lunedì 29 marzo 2021

Nel lager pandemico

Facendo i conteggi per i nuovi ristori annunciati dal governo Draghi,  si tratterà ancora una volta di " briciole", e quindi confrontando gli incassi degli anni 2019 e 2020,  verifico il crollo economico che ho subito. 

Per un anno lo Stato, che mi ha costretto a non lavorare, mi ha offerto, come a una mendicante, una media di 100 euro al mese.

Naturalmente non si può contare il danno morale, psicologico, umano, che è molto di più: l'avermi costretta al nulla, a insignificanza, condannata all'annientamento. Al silenzio. All'isolamento.

Mi trovo in un lager, anche se posso camminare, andare a fare la spesa, e poco più.  Certo, è un lager diverso da quelli nazisti, ma sì è un lager. Lager moderno, pandemico, che accresce le disuguaglianze, le ingiustizie. La solitudine. Che conduce alla morte, che ti circonda di morti. Quanti morti.

E questo lager si svolge e si sviluppa con la complicità e nell'ipocrisia più totale da parte di una maggioranza sorda, di una dirigenza tronfia e sicura del proprio fare rispetto alla pandemia, e incancrenita nelle posizioni, con le piccole grandi caste che applaudono e che rimangono nelle loro trincee - e qui tranquille nel loro intimo, quasi soddisfatte ti abbandonano al tuo destino e quasi se ne compiacciono nonostante anch'esse toccate dal sistema restrittivo -, che silenziose continuano il loro smercio di vita, trafficando come poco fosse con i loro computer che ritengono salvifici, ma da cui si affacciano come da una finestra sul baratro, guadagnando di più in qualche caso, anzi consolidati nelle proprie posizioni di privilegio perché sono funzionali allo status quo, e che addirittura fanno la morale sul covid e incolpano chi non indossa la mascherina. O anche chi la indossa ma non è conforme, come è accaduto varie volte a me.

Anzi io, da artista indipendente, sono stata aggredita proprio da chi covava contro di me astio e invidia. Per la mia stessa indipendenza e fare artistico, di cui niente sa ovviamente.

In questo lager la rabbia è totale e profonda, e non ci sarà guarigione per questo male in cui quelli come me e altri sono rinchiusi (e quanti ne sono già morti nonostante fossero stati protetti!), per quanto ci potranno liberare o far tornare nel mondo condotti da chissà chi (e i nuovi liberatori ci porteranno quale cioccolata avvelenata?), e questa rabbia sorda è musica costante ormai, un ostile irriducibile sottofondo quotidiano, un "vulnus" che non si rimarginerà.

Perché chi ha vissuto in un lager non può tornare alla vita di prima se non apparentemente, e solo come un atto di pietà nei confronti degli altri, per non spaventarli, per non mostrare la metamorfosi che è avvenuta in cattività; insomma, per non svelarne del tutto la brutalità, che è intollerabile.

Perché chi è stato brutalizzato in un lager, - anche se non ha sofferto la fame perché il potere ha deciso di instaurare un altro lager rispetto a quelli precedenti, più umano insomma ma anche più economico e vantaggioso, ché lo rafforza e lo netta dalla lordura che causa poi alla fine -, ha capito di essere nulla rispetto al potere,  che  lo trasforma in quello che vuole e quando vuole. Lo può rendere famoso, importante, ricco, ma anche subito lo denuda affama umilia rende schiavo; lo brutalizza appunto.

Una persona che è stata in un lager, di qualsiasi genere, come anche questo moderno e dall'apparenza umana, aperto e come dire giustificato dalla pandemia, non sarà mai più come prima, anche se magari la vedrete e sentirete ridere ancora, o di più, anche se tornerà a farvi ridere.

Il vero pagliaccio sa tutto, e piange sempre.

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