venerdì 26 novembre 2021

A difendere gli oppressi non c'è più nessuno

Piccola tournée in Emilia, nella ricca Emilia, e in un bel teatro.
Dormo, non ho trovato altro, in un albergo-ristorante che è ormai abitato solo dagli operai di una importante fabbrica della zona. Anzi, una fabbrica di livello nazionale, che però non è più italiana. Una fabbrica che ha condizionato totalmente l'esistenza degli abitanti della cittadina in cui è nata.
L'albergo-ristorante che mi ospita è totalmente fatiscente, una accozzaglia di rifacimenti e cartelli e oggetti accumulati nel tempo, ammasso di ristrutturazioni sbagliate, cavi vari penzolanti a vista, e puzza di fumo incancrenita che trasuda dalle pareti. Ogni tanto per nascondere lo sporco ci si preoccupa di tinteggiare di bianco gli interni.
Qualcosa che non ho mai visto prima.
In questo contesto le misure anticovid appaiono subito e del tutto ridicole, da commedia, inutili.
E' tardi per cambiare, e poi dove? sono le 8 di sera e mi ritrovo in una stanza - praticamente l'unica rimasta - che si presenta come una celletta, ma ho visto celle più ben tenute e dignitose nelle prigioni, dove l'aria è come metifica, c'è puzza, puzza definitiva di qualcosa che forse è fumo o altro che non so riconoscere. Entro nel bagno- dopo aver cercato per alcuni minuti un interruttore che si trova altrove - e mi ritrovo davanti a cesso bidet lavabo doccia con porcellane sbreccate e rubinetti anni '60, e capisco che hanno tentato di rassettare alla meno peggio quello spazio angusto e fatiscente sapendo che lì avrebbe dormito - pochissimo invero!- una donna. Anzi, una "estranea".
In questo luogo del terrore bizantino - enorme e anche labirintico - gli operai mangiano e dormono a prezzi bassissimi, i più a spese della ditta. Anzi della multinazionale. Al mattino fanno colazione ed escono, la fabbrica è lì davanti a pochi metri. La sera, percorrono la strada inversa.
L'albergo-ristorante è il fondale per la sera e la notte, un fondale nero lurido che riflette quello che accade nella fabbrica di giorno.
E mentre mangiano nella sala ristorante, gli operai si placano davanti alla televisione - vi sono tre enormi apparecchi televisivi ben sistemati in alto che trasmettono partite di calcio - , o si sprofondano nei loro smartphone. Fra loro parlano pochissimo.
Forse ogni tanto c'è un intrattenimento più folkloristico, perché ho visto locandine all'ingresso con grasse signore promettenti serate danzanti di liscio.
E così, mentre la pandemia del dominio avanza indisturbata, sostenuta dal capitale, a difendere gli oppressi non c'è più nessuno.

P.S. Che abbiano tentato di includermi, in qualche modo, anche agli occhi degli operai per non metterli in sospetto, è stato chiaro dal fatto che sul cartellino del tavolo che mi avevano assegnato per la cena e la colazione nel salone ristorante - enorme - c'era scritto solo il mio nome, MAILA, come se mi conoscessero, come se avessero confidenza con me; anzi, come se appartenessi alla fabbrica.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Una bella esperienza , non c'è che dire! Non sarà uno specchio di un'Italia nella quale stiamo pian piano sprofondando?

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