Giullaressa, di Silvio Sangiorgi |
Durante la roboante, carica di promesse, conferenza stampa di ieri, 13 maggio 2020, dopo il Consiglio dei Ministri n. 45 relativo al "Decreto Rilancio", il Presidente del Consiglio Conte annuncia da Palazzo Chigi, con il suo solito tono paternalistico e patetico:
"La cultura: non dimentichiamo neppure questo settore...non...abbiamo un occhio di attenzione per i nostri artisti che ci intrattengono, che ci fanno tanto divertire, che ci fanno tanto appassionare...".
Alle sue parole capisco di essere annoverata nel settore degli intrattenitori; sono, come si diceva un tempo, una giullaressa.
La riduzione dell'artista a giullare, colui che sta al servizio del potente, che lo intrattiene, che lo fa sorridere e lo appassiona è in effetti quanto è avvenuto negli ultimi anni, dopo le illusioni degli anni '60-'90, quando gli artisti di tutte le arti potevano ancora ambire a uno status di intellettualità e di certa autonomia creatrice.
Pensate, e dico solo dello spettacolo, a quanta strada separa gli attori e registi di oggi da intellettuali come Pietro Germi, Gian Maria Volonté, Truffaut.
Ma la stessa maschera di un Tognazzi o di un Tati, quanto è lontana dal pur simpatico e acuto Checco Zalone, che è "pari", dice tutto, si mostra levigata, pur nella satira di costume, sempre bonaria e riconosciuta, non nasconde più alcuna amarezza o dubbio. Piace, e basta.
Abbiamo perso anche il surrealismo popolare e spiazzante di Benigni o Troisi, che pur gradito, irritava o scandalizzava o risultava incomprensibile; o le note di compositori di pochi anni fa, e penso fra gli altri a Umiliani, che trovavano molecole tonali alla ricerca di un DNA, leggero e imprendibile, di un mondo metafisico.
Insomma l'artista non è più, non deve essere nemmeno "troubadour", il troviere o trovatore, ossia poeta, cantautore, musico, pittore, intellettuale, che cerca disperante anche per suo conto. Non si oppone, come facevano nel medioevo i primi trovieri, che erano anche, oltre a veri e propri intellettuali, oppositori politici. Egli è solo e soltanto al servizio di, è burocratizzato, conteggiato, inserito. Deve muoversi in terreni riconosciuti, dove può solo essere giullare, intrattenitore.
Artista ridotto a buffone, ma di quale corte? Sempre più al servizio della non conoscibile impalpabile corte aziendale Netflix, e quello che crea (spesso nascosto e derubato) non deve piacere nemmeno più a un produttore, a una persona o a un gruppo di persone in carne e ossa che scelgono, rischiano, tentano, vedi un tempo il produttore livornese Alfredo Bini, ma anche lo stesso vituperato Carlo Ponti e simili, no: l'opera dell'artista, il suo fare è soggetto ormai ad algoritmi che calcolano sicuri gli ingredienti (contenuto trama sentimenti rovesciamento finale), al fine di sfornare con le giuste dosi il prodotto per un pubblico, che deve essere misuratamente divertito e appassionato, come ama evidentemente essere il nostro Presidente, il quale non sbaglia usando il verbo "intrattenere".
E gli intrattenitori quali noi siamo diventati, egli e il suo governo cortigiano bonariamente induce al silenzio con un biglietto di 600, e ce lo mette in bocca, promette nei prossimi mesi, e fa come come il padrone col cane molesto: gli si butta l'osso, in modo che non possa più abbaiare e stia buono nel recinto.
E gli intrattenitori quali noi siamo diventati, egli e il suo governo cortigiano bonariamente induce al silenzio con un biglietto di 600, e ce lo mette in bocca, promette nei prossimi mesi, e fa come come il padrone col cane molesto: gli si butta l'osso, in modo che non possa più abbaiare e stia buono nel recinto.
Gianfelice D'Accolti e Maila Ermini in "Io e Federico". |
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