un nuovo decisivo radicamento. Si dovrà investire sulla conservazione e valorizzazione dei luoghi. Al pari dei beni ecclesiali che si accosteranno di nuovo alle celebrazioni religiose, la ripartenza delle attività turistiche sarà durevole solo se connessa con una ritrovata e positiva accessibilità ai luoghi d’arte con i musei che avranno un ruolo determinante da svolgere. L’atmosfera surreale vissuta in questi mesi ci sta profondamente cambiando e non saremo più tolleranti nel vedere i parchi storici soffocare nelle erbacce e i monumenti, quali essi siano, sgretolarsi nell’incuria. Si lavori dunque intorno a queste risorse, non solo per un diritto dovere costituzionale ma al fine di produrre ricchezza e benessere in modo libero e solidale. Sarà questa la vera rivoluzione del dopo coronavirus.
"Il 18 maggio prenderà avvio la Fase 2.0 del Sars-CoV-2 (acronimo del nuovo esperanto: Severe Acute Respiratory Syndrome – Corona Virus – due). Da questa data si aprirà un’inedita stagione per chiese, musei, alla quale seguiranno aree archeologiche, castelli e palazzi, ville e giardini storici. Nei centri storici ci sarà però da ‘sanificare’, ‘efficientare’ e mettere in sicurezza tutto il costruito esistente, con case e botteghe da tempo obsolete e in degrado. Con quali risorse faremo tutto questo? E quali destini seguiranno le città, periferie comprese con piazze da riqualificare, edifici da riadattare, spazi pubblici da ripensare? Dopo il prolungato lockdown c’è ora molta attesa per questo tourism restart (così chiamano la riapertura al pubblico dei beni culturali) al fine di rianimare un’economia in caduta libera. Tuttavia, non sarà facile misurarsi con l’inevitabile cambiamento e allo stesso tempo sottrarsi ai cattivi esempi del passato. Di certo il sommovimento determinerà uno strappo che, in base alle scelte strategiche che verranno attuate, si saprà se causeranno una perdita o un guadagno. Per certo, stando alle disposizioni del distanziamento social, dopo il subitaneo default turistico si produrranno anche effetti alterni, ad es. non sarà più così imminente la minaccia della gentrificazione. Questo è un bene! E’ pur vero però che i bilanci delle ‘città d’arte’, che girano intorno ai poli culturali maggiori, si fanno in toto sul movimento turistico, buono o cattivo che sia. Pecunia non olet! Ed allora che succederà? Nei quartieri storici torneranno i residenti naturali, quelli meno abbienti e si perderà reddito. Il distanziamento produrrà nella vita rionale altre grandi trasformazioni. E come nel dopoguerra si assisterà nei centri antichi come nelle metropoli alla fuga dei ceti benestanti e degli occupanti occasionali a vantaggio di aggregazioni urbane di neoformazione. Si sposteranno entro tali enclave élite neoborghesi in comunità selezionate, ricche e totalmente autosufficienti. Si creeranno nuovi scenari e vecchie spaccature. Tuttavia, il futuro potrà essere anche diverso. Occorrerà però che tutta la collettività (il pubblico come il privato) creda e investa in toto sulla riqualificazione urbana, sostenendo il rientro dei residenti naturali, incentivando giovani coppie mantenendo salda la presenza degli anziani. Intorno ai beni culturali si arginerà la brutta emorragia economica e si ricreeranno le ragioni per un nuovo decisivo radicamento. Si dovrà investire sulla conservazione e valorizzazione dei luoghi. Al pari dei beni ecclesiali che si accosteranno di nuovo alle celebrazioni religiose, la ripartenza delle attività turistiche sarà durevole solo se connessa con una ritrovata e positiva accessibilità ai luoghi d’arte con i musei che avranno un ruolo determinante da svolgere. L’atmosfera surreale vissuta in questi mesi ci sta profondamente cambiando e non saremo più tolleranti nel vedere i parchi storici soffocare nelle erbacce e i monumenti, quali essi siano, sgretolarsi nell’incuria. Si lavori dunque intorno a queste risorse, non solo per un diritto dovere costituzionale ma al fine di produrre ricchezza e benessere in modo libero e solidale. Sarà questa la vera rivoluzione del dopo coronavirus.
Quale fruizione per i beni culturali dopo il 18 maggio? Qualcos’altro
mi è rimasto nella penna ora che abbiamo finalmente capito che la nostra vera
ricchezza, quella da salvaguardare sopra ogni altra cosa per rifondare un
futuro all’altezza della nostra millenaria cultura, sta proprio nel produrre benefici
attraverso l’eredità culturale del passato fin qui trattata con tanta, troppa
superficialità. Ci stiamo chiedendo che sarà dei monumenti, dei borghi storici,
dei paesaggi a noi vicini, dei segni delle nostre più antiche origini impressi
ovunque l’occhio si pone? Quale sarà il ristoro che potremo dare e ricevere da
questi se non riusciremo a fare tesoro di queste meraviglie? Le abbiamo da poco
riviste in rapide carrellate televisive, in una dimensione talvolta surreale
che, forse, per taluni poteva sembrare la forma migliore e più suggestiva per
ammirarle comodamente seduti sul divano di casa. Ma al di là della corretta
divulgazione, la grande bellezza del patrimonio culturale va ben oltre lo
spettacolo di un ambiente da set cinematografico, dalle variegate e suadenti
forme. L’astrazione di una realtà da vedere ma non più toccare non ci serve,
come non potremo vivere per sempre a distanza, senza alcuna attiva partecipazione.
E tutto ciò che si fruisce non potrà essere
costruito solo in una modalità virtuale. Non lasciamo che il mondo digitale, pur
utile ed ammirevole, ci sopraffaccia. Non lasciamo, soprattutto, che quella
illusoria immagine si sostituisca alla nostra naturale capacità percettiva fino
ad inibire ogni capacità di critica. Alla
riapertura dei musei non si vada più solo con lo smartphone e il tablet e si guardi
le opere con gli occhi della mente e del cuore per vedere, capire e ‘provare
emozioni e estasi’. Allo stesso modo non si deleghi ad altri il diritto di appartenenza,
entriamo da protagonisti nella storia
attraverso i luoghi del culto, le dimore storiche, le aree archeologiche. Si
diffidi piuttosto dell’artata selezione eugenetica fatta a nome nostro da altri
affinché tutti i beni, nessuno escluso, sia correttamente manutenuto e reso
fruibile come si deve. Si rispetti per
prime le testimonianze della cultura materiale, quella popolare e meno aulica,
da cui tutto nasce. L’Italia ha visto decrescere il suo principale appeal turistico
e noi con lei. Così, smarriti, stiamo
dimenticando che la qualità diffusa del patrimonio che ci circonda come un
museo diffuso rappresenta la nostra stessa identità. Non c’è persona oggi, dopo
mesi di isolamento, che non capisca quanto sia vitale per tutti noi custodire come
si deve questi preziosissimi compagni di viaggio. E proprio intorno a questo
patrimonio, orgoglio ed ambizione
possono trasformarsi in fede e coraggio per rimettere in moto il genio italico ed
essere in grado di contribuire in modo armonico alla crescita sociale e
economica. Affinché tutto questo abbia un
effetto durevole e trasmissibile occorre
che l’Italia, rigenerata dopo la paura, impari una volta per tutte la lezione e
sappia scegliere la strada da seguire puntando sulla conoscenza e condivisione del patrimonio
culturale. Si sviluppi dunque, senza remore, tutte quelle speciali abilità
creative e attitudini artistiche che ci appartengono e ci hanno reso un popolo
libero".
Piazza Tasso, Firenze |
Al museo con il tablet |
Le Cascine di Tavola, Prato |
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