Un gustoso e graffiante “fuori programma”, specchio vero del nostro
Bel Paese.
In una splendida quanto inedita
cornice scenografica al centro del porto marinese, proprio a ridosso della
storica Torre, il monumento simbolo del paese, sfondo dell’esilarante protesta
di Marco Tullio, figurante romano del XXI secolo, è sembrato per una sera il
Colosseo, monumento principe dei monumenti italici. In una perfetta serata estiva,
illuminata dalla luna piena, di fronte a un nutrito pubblico di villeggianti,
si è consumata la comicissima
performance satirica del popolano
centurione, romano doc del
Testaccio.
Marco Tullio è un gagliardo
centurione, interpretato magistralmente da Gianfelice D’Accolti nella sapida ed
argutissima commedia, scritta e diretta da Maila Ermini, qui nelle vesti di
cantastorie con puntuali stornelli. Un storia tanto realistica da apparire
espressione autentica della più genuina e scafata vis romanesca, scampolo di una Roma ostinatamente
resistente che pervicacemente controbatte ai radicali cambiamenti del nostro tempo. Davanti ai fasti del
trascorso, eppur presente spirito del S.P.Q.R., il centurione di Maila Ermini
si trasforma, attraverso l’esuberante gestualità e la convincente enfasi
retorica vernacolare di Gianfelice D’Accolti, in una sorta di moderno Tribuno
delle Plebe che arringa al suo popolo i reiterati vizi di un potere oramai
assai poco repubblicano che lo ha ingiustamente sfrattato considerando la sua
persona spettacolo indecoroso, non considerando il suo più che onorevole e
meritorio ruolo di comunicatore, guida ed anfitrione della storia, financo
della cultura della città eterna.
Che dire dello spettacolo? La
storia è azzeccatissima, l’attualità della denuncia soprattutto è eloquente,
tanto che la protesta del centurione è degna di ancor più vasta ribalta, specie laddove si punta
il dito sui vizi dei soliti papocchi, e non meno sullo stato miserevole di
incuria in cui si lasciano morire monumenti e aree archeologiche. Il vero
scempio, qui sottinteso, è quello di non sapere o volere
valorizzare le nostre risorse culturali che altrimenti potrebbero essere fonte
inesauribile di ricchezza. Proprio per questo il lavoro precario del figurante
meriterebbe di elevarsi al rango di “posto fisso”, invece “… con tutta ‘sta fiera, nun magno
stasera” lamenta l’incazzato Marco Tullio in una metafora che da esistenziale
personale si apre persino ad una competizione quasi surreale, per altro assai
amara, ma di straordinaria genialità e felicissima intuizione introdotta
dall’autrice, con i “vù comprà” accusati, essi stessi, di razzismo dal
centurione, Romano de’ Roma, reo
in questo caso di non godere di discendenze nord africane o esotiche. Infine,
facendo senza peli sulla lingua nomi e cognomi delle autorità precostituite,
della Soprintendente che lo ha sfrattato come di illustri (anonimi, tanto son
numerosi) e paludati onorevoli, Marco Tullio interpreta inconsapevolmente il ruolo del
Pasquino, materializzato sotto le sembianze del centurione sfrattato che, per
necessità e per amore, continua ad esercitare fuori dalla legge, costi quel che
costi.
Il Teatro La Baracca di Prato da anni si misura su temi di
attualità e di impegno sociale e, proponendo questa piece, ha cercato in realtà di marcare il territorio e
di toccare i luoghi sensibili del nostro amato e bistrattato “Bel Paese” . L’occasione di teatralizzare il tema
sottinteso apre la strada ad indicare anche le potenzialità, ancora tutte da
mettere a frutto, di sviluppo
economico connesse con la conoscenza e la fruizione del patrimonio storico
culturale ed ambientale, archeologico o architettonico che sia. La
rappresentazione della commedia tragicomica portata in piazza il 1 agosto 2012,
per la prima volta fuori dal palco del piccolo teatro pratese, presso la Torre di Marciana Marina
assume un duplice significato oggi che, per volontà del Sindaco Ciumei, è al centro di un progetto di rilancio
da parte della comunità marinese. Da questo punto di vista questa messa in scena costituisce un evento a suo modo
epocale. Un monumento che sta per uscire dal tunnel del degrado offre più di un
motivo di speranza, “’’na cosa super” come direbbe il centurione.
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